Correva l’anno 1982, l’Italia di Enzo Bearzot e Paolo Rossi vinceva il “Mundial” in Spagna, mentre un giornalista americano, Burton Anderson, pubblicava “Vino. The Wines & Winemakers of Italy”, di fatto il primo libro di caratura internazionale che puntò la luce dei mercati internazionali, Usa e Uk in testa, ma non solo, su un’Italia del vino che era un’illustre sconosciuta, allora, e che trainata da poche grande famiglie del vino e da qualche artigiano, iniziava la sua rivoluzione, o meglio il suo “Rinascimento” enoico, che l’avrebbe portata, in 30 anni, ad essere uno dei paesi leader sui mercati di tutto il mondo. Un contributo fondamentale, quello di Burton Anderson, premiato oggi a Firenze in Palazzo Antinori dall’Istituto Grandi Marchi guidato da Piero Mastroberardino (che mette insieme 19 delle cantine più prestigiose del Belpaese, come Alois Lageder, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Antinori, Argiolas, Col d’Orcia, Ca’ del Bosco, Carpenè Malvolti, Donnafugata, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi, Mastroberardino, Michele Chiarlo, Pio Cesare, Rivera, Tasca d’Almerita, Tenuta San Guido e Umani Ronchi, che mettono insieme un fatturato di 570 milioni di euro ed il 6% di tutto l’export di vino italiano), in un incontro, moderato dal giornalista Daniele Cernilli, diviso tra ricordi e prospettive. Di quanto sia cambiato il vino italiano, “prima di tutto grazie al fatto di aver puntato sulla qualità”, hanno detto ad una voce produttori che il “Rinascimento” del vino l’hanno vissuto da protagonisti, da Piero Antinori, alla guida della Marchesi Antinori, a “Mr Amarone” Sandro Boscaini (Masi Agricola), ad Angelo Gaja, lo dicono i numeri: a fronte di consumi pressochè invariati a livello mondiale (240 milioni di ettolitri alla fine degli anni ‘80, 246 nel 2018), l’Italia è passata da 12,6 a 19,5 milioni di ettolitri esportati, e soprattutto da 919 milioni di euro (dato al 1991) ad oltre 6,2 miliardi di euro in valore, cambiando non solo le quantità, ma la composizione del suo export, come ha spiegato Denis Pantini (Nomisma): “alla fine degli Anni Ottanta praticamente l’Italia esportava un terzo di quello che consumava internamente, mentre ora da diversi anni su due bottiglie prodotte una va all’estero. Fino a 30 anni fa, inoltre, più della metà del nostro export era legato al vino sfuso, mentre oggi quest’ultimo pesa solo il 20% in quantità, ed il 5% in valore. Per quanto riguarda infine i mercati di destinazione, se un tempo per l’Italia l’area comunitaria era la prima destinazione, con la Germania a fare la parte del leone, ormai il baricentro si è decisamente spostato su altri mercati, Stati Uniti in testa, dove il nostro Paese ha registrato un plus del 230% nelle quantità di vino complessivamente esportate dal 1990 al 2018”. E proprio gli Usa, mercato di riferimento dell’Italia (e dove il Belpaese si gioca la leadership di quota di mercato punto a punto con la Francia), sono misura dell’aspetto su cui si gioca il futuro del vino italiano, perchè se il valore medio delle importazioni americane è di 6,2 dollari al litro per il vino in bottiglia, non solo l’Italia è lontana dalla Francia (9,6 dollari) e anche dalla Nuova Zelanda (7,3), è anche sotto la media, con un prezzo fermo a 5,8 euro al litro.
Per questo forse, al netto degli sforzi encombiabili delle imprese, che di risultati ne hanno portati a casa, servirebbe un nuovo Burton Anderson, magari in Asia, per dare il là ad una nuovo capitolo della storia del vino italiano. Che pure ha il dovere, guardando al futuro, di ricordare il suo passato, ed il tanto di buono che è stato fatto.
