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D Di Repubblica

Come dite Bordeaux in cinese? … La Francia è divisa. Non a tutti piace che un gruppo di investitori del celeste impero, vicni al Tycoon Jack Ma, stia comperando i castelli e le vigne più blasonati del Paese... Un maledetto cavatappi! Da qualche parte in questa mega cucina ce ne dovrà pur essere uno. Primo cassetto: posate e bacchette. Secondo cassetto: cialde Nespresso. Terzo cassetto: pentole e padelle. Tutte nuove, ancora nelle confezioni. Li Lijuan si gira, ruotando sui tacchi. Che sia sulla cantinetta frigo delle magnum? O nello scaffale dei calici di cristallo? Chateau Mylord è appartenuto a cinque generazioni di vignaioli della regione di Bordeaux. Sembra, però, che il cavatappi i francesi se lo siano portati via nell’ultimo trasloco. L’agente immobiliare Li, nel 2013, ha venduto questo castello con 44 ettari di vigne annesse a Edwin Cheung, un magnate immobiliare di Hong Kong. Da allora molte cose sono cambiate. Cheung, seguendo le indicazioni di Li, fino a oggi ha investito nella proprietà 12 milioni di euro. Forse manca il cavatappi, ma il castello ha una piscina coperta, un pianoforte bianco a coda (elettrico), 17 posti letto e un campo da golf. L’impianto karaoke, poi, è il top di gamma, collegato direttamente a un server di Hong Kong: “Non va mai spento, sennò ci vogliono tre giorni per ricaricare tutti i brani”, spiega. E questo sì che farebbe saltare i nervi ai nuovi proprietari. Che però vengono raramente, per lo più weekend lunghi organizzati all’ultimo momento. Ogni tanto, anche Jack Ma fa capolino per un “giro di karaoke”. Il fondatore di Alibaba è il secondo uomo più ricco della Cina - i suoi introiti sono stimati intorno ai 20,5 miliardi di dollari - e qui in Francia è sostanzialmente un vicino di casa di Monsieur Cheung: il suo Chateau Sours dista appena cinque minuti d’auto. Anche Ma ama il karaoke. Come tutti i cinesi del resto. Tanto quanto le buone bottiglie di Bordeaux. Negli ultimi nove anni, circa 120 castelli della regione, famosa in tutto il mondo per i suoi vini, sono stati acquistati da cinesi. Il volto più noto è certamente Ma, il Bill Gates dagli occhi a mandorla, che lo scorso anno, con una dozzina di amici e soci d’affari (fondatori di aziende, speculatori o attori che hanno fatto fortuna nell’immobilare, nei parchi divertimento o nei videogiochi), ha acquistato nuove dimore o vigneti nel Sud - ovest della Francia. Quello che li lega è la passione per il vino e uno spiccato senso del business. Da tempo, infatti, la Cina è il paese più importante per l’export di rossi francesi: circa il 60% dei vini europei venduti vengono dall’Hexagone. E di questi, il 60% è bordolese. Il mercato asiatico, guidato da Hong Kong, Giappone e India, attira sempre più grazie al crescente numero di nuovi estimatori di vini. E i cinesi non sembrano intenzionati a lasciare l’intero business in mano ai francesi. Mentre, almeno per ora, le cantine italiane non rientrano nelle strategie dei tycoon dell’Impero di Mezzo: anche se qualche avanguardia recentemente è stata segnalata in Piemonte, Toscana, Veneto e Trentino, l’interesse è per le etichette, non per le aziende. E anche in termini di mercato il made in Italy è indietro: con una quota del 5,6%, il Belpaese è fermo al quinto posto tra i top exporter di vino in Cina. Infatti il Bordeaux resta il più richiesto: solo nel 2015 sono state vendute circa 64 milioni di bottiglie, con un incremento del 31% rispetto al 2014. La parola stessa “Bordeaux” è ormai sinonimo di lusso, proprio come una borsa Louis Vuitton o una Mercedes cabrio. Chi ha avuto successo, in questo modo mette in mostra il proprio gusto e la propria cultura. “Un castello nel Bordeaux rappresenta il massimo degli status