Al tempo dell’unità d’Italia il consumo annuo pro capite di vino era di 85 litri. All’inizio del secolo toccò la punta massima, raggiungendo i 120 litri; oggi ha subito una caduta verticale, attestandosi sui 57 litri pro capite. Senza futuro dunque la tradizione italiana del vino? Assolutamente no. La tradizione durerà, anzi si espanderà sulle tavole di tutto il mondo, ma i problemi da affrontare per evitare che il vino diventi col tempo una "bevanda straniera" sono molti.
Il futuro del vino
Sul "futuro del vino", in una recente intervista, esprime il suo punto di vista il sociologo Francesco Alberoni: "i giovani non bevono vino, al massimo bevono birra". Ed i dati da cui parte Alberoni fanno prevedere un futuro a tinte davvero fosche: le stime mondiali rivelano infatti che il consumo della birra, dal 1975 ad oggi, è raddoppiato mentre quello del vino è rimasto costante. Di fronte a questi dati, è inutile negare - osserva Alberoni - che il suo consumo si è contratto nei paesi ove faceva parte di un rito quotidiano (quali Francia, Italia e Spagna), ma contemporaneamente "è avvenuta la diffusione del vino in paesi che l’avevano sempre ignorato (le statistiche dimostrano, infatti, che il vino si beve sempre di più in Australia, Canada, Cina, Danimarca, Finlandia, Germania, Giappone, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia, Inghilterra e Stati Uniti)". Insomma, per dirla con Alberoni, "è in atto uno scambio di modelli di consumo a livello mondiale". Inoltre la coltivazione della vite e la produzione del vino di qualità si va sempre più estendendo in tutto il mondo, superando i confini storici che una volta sembravano invalicabili. Man mano che evolvono le abitudini alimentari, il vino trova una sua naturale collocazione: prima o poi "l’universalizzazione degli spaghetti" lo imporrà su tutte le tavole del mondo.
L’exploit della birra
"Una maggiore attenzione merita ancora l’exploit della birra. Questa bevanda si è affermata - rileva Alberoni - perché è a basso valore alcolico e quindi si combina meglio sia con le abitudini dei più giovani e con le mutate abitudini alimentari: si mangia di meno, ma più spesso. Panino e birra sembrano meno impegnativi degli spaghetti e del bicchiere di vino. Se c’è un rischio vino per l’Italia, sostiene comunque Alberoni, deriva dalla concorrenza. "Siamo rimasti degli artigiani, in un mercato che si sta rapidamente industrializzando e mondializzando". Ma bisogna stare attenti. E’ proprio a tale dimensione artigiana che si deve una parte importante della fortuna economica del nostro paese. Del resto "il successo mondiale del vino italiano si gioca in ampia misura in Italia" e su un terreno difficile, perché questa celebre bevanda è legata al vasto fenomeno del "made in Italy", cioè arte, paesaggio, cultura, cucina, moda … ed "ogni volta che noi indeboliamo" uno di questi beni di qualità "danneggiamo tutti gli altri".
"Nei paesi di consumo tradizionale il vino era connesso alla povertà e all’ignoranza" mentre "nei paesi nuovi si diffonde fra i consumatori più ricchi, più colti e più sofisticati. Il consumo di vino viene sempre più connesso alla conoscenza e alla cultura", sottolinea Francesco Alberoni. Insomma se il vino italiano conoscerà la crisi, vorrà dire che tutto il modello culturale italiano sarà in pericolo? "Noi dobbiamo avere paura della nostra ignoranza - conclude Alberoni - della nostra mancanza di buon gusto. Dobbiamo temerla più di ogni altra cosa. Dobbiamo proteggere la nostra civiltà". Altro che "problemi di osteria!".
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