Il riscaldamento climatico da una parte, le richieste del mercato dall’altra, la viticoltura, e quindi il vino, in mezzo. Negli ultimi decenni, il grado alcolico è cresciuto con una certa costanza: vi vuole poco per rendersene conto, basta leggere le retro etichette. Come ha fatto il Liv-ex, che avendo catalogato, dal 2020, qualcosa come 35.000 bottiglie, anche in base alla gradazione. Dati che, una volta messi a sistema, raccontano una tendenza tutt’altro che scontata, su un orizzonte di 30 anni, e relativamente ai maggiori territori enoici del mondo, protagonisti proprio sull’indice che analizza l’andamento dei fine wine sul mercato secondario: Bordeaux, Borgogna, Toscana, Piemonte e California.
Il risultato non è scontato. I vini rossi di Bordeaux, nei tre decenni presi in esame, hanno vissuto una crescita delle gradazioni alcoliche costante, passando da una media di 12,8 gradi negli anni Novanta ai 13,4 gradi degli anni Duemila, fino ai 13,7 gradi dell’ultimo decennio: quasi un grado in più nel giro di 30 anni.
Un destino che appare ineluttabile, ma che tale non è. L’agronomia, infatti, sa offrire tante risposte alle sfide poste dal global warming: dalla gestione della chioma alla gestione dei tempi di raccolta, il contenimento e la gestione del grado zuccherino delle uve, e quindi del grado alcolico dei vini, è gestibile. Non solo, anche in cantina, dalla scelta dei lieviti alla decisione di non utilizzare mosti concentrati, si può intervenire in tal senso. Ed, infatti, in Borgogna, terra di Pinot Nero e di etichette che hanno fatto dell’eleganza la loro cifra stilistica, l’alcol medio è cresciuto pochissimo tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, di poco sopra i 13 gradi, per poi segnare una impercettibile decrescita negli anni Dieci del Terzo Millennio. Andamento simile in California, dove, però, il punto di partenza è decisamente diverso. I vini della Napa Valley, negli anni Novanta, in media sviluppavano ben più di 13,5 gradi, per schizzare sopra i 14,5 il decennio successivo, e tornare a decrescere negli ultimi dieci anni, restando comunque sui 14,4 gradi.
Arriviamo, quindi, in Italia, dove Piemonte e Toscana confermano il trend californiano. Nelle Langhe (ma non solo), negli anni Novanta, il grado alcolico si aggirava mediamente intorno ai 13,9 gradi, diventati 14,3 gradi nel primo decennio degli anni Duemila, valori sostanzialmente stabili nell’ultima decade. Tra i filari di Brunello di Montalcino, Chianti Classico, Bolgheri, invece, si partiva leggermente più indietro, da vini che, in media, sviluppavano 13,7 gradi di alcol negli anni Novanta, cresciuti a 14,1 nel decennio successivo, e poi a 14,2 nell’ultimo, praticamente sugli stessi livelli dei vini piemontesi.
Resta, quella della gestione dei cambiamenti climatici in vigna, una delle più grandi sfide, sia da un punto di vista delle malattie della vite che delle uve, specie nell’ottica di un mercato che, se dagli Usa per almeno due decenni chiedeva vini dal grado alcolico importante, oggi predilige declinazioni meno potenti, più eleganti e, quindi, con meno gradi alcolici. Che, è sempre bene ricordarlo, in etichetta riportano un arrotondamento che, se in Unione Europea accetta un margine di errore di 0,5 gradi, in Usa gode di un margine di manovra di 1 grado per i vini sopra i 14 gradi e di 1,5 gradi per quelli sotto i 14 gradi.
“Questa è un’istantanea straordinaria dei cambiamenti significativi che stanno avvenendo in alcune delle più importanti regioni vinicole del mondo”, commenta Justin Gibbs, co-fondatore e direttore del Liv-ex. “Questi vini che abbiamo analizzato rappresentano i vini scambiati su Liv-ex, una vasta gamma di etichette, per lo più pregiate. Poiché la fascia più alta del mercato stabilisce in genere il punto di riferimento per il resto del mercato, è possibile che questo stesso modello si ripeta lungo tutta la catena del valore del vino”, chiosa Gibbs.
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