symbol”, continua Li, “un lusso oltretutto accessibile per i miei clienti. Oggi infatti, con 4 milioni di euro a Hong Kong ci si può permettere a malapena un piccolo appartamento, mentre qui si può acquistare uno chàteau. O quantomeno un immobile degno di questo nome”. All’inizio del 2016, il club dei miliardari cinesi ha anche fondato “Cellar Privilège”, una società per la distribuzione di vini bordolesi in Asia. Il business si sviluppa principalmente online, su Alibaba e altre piattaforme di e - commerce, e le bottiglie vengono da 60 aziende, tra cui una quarantina di proprietà dell’illustre gruppo di investitori che ruota intorno a Jack Ma. E c’è anche l’etichetta Chàteau Monlot, dell’azienda dell’attrice, regista e modella Zhao Wei. La quarantunenne star nel 2011 ha ricevuto in regalo dal marito, l’imprenditore Huang Youlong, questo castelluccio da 10 milioni di euro nella zona di Saint - Émilion. La lunga costruzione in tipica pietra color sabbia al momento è un cantiere. I nuovi elementi di colore rosso, finiture intagliate e aggiunte al tetto, ricordano l’architettura dei templi cinesi. Pare che in cantina ci sarà un’”oasi del karaoke” da 200 mq. La coppia ha investito 400 milioni di dollari in Alibaba - Pictures e possiede oltre 60 ettari di vigne nel Bordeaux. Tra i nuovi investitori del vino, è Zhao l’imperatrice. Basti pensare che fino a poco tempo fa una bottiglia di Chàteau Monlot costava 11 euro, mentre oggi, che si fregia del suo autografo sull’etichetta, ne costa 32 (gli esperti sottolineano che l’aumento non è assolutamente giustificato dalla qualità). Ciononostante, all’incontro annuale dell’antica confraternita del vino Jurade de Saint - Émilion, Zhao viene accolta a braccia aperte. Quando mai potrà ricapitare che un nuovo membro porti 73 milioni di fan su Weibo, il Twitter cinese? Davanti a tale evidenza, anche i vignaioli vecchia scuola chiudono volentieri un occhio. “Certo, alcuni non apprezzano l’interesse dei cinesi”, commenta Hervé Grandeau. Agli scettici, però, il presidente della Fédération Grand Vins de Bordeaux spiega che la storia dell’area si è sempre intrecciata con quella degli investitori stranieri, soprattutto inglesi, belgi e tedeschi. La Fédération cura gli interessi di oltre 6 mila produttori e punta tutto sulla mediazione culturale e sugli effetti del marketing globale. Provoca Grandeau: “Chi meglio dei volti noti cinesi può rappresentare i nostri vini e la nostra terra? E, soprattutto, non sarebbe molto più pericoloso per i vini francesi se i cinesi investissero in Cile o Argentina?”. In ogni caso, a detta di Grandeau, non bisogna esagerare: nella zona, infatti, ci sono circa 8 mila aziende vinicole. Oggi, in mano cinese si trova solo il 3% dei terreni migliori. “E tra questi, non c’è un solo Grand Cru Classe”. Eppure, dice Li, questa è una richiesta comune dei suoi clienti. “Tutti vogliono una tenuta del calibro di Mouton Rothschild o Cheval Blanc. Io, però, i cinesi li conosco bene: alla fine si aspettano il return on investment”. Quindi lei avverte sempre i clienti che un’azienda vinicola non funziona come una start - up qualunque, e che è facile perdere, rapidamente, molto denaro. È, un “expectation management”, come lo definisce l’affarista con gli orecchini di Chanel. Frédéric Massie sa bene quanto denaro e quanta pazienza siano necessari per realizzare un grande vino: è enologo e partner dello studio di consulenza legale Derencourt, specializzato in aziende vinicole. “Le persone vanno e vengono, le vigne restano”, recita il mantra dello studio. Massie si occupa di una ventina di clienti tra il Médoc ed l’Entre - deux - Mers in Francia oltre che in Turchia, Spagna e Portogallo. Anche Chàteau Monlot e alcune tenute di cinesi sono seguiti direttamente dal consulente. Ciononostante, il