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CORRIERE DELLA SERA

Quei no alle “vigne libere” Italia e Francia contro la Ue ... Tiziana Frescobaldi: a rischio i nostri vini pregiati... Doc Nel 2015 decade il diritto di impianto. Allarme dei produttori. Vertice a Parigi…
Vini pregiati da salvare, l’Italia si accoda. La sintesi è estrema, il senso è questo: mentre la Francia sta già dando battaglia in vista di una data che appare lontana - il 2015 - ma non troppo se si considerano i tempi burocratici, contro la liberalizzazione dei vigneti decisa in sede europea, nel 2009, dall’Organizzazione comune di mercato (Ocm), noi siamo alle prime battute. Si mobilitano i Consorzi, ma l’importante è che scendano in campo le nostre istituzioni. La politica delle “vigne libere” farebbe saltare i “paletti”, introdotti nel 1972, per limitare l’estensione dei filari. Si tratta del complesso sistema delle licenze produttive indispensabili per piantare un vigneto. In altre parole, oggi vige il numero chiuso. Per mettere a frutto ettari di terreno da coltivare a vite, occorre “rioccupare” una vigna dismessa, acquisendone i diritti. Pagati a maggiore o minor prezzo, a seconda del valore dell’area vocata. Con la liberalizzazione, basterà avere la titolarità di un terreno per avviare una produzione viti-vinicola. Risultato? Rischio di sovrapproduzione e di conflitto tra vecchi e nuovi produttori. E pur vero che, attualmente, alcuni vigneti importanti sono blindati da regolamenti locali (la Regione Toscana ha emanato una legge che lascia decidere ad ogni singola Denominazione se vuole crescere o no), resta il fatto che la liberalizzazione creerebbe squilibri. Spiega Ezio Rivella, presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino: “Nel nostro territorio, le vigne potrebbero moltiplicarsi, anche se i nuovi produttori non potrebbero ottenere l’iscrizione per vigneti di Brunello e di Rosso di Montalcino. Poco importa. E il complesso del territorio che verrebbe snaturato”. Alessandro Regoli, direttore dell’Agenzia Winenews, tra i primi a lanciare l’allarme, rincara la dose: “L’impatto socio-economico sarebbe devastante per il futuro della viticultura storica. Meno male che la Merkel e Sarkozy sono pronti a dare battaglia nell’Europa dei 27 Paesi. Anche l’Italia deve impegnarsi”. Angelo Gaja, piemontese, produttore di fama internazionale, appare meno allarmato. “Mancano alcuni anni al 2015 e, di sicuro, le regole vigenti verranno prorogate fino al 2018. C’è tutto il tempo per le contromisure. Personalmente, ritengo che la blindatura debba valere per le Docg (denominazioni di origini controllate e garantite), mentre è giusto non porre vincoli ai vini data- vola. Dunque, massima attenzione ad alcune aree, evitando la speculazione selvaggia”. Aggiunge Tiziana Frescobaldi: “Uno dei problemi, in Italia, è la superproduzione di vino. Che il mercato non assorbe. Il massimo impegno di noi vignaioli è tenere alto il prodotto”. Si mostra preoccupato, Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc. “Nelle nonne Ue c’è una contraddizione - dichiara al Sole24Ore -. Da una parte, si concede ai Consorzi di fare politiche per regolare l’offerta, dall’altra si eliminano i diritti d’impianto, strumento per gestire la produzione”. “No alla liberalizzazione - gli fa eco il suo vice Giuseppe Liberatore, presidente del Consorzio del Chianti Classico - Il 4 aprile, a Parigi, ci sarà un appuntamento importante, promosso dai francesi per affrontare la questione e mettere in campo strategie efficaci. Mi aspetto che anche le nostre istituzioni facciano la loro parte”. Fuori dal coro Luca Maroni, curatore di una guida dei vini, basata sull’analisi sensoriale: “Sono per la liberalizzazione controllata. Aperto a soluzioni che portino sviluppo ad un comparto strategico. Erigere steccati rigidi è controproducente”.

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