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CORRIERE DELLA SERA

Italia, perché si beve sempre meno? ... Cambio di costume ed effetto etilometro. “Ma cresce la qualità in tutte le fasce sociali” ... Totò fumava tanto e beveva poco, ma regolarmente a ogni pasto. “Mezzo bicchiere di vino a tavola”, ha detto al Corriere (a Barbara Palombelli nel 2001) la figlia Liliana. Dai tempi di Totò, che morì nel 1967 e 69 anni, le abitudini degli italiani sono profondamente cambiate. Non parliamo, poi degli anni Cinquanta ai tempi in cui Sordi in “Un americano a Roma” mangiava con un fiasco di vino accanto al piattone di spaghetti. Una volta, dal Veneto alla Calabria, non si poteva concepire una tavola apparecchiata senza la bottiglia di vino sfuso, che era parte integrante della dieta quotidiana. Oggi sono pochi gli italiani che non rinunciano al vino ai pasti. Infatti, il consumo è sceso dai 110 litri a testa di inizio anni ‘70 ai 42 litri del 2011, secondo dati di Assoenologi. Ma perché gli italiani bevono meno? “Perché si beve meglio - dice il sociologo Domenico Masi -. Il vino oggi non si tracanna, si sorseggia. E diventato un rito”. Insomma, da alimento a bevanda legata al piacere. Il calo, infatti, riguarda i vini comuni da pasto quotidiano (soprattutto quello sfuso), mentre i Doc-Docg sono stabili. Uno dei motivi che ha portato a bere meno, ma vini di qualità, è stato senz’altro il dramma del metanolo, che nel 1986 provocò la morte di 19 persone e la cecità di altre quindici. Fu uno scandalo enorme (la Francia accusò l’Italia di essere un Paese che sofisticava i vini) e creò molto allarme. Erano soltanto 26 anni fa, ma sembra un secolo per il mondo del vino, che da allora è cambiato radicalmente. “Quel fatto - dice Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi - ha fatto cambiare pagina al settore vitivinicolo, che prese coscienza del fatto che il vino non era un mcm prodotto agricolo, ma un prodotto che doveva essere di qualità anche nelle sue fasce più basse”. Fu, quindi, seppur nella tragedia, un fatto che diede il là alla primavera del vino italiano. Nacquero consapevolezza e autocontrollo e leggi più restrittive. “Un cambio in meglio che ha educato il consumatore
- dice Masi - perché le aziende vinicole hanno inaugurato una politica marketing oriented (cioè dedicata al cliente) e non più product oriented”.
Certo, a far calare ancora il consumo hanno contribuito anche la patente a punti e l’etilometro e il vino, per alcuni, si è trasformato addirittura in un alcolico da criminalizzare, Ma l’Italia non è l’unico Paese che - pur essendo un grande produttore (il terzo a livello mondiale con la vendemmia 2011) - registra un calo del consumo. Anche in Francia e Spagna (rispettivamente primo e secondo produttore) le statistiche di consumo hanno tutte il segno meno. I transalpini nel 2010 hanno bevuto 45,4 litri di vino a persona, con un calo del 30% in 20 anni (dati Insee-Istituto nazionale di Statistica francese). In Spagna, dal 1980 al 2010, secondo l’Observatorio Espanol del Mercado del Vino, i consumi sono scesi da 50 a 18 litri a testa. Se l’Europa segna il passo, però, nel mondo c’è una sorpresa: il solo produttore mondiale importante (anche se con volumi lontani dai “tre tenori” europei) dove crescono sia consumi sia esportazioni sono gli Stati Uniti, che hanno visto l’export schizzare del 21,7% nel 2011 sul 2010, a 1,39 miliardi di dollari, e dove il consumo pro capite mancia spedito verso i 10 litri all’anno.
Gli esperti del settore, del resto, dubitano che il vino potrà mai essere sostituito da un’altra bevanda. “Il vino è un grande compagno della tavola degli italiani, anche se sempre più spesso lo è soltanto nelle occasioni di socialità - dice Alessandro Regoli, direttore dell’agenzia di specializzata WineNews -. Detto questo, fa parte inesorabilmente della cultura italiana. Tanto che il mercato principale dei nostri produttori è e rimane quello interno, anche se l’estero cresce in doppia cifra”. Gli italiani nelle loro scelte rimangono campanilisti. I vini stranieri hanno una fetta pari al 6-7% nel nostro mercato, quota che non accenna a crescere. Qualche esempio? Marco Caprai, il produttore che ha rilanciato il Sagrantino di Montefalco nel mondo, dice che senza il mercato Italia tutto sarebbe relativo. Il rapporto è 60% mercato interno e 40% estero. La predominanza del mercato italiano vale per i rossi, ma soprattutto per le bollicine, che - forse proprio perché tradizionalmente legate ai “brindisi” - non perdono terreno. “Il mercato più importante è quello nazionale, che rappresenta circa l’80% del nostro fatturato - spiega Matteo Lunelli, presidente delle Cantine Ferrari -. E anche se gli spazi maggiori che ci attendiamo sono oltre confine, riteniamo che anche in Italia le bollicine ne di qualità abbiano ancora margini di sviluppo”. Dunque, per la crescita delle vendite bisogna internazionalizzarsi, ma per fortuna le aziende italiane lo sanno fare molto bene. “Con 24 milioni di ettolitri di vino venduti nel 2011, i volumi delle esportazioni hanno superato quelli dei consumi interni, fermi a 20 milioni di ettolitri”, dice il presidente del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative Adriano Orsi commentando i dati definitivi rilevati dall’Istat. Il vino delle nostre regioni è sempre più apprezzato all’estero. La tendenza delle esportazioni è estremamente positiva. La domanda internazionale nel 2011 è salita del 10% in volume e del 12% in valore, raggiungendo i 4,3 miliardi di euro.

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