Razionalizzare i costi, ovvero non abbatterli rischiando di compromettere la qualità del prodotto, ma eliminare gli sprechi, anche per capire davvero quanto è il costo di produzione di una bottiglia che va sul mercato: oggi per chi produce vino non è una possibilità, ma un dovere imposto dalla crisi economica e dell’etica imprenditoriale. Ecco il messaggio che arriva dalla chiusura del Congresso Assoenologi.
“Serve una presa di coscienza dei costi che spesso chi produce vino non ha”, spiega Paolo Peira, direttore di Antesi, società di formazione professionale per il mondo agricolo (www.antesi.net) Quanto è, per esempio il costo di produzione di una singola bottiglia? Le variabili sono tante, chiaramente, “ma prendendo a modella un’azienda che ha 200 ettari di vigna e un volume di produzione di 1,5 milioni di bottiglie all’anno, si può dire che tra costi energetici, manodopera nella varie fasi, dalla vendemmia all’affinamento, dal confezionamento allo stoccaggio, dalla materia prima alla vinificazione, si può stimare che il costo varia da 1 euro a bottiglia, per esempio per un rosso di qualità medio bassa prodotto in 700.000 bottiglie, a 4,3 euro per uno di alta qualità di cui si facciano solo 50.000 bottiglie. Ma, al di là dei numeri, l’importante è fare un’attenta analisi dei costi voce per voce, caso per caso, per capire come razionalizzare il più possibile le spese, come avviene nelle aziende di successo di ogni settore merceologico”.
Razionalizzare i costi, insomma si può, e anche a partire dal vigneto, soprattutto “attraverso una meccanizzazione che non peggiora la qualità, anzi, spesso la migliora. E si può abbattere il tempo di lavoro (e, quindi, il costo) dalle 300 ore per ettaro del lavoro manuale, fino a 20-30 ore per ettaro se non, in alcuni casi soprattutto in pianura, a zero ore di lavoro umano” dice Luigi Bonato, direttore Evoluzione Ambiente, specializzata nella gestione meccanica delle operazioni colturali nei vigneti. “E non bisogna aver paura per la qualità, perché grazie a macchine sempre più affidabili, calibrate e sofisticate, e a strumenti basati sul Gps che consentono interventi precisi e mirati in ogni fase, dall’impianto alla vendemmia, passando per la potatura ed i trattamenti, con dati puntuali su ogni pezzo di vigneto, si riesce anche a condurre il vigneto e a raccogliere l’uva in situazioni ottimali che, soprattutto per grandi aziende, sarebbe impossibili da fare altrettanto bene, e per altro con un impatto sull’ambiente ridotto grazie ad un utilizzo più preciso e con meno spreco dei trattamenti. Non è un caso, per fare un esempio, che, in Francia, ci siano ben 20.000 vendemmiatrici meccaniche attive, mentre in Italia solo 2.000. Anche, se ovviamente, ci sono situazioni in cui le caratteristiche morfologiche del terreno, soprattutto in zone collinari con grandi pendenze o montuose, l’uso della meccanica sarebbe molto meno vantaggioso, se non impraticabile in alcune fasi”.
In ogni caso, quello che si deve capire è che il “l’azienda vinicola, che ha certamente le sue peculiarità e specificità, va considerato come una qualsiasi altra azienda, deve generare profitto e liquidità - ha detto Enrico Zanoni, direttore generale Cavit, una delle realtà vinicole cooperative più importanti d’Italia (www.cavit.it) - altrimenti non sta in piedi. Certo, ci sono criticità proprie del prodotto e del sistema produttivo, dai lunghi tempi che servono per ottenere un vino alla non replicabilità della materia prima, perché ogni vendemmia è diversa, dalla piccola dimensione della stragrande maggioranza delle cantine italiane al loro frazionamento che, per esempio abbassano di molto il potere contrattuale con la grande distribuzione, ormai canale di vendita predominante.
Ma se è vero che il vino non può essere gestito tout court con modelli che vanno bene per tanti beni di largo consumo, è altrettanto vero che alcuni punti chiave in comune ci sono e vanno tenuti presenti quando si fanno pianificazioni di medio lungo periodo, ma anche nel breve. Come il fatto che serva massa critica per fare economia di scala, più comunicazione anche sui nuovi media che offrono opportunità importanti e a costi accessibili. Oppure l’apertura a forme di management più evoluto e strutturato, dove possibile, o il riappropriarsi, da parte della cantine, di alcune fasi della commercializzazione troppo demandate a terzi, cosi come il rafforzamento della marca”.
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