Come raccontare oggi un territorio del vino al mondo, valorizzarlo e narrarlo al meglio? “È molto semplice, e molto complicato al contempo: basta inventarne il mito”. Così a WineNews il critico d’arte ed istrione Philippe Daverio. Che spiega: “il mito del vino italiano 50 anni fa non c’era, o se esisteva era molto popolaresco, Il fiasco di Chianti nei quadri di Ardengo Soffici, per esempio. Poi c’è stato il metanolo, e da quel momento in poi è iniziata la rinascita, cioè un progetto di sviluppo. Che oggi, però, deve trovare una serie di declinazioni, tenendo presente come linea guida l’equilibrio del paesaggio. Non amo usare “bellezza”, in questo contesto, perché è parola troppo confusa, preferisco parlare di “armonia”: va trovata un’armonia tra la vigna, il paesaggio, i luoghi di produzione, un certo tipo di italianità, di passione per la cucina italiana che gira per il mondo. E capire che in questo gioco dell’armonia si troverà, anche per i territori del vino la possibilità di vincere sui mercati, anche sul fronte del prezzo”. Insomma, in una parola, valorizzare in maniera equilibrata “l’insieme” delle diverse risorse di un territorio importante dal punto di vista enogastronomico.
“Noi, a differenza dei francesi - aggiunge Daverio - non abbiamo mai posto in essere un rapporto “natural” fra il formidabile territorio storico dell’Italia ed il prodotto della vigna, ed è questo uno dei primi passi da compiere. A cui va aggiunto un altro passo, quello della costruzione sogno che rappresenta il vino italiano. Che corrisponde ad uno stile di vita italiano, ad un modo di comportarsi diverso”.
Perché, in linea di massima, continua il critico, quelli italiani “non sono vini che richiedono due ore di “gestione” seduti in una poltrona di cuoio, ma permettono di essere molto più allegri e vivaci, molto più mediterranei. Tutti questi valori e caratteristiche dovrebbero essere messi in un progetto. Anche perché l’Italia oggi è di successo, malgrado gli italiani, non c’è niente da fare”, scherza Daverio, che spiega: “perché in certi campi ha sfondato, come in quelli della creatività, del design, della moda, e ovviamente del cibo. Anche perché la cucina di oggi è più vicina a certe leggerezze comportamentali italiani di quanto non lo sia certe passioni articolare e complesse delle salse francesi, per esempio. È una delle grandi cucine del mondo, che ha una sua logica estetica, una voglia di parallelismo con i vini che si bevono, e forse addirittura con le acque minerali e con il caffè”.
Una “complessa semplicità”, insomma, che deve ritrovarsi anche nel linguaggio delle degustazioni, secondo colui che, con il suo modo di fare e di raccontare, ha portato, per anni, l’arte nelle case degli italiani, nell’ora del pranzo della domenica, attraverso la televisione.
“Il linguaggio complesso va rivisto: chi se ne frega di cose come “sapore di mandorla accompagnato a Iris in un giorno di primavera dopo il primo fulmine””, spiega con un’iperbole. “Riduciamo il linguaggio, il famoso milanese “parla come mangi” ha una certa logica, va abbandonata la retorica. E magari introdotta una cosa più divertente, che è il pettegolezzo”.
Un’ultima battuta, con un velo di sarcasmo, Daverio la dedica al tanto discusso tema di “arte ad Expo 2015”. Perché portarcela e come, visto che il tema è “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”?
“É difficile parlarne ora, diciamo che sul tema c’è stata una distribuzione di incarichi non sempre corrispondenti ad un progetto vero e proprio. Per ora facciamo tanti auguri ad Expo2015, sperando che riesca bene, e che trovi risposte alle domande che vengono poste. Ma, certo, è che gli annunci fatti fino ad oggi … non sono molto rassicuranti”.
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