“Il primo vino italiano che ho assaggiato è stato Chianti in fiasco, e allora ho scritto un articolo sul fiasco in tutti i sensi, come contenitore di vino, e nel senso di “fare fiasco”, ed io ne ho fatti tanti - ha scherzato Burton Anderson - e sto scrivendo questo libro che ripercorre la mia carriera, in modo scherzoso, anche attraverso tanti articoli che ho scritto, e che spero di poter pubblicare presto, perchè oggi non è facile pubblicare libri”.
“Burton è stato una figura capace di accendere la luce sui cambiamenti del nostro piccolo mondo del vino italiano, e dall’esterno ci ha fatto notare le differenze di approccio al lavoro, che poi hanno cambiato anche il modo di posizionare il vino italiano”, ha sottolineato Piero Mastroberardino.
“Ad Anderson dobbiamo davvero molto, il suo “Vino” ha sdoganato il vino italiano nel mondo - ha aggiunto Sandro Boscaini - perchè in forma inedita ha portato alla conoscenza del mondo il senso di quello che stava succedendo nel Paese, quando in tutti i territorio fioriva la voglia di fare qualità, autenticità ed eccellenza. Di strada ne è stata fatta tantissima, anche grazie alle Doc, nate con la legge del 1963, ed i cui primi risultati si sono visti a partire dagli Anni Ottanta, e oggi forse siamo all’eccesso, con più di 520 tra Dop e Igp, che a volte sono “carne buona”, altre “carne conciata” dalla politica”, ha detto il produttore e presidente Federvini. “Da quegli anni, comunque, nasce il si successo del vino italiano, e oggi niente rappresenta la diversità delle eccellenze italiane come il nostro vino, presente in tutto il mondo”.
Il merito di Burton Anderson, ha sottolineato Cernilli, è stato anche quello di “aver saputo raccontare per primo, in modo moderno, un vino italiano che è un mondo complesso per i suoi tanti territori ed sui vitigni, in anni in cui neanche Barolo e Brunello di Montalcino era famosi, forse qualcuno di più nel mondo conosceva Barolo. Aprì a tante persone nel mondo la possibilità di conoscere il vino italiano, e di incuriosirsene”.
“Oggi è il ricordo di un periodo magico - ha aggiunto Piero Antinori - che è stato l’inizio di un processo virtuoso realizzato in un periodo relativamente breve, con il vino italiano arrivato a successi che nessuno avrebbe mai immaginato, in quello che io chiamo “il Rinascimento”, del vino italiano. Tra i protagonisti di questa bellissima storia c’è Burton Anderson, che è stato davvero il primo giornalista non italiano che ha parlato del vino italiano, che l’ha sdoganato in modo internazionale, e noi produttori non possiamo dimenticarlo. Dobbiamo avere affetto e gratitudine profonda per persona molto seria, competente e innamorata del vino italiano e dell’Italia, che ha fatto capire potenzialità del vino italiano in maniera che ha fatto affascinare il vino italiano”.
“Con il suo lavoro Anderson - ha detto Angelo Gaja - ha fatto capire al mondo che c’era un vino italiano diverso da quello “cheap and cheerful” (economico e carino, ndr), e che per venderlo andava proposto ad un prezzo più basso del più economico dei vini francesi. E riconoscendo in Antinori l’iniziatore del rinascimento italiano, gli metteva attorno una piccolo galassia di cantine medio/piccole e di diversi artigiani già riconosciuti sul mercato italiano, ha cui ha dato fiducia, e fatto capire che c’era la possibilità di arrivare sui mercati del mondo. Ha fatto un lavoro straordinario, merita un monumento da vivo, e con il premio di oggi si colma una lacuna che sarebbe rimasta gravissima, perchè dobbiamo imparare almeno a dire grazie a chi ha portato tanti benefici al vino italiano”. Un’opera, quella di Anderson, che per Teresa Severini, alla guida con la sorella Chiara Lungarotti della celebre cantina umbra Lungarotti, importante per la diffusione del vino italiano, quanto lