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CONFAGRICOLTURA: "RIVEDERE LA LEGGE SULLE DOC, UN MARCHIO CHE DEVE INDICARE ORIGINE, QUALITA' E TRADIZIONE"

A quasi dieci anni dall'approvazione della legge 164/92 sulle denominazioni d' origine dei vini, "occorre promuoverne la revisione sia in conseguenza dell'esperienza fatta a livello applicativo, sia per corrispondere alle aumentate esigenze di valorizzazione della produzione docg e doc". A sostenerlo è la Confagricoltura secondo la quale, però, tale opera di revisione deve mantenere fermo l'assunto che la doc deve rappresentare una selezione del meglio della produzione vinicola dovuto alle caratteristiche del territorio da cui proviene: doc uguale a "origine più qualità più tradizione", secondo la dottrina francese. Per Confagricoltura, dunque, la revisione della normativa dovrebbe "chiaramente escludere" la possibilità di creare doc di basso profilo qualitativo e onnicomprensive del territorio e della produzione di intere regioni, o doc di fantasia (con nomi individuati a tavolino il cui uso non sia storicamente dimostrabile per un vino) per tipologie di prodotto che non hanno tradizione e tipicità (novelli, passiti, frizzanti e spumanti). Allo stesso modo, per l' associazione di categoria, dovrebbe essere tassativamente escluso l' allargamento di eventuali zone Doc a territori più o meno limitrofi. "Se tali principi venissero trascurati - sostiene la Confagricoltura - vedrebbe sminuito il valore patrimoniale dei vigneti che veramente meritano la doc, e si darebbe puramente a chi opera a livelli commerciali la più ampia facoltà di scelta d'acquisto tra chi offre il miglior prodotto al minor prezzo". Per quanto riguarda la politica di mercato del settore, la Confagricoltura, pur valutando positivamente le misure previste in favore del rinnovamento del patrimonio viticolo della nuova Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo (aiuti alla ristrutturazione dei vigneti e incentivi per nuovi impianti nelle zone Doc), ritiene che l'applicazione di tali misure debba essere condotta, nell'arco dei prossimi anni, tenendo d'occhio l'andamento di mercato, che non appare del tutto risanato per la crisi di sovraproduzione nel decennio 1985-1995. Per Confagricoltura, quindi, "la scelta di qualità e tipicità, da tempo operata da larga parte delle aziende vitivinicole, appare ormai l'unico mezzo per restare sul mercato, data la notevole differenza di costi di produzione (e quindi di prezzo all'origine) tra il nostro Paese e la maggior parte di quelli concorrenti".


Documento di Confagricoltura: i principali problemi del settore vitivinicolo


Politica delle denominazioni di origine
La Confagricoltura ritiene che, a quasi dieci anni dall’approvazione della legge 164/92 sulle denominazioni d’origine dei vini, occorra promuovere la revisione, sia in conseguenza dell’esperienza fatta a livello applicativo, sia per corrispondere alle aumentate esigenze di valorizzazione della produzione Docg e doc. In ogni caso, però, tale opera di revisione deve mantenere fermo l’assunto che la denominazione d’origine deve rappresentare una selezione del meglio della produzione vinicola, dovuto alle caratteristiche del territorio da cui proviene: Doc uguale a “origine, più qualità, più tradizione”, secondo la dottrina francese. La Doc, cioè, non può essere reinterpretata come una qualifica nobilitante a disposizione di tutti, da utilizzare in base alle esigenze del mercato e secondo il giudizio delle singole aziende che operano nel settore distributivo, oppure in base alla qualità ottenuta annualmente in cantina, come avviene in Germania e nei concorsi enologici. In sintonia con l’esigenza di mantenere fermo il principio, finora universalmente accettato, della doc intesa come “origine, qualità e tradizione”, la revisione della Legge 164 dovrebbe chiaramente escludere la possibilità di creare Doc di basso profilo qualitativo e omnicomprensive del territorio e dalla produzione di intere regioni, o Doc di fantasia (cioè con nomi individuati a tavolino, il cui uso non sia storicamente dimostrabile per un vino), per tipologie di prodotto che non hanno tradizione e tipicità (come nel caso di novelli, passiti, frizzanti e spumanti). Se i principi sopraelencati venissero trascurati, verrebbe sminuito il valore patrimoniale dei vigneti che veramente meritano la Doc, e si darebbe a chi opera a livello puramente commerciale la più ampia facoltà di scelta d’acquisto tra chi offre il miglior prodotto al minor prezzo.

Politica di mercato
La Confagricoltura, pur valutando positivamente le misure previste in favore del rinnovamento del patrimonio viticolo della nuova Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo (aiuti alla ristrutturazione dei vigneti e incentivi per nuovi impianti nelle zone doc), ritiene che l’applicazione di tali misure debba essere condotta, nell’arco dei prossimi anni, tenendo d’occhio l’andamento del mercato, che non appare del tutto risanato dalla crisi di sovrapproduzione intervenuta nel decennio 1985/1995. Proprio nella corrente campagna, il basso livello dei prezzi e il ricorso alla distillazione per oltre 5 milioni di ettolitri di vini da tavola fanno ritenere che il “restyling” delle superfici produttive debba essere programmato con attenzione, considerando prioritariamente le potenzialità qualitative e le possibilità di sbocchi commerciali, soprattutto all’estero. Sono infatti i mercati esteri, comunitari e mondiali, quelli che presentano maggiori prospettive di crescita commerciale per i vini italiani, laddove il mercato nazionale richiede agli operatori sforzi sempre più grandi per mantenere le proprie posizioni. La tendenza attuale degli scambi con l’estero premia le aziende vitivinicole che offrono produzioni docg e doc di alto pregio. Queste aziende sono “trainanti” per tutte le altre imprese che si affacciano sui mercati internazionali e, grazie a loro, l’Italia in molti Paesi ha superato la Francia come primo esportatatore di vini. La sfida con i Paesi vinicoli concorrenti, sia europei che extraeuropei, si gioca ormai principalmente sui prodotti di qualità ed ha come scenari principali il già avviato mercato nordamericano e i nuovi mercati asiatici, che sono quelli suscettibili di maggiore espansione (basti pensare alla sola Cina) pur presentando notevole instabilità, sia nei flussi esportativi che nei rapporti con gli importatori. Altrettanto agguerrita si presenta la competizione del mercato comunitario, rappresentato dai Paesi nordeuropei non produttori e dalla Germania (che produce vino ma in misura insufficiente rispetto al consumo interno). Qui, oltre alla consolidata presenza dei vini a denominazione d’origine statunitensi, californiani, sudafricani e cileni, cresce l’importazione (come prodotti sfusi) di vini da tavola argentini e dell’Europa orientale, che negli Stati nordici dell’Unione Europea vengono imbottigliati direttamente o utilizzati per la produzione di spumanti di bassa qualità. Tale situazione tende a confermare che la scelta di qualità e tipicità, da tempo operata da larga parte dalle aziende vitivinicole italiane, appare ormai l’unico mezzo per restare sul mercato, data la notevole differenza di costi di produzione (e quindi il prezzo all’origine) tra il nostro Paese e la maggior parte di quelli concorrenti.

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