Vino, vendemmia ricca e ora la sfida dei dazi … Siamo i primi produttori al mondo con 47 milioni di ettolitri (+ 8%), ma vinciamo soprattutto con la qualità … Gli operatori si preparano al contraccolpo delle tariffe americane nei primi mesi del 2026 … La strategia mirata per far fronte al calo dei consumi negli Stati Uniti. La ricerca di nuovi mercati. “Il 2025 si presenta come un anno dalle forti contraddizioni per il settore vitivinicolo. Siamo di fronte a una vendemmia abbondante che riporta l’Italia in testa alla classifica mondiale, con una produzione stimata di circa 47 milioni di ettolitri, in crescita del 18% rispetto al 2024. Questo risultato testimonia la vitalità produttiva del Paese, ma quantità così elevate non rappresentano necessariamente un vantaggio, perché, in questa fase di rallentamento del mercato, rischiano di trasformarsi in prodotto invenduto. Più che esaltare i volumi, è quindi cruciale puntare sulla qualità e sul posizionamento del prodotto. A maggior ragione in un contesto economico internazionale che pone sfide importanti”. Massimo Romani ceo di Argea, il maggiore gruppo vinicolo privato del mercato italiano, punta il dito sulla fonte di preoccupazione più importante per molte aziende: “I dazi imposti dagli Stati Uniti rappresentano un fattore di incertezza rilevante: i primi veri riscontri si vedranno dal primo trimestre del 2026, perché al momento, grazie a una prima fase di forti rifornimenti, non abbiamo ancora effetti rilevanti diretti sui nostri prodotti. Nel frattempo però l’inflazione su base annua in Usa è salita al 2,9% ad agosto scorso. Ciò aumenta il rischio che il potere d'acquisto dei consumatori diminuisca frenando la domanda, senza considerare la variabile del cambio euro-dollaro, che negli ultimi mesi ha mostrato oscillazioni tali da influire sensibilmente sulla competitività delle esportazioni europee”. Dunque una fase complessa, in cui aziende dalle spalle grosse riescono a tenere il passo, mentre realtà piccole e medie soffrono. Il piglio di tutti, però, resta positivo. “Il vino non può restare fermo: deve cambiare marcia, intercettare nuovi trend di consumo e diventare più attraente per le nuove generazioni”, conclude Romani.
Il punto di vista
È un punto di vista condiviso dagli operatori presenti a Milano per l’ottava edizione della Milano wine week (4-12 ottobre). Ed è esattamente la strada avviata in Usa: principale mercato di sbocco del vino italiano: 345 milioni di litri lo scorso anno, per un controvalore di circa 2 miliardi di euro. L’avanti tutta è arrivato a Chicago in occasione di Vinitaly Usa: l’appuntamento cult del vino made in Italy oltre oceano, con oltre 250 cantine presenti (rappresenta-no insieme oltre 7 miliardi di fatturato) ha sciolto oggi le righe con la certezza che esistano molti margini di crescita, a patto di muoversi con la giusta strategia. Quale? Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly su base Iwsr, il 75% dei consumatori statunitensi è concentrato in una quindicina di Stati, con in testa California, New York, Florida, Texas e Illinois. Per esempio, in California e in Florida l’identikit del consumatore di domani è maschio, di etnia ispanica, generazione Millennials. I vini su cui puntare sono rossi, sia frizzanti (stile Lambrusco), sia fermi, con spiccata morbidezza, come Primitivo e Amarone. In Georgia, Illinois e nelle due Caroline il target è giovane di etnia afroamericana: qui il ventaglio dei prodotti si allarga, con rossi, come Nero d’Avola o Shiraz, e bianche, come il Moscato d’Asti. Ancora: in Texas i giovani appartengono soprattutto alla comunità latina e preferiscono soprattutto il Lambrusco ma anche il Chianti, mentre a New York e Washington il target su cui puntare è quello dei Millennials, con vini bianchi come Pinot grigio, Vermentino e Ribolla. Insomma un’azione sartoriale, mercato per mercato: è questa la strada per reagire al calo generalizzato del consumo di vino registrato in Usa nei primi 8 mesi del 2025: l’Italia ha venduto il 6% in meno (facendo comunque meglio rispetto alla contrazione generale del 9%) ma può anche vantare due campioni: il Prosecco (+2% volume) e il Chianti Classico (+11%). Il risultato negli Stati Uniti pesa sull'export italiano nei primi 6 mesi dell’anno. Complessivamente le vendite all’estero, pari a 3,8 miliardi, hanno ceduto i 3% in volume e lo 0,5% in valore.
Chi guida
Ma quali sono le regioni che guidano la flotta italiana? I dati Istat analizzati da Winenews, sito di riferimento del settore, confermano al primo posto assoluto il Veneto (culla di Prosecco, vini della Valpolicella, Soave e Pinot grigio delle Venezie) che rappresenta da solo il 37,1% dell’export totale, l’1,3% in più rispetto al semestre 2024. Al secondo posto, con un peso del 15,2% (-1%), c’è la Toscana, terra di grandi rossi, con eccellenze in portafoglio come Chianti classico, Bolgheri, Brunello di Montalcino, Nobile di Montepulciano. E al terzo il Piemonte (14,3%, - 2,2%), patria di vini rinomati come Barolo, Barbaresco, Barbera d’Asti, Gavi. Nella top ten, le regioni che vantano export in crescita sono Lombardia (+9,1%), Abruzzo (+1,8%), Friuli Venezia Giulia (+15,2%), Puglia (+5,7%),Sicilia (+4,8%).
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