modo in cui le cantine degli asiatici siano intrecciate l’una con l’altra dal punto di vista del business resta un segreto anche per lui. Il legame dell’Equipe de Monlot - così si chiama il gruppo che ruota intorno a Zhao e a Ma - è effettivamente difficile da decifrare. Accade spesso, infatti, che le aziende non vengano acquistate da singoli, ma da gruppi di imprese o dalle loro filiali, per risparmiare sulle tasse, azzerare il gossip e tagliare i costi. L’Haichang - Group, per esempio, è proprietario di 23 tenute acquistate dal magnate Qu Naijie per sé, la moglie, il figlio e il nipote. E il vino prodotto dai suoi 700 ettari, Monsieur Qu lo vende poi nei parchi di divertimento di sua proprietà. L’Equipe de Monlot, in particolare, condivide le spese per traduttori, avvocati, enologi e per i consulenti come Massie. Di questo gruppo attualmente fanno parte almeno 15 aziende, che producono vini più o meno buoni. “All’inizio”, spiega Massie, “i cinesi erano principalmente interessati ai castelli. Le vigne intorno più di tanto non li infastidivano. Oggi, invece, i nuovi arrivati ispezionano con attenzione anche i vigneti pertinenti. Per me si tratta di un’evoluzione positiva”. Anche l’immobiliarista Li Lijuan invita a un po’ di comprensione per i suoi connazionali. Spiega che i cinesi amano la cultura e il lifestyle francese, ma che il loro gusto e la capacità di apprezzare il vino sono ancora in fase di sviluppo. “La prima volta che ho sorseggiato un rosso importante, l’ho trovato terribilmente acido”, ricorda ridendo. La stessa cosa capita agli europei che assaggiano il tè: pochissimi sono in grado, la prima volta, di apprezzare pienamente una tazza di Pu - Erh, il più costoso del mondo, che può arrivare a costare fino a 700 euro al chilo. Per i vini cinesi, invece, non c’è ancora una classificazione secondo la provenienza o l’imbottigliamento. “Comunque, tutti oggi in Cina sanno perfettamente che Bordeaux è sinonimo di qualità”, precisa, “e che è un originale, non una copia. Queste cose le impariamo in fretta”. Alla prima occhiata è facile scambiare Li Lijuan per una persona superficiale: pellicciotto verde, sandalo aperto anche a dicembre, iPhone con la cover di Hello Kitty. Lei sa benissimo di venire spesso sottovalutata, ma se ne fa una ragione. La trentaduenne donna d’affari si è laureata in business in Francia, parla correntemente cinque lingue e oggi, tra i colleghi francesi, si è costruita una solida reputazione come immobiliarista. È una donna capace di mediare tra culture diverse. Lo scorso anno si è sposata con il rampollo di una dinastia di produttori di vino del Bordeaux e, come sottolinea lei stessa, certo non dovrà fare affidamento sull’eredità del marito. “Noi cinesi ricordiamo ancora molto bene cosa significa essere poveri. I miei genitori, da bambini, erano costretti a contare ogni chicco di riso”. Oggi la figlia conta i castelli nel Bordeaux: nel 2016 Li ha portato a termine 12 transazioni. Questo successo dipende certamente anche dal fatto che la crisi economica non ha risparmiato le nobili dinastie del vino. Nel 2008, nella regione c’erano ancora oltre mille aziende. La generazione successiva, però, vuoi per mancanza di passione, vuoi per mancanza di fondi, non è sempre stata in grado di tenere in piedi le attività. Ogni anno, di conseguenza, chiudono circa 150 imprese. “I cinesi hanno liquidità a sufficienza per portare avanti questa tradizione”, sostiene Li mentre si rimette in posa per il fotografo. Ed è proprio lui che, al termine della chiacchierata, estrae dal cilindro un cavatappi. Li, pensierosa, versa il vino in un ampio calice. “Per la verità”, sussurra tra sé e sé, “la mia unica preoccupazione è che un giorno i castelli finiranno”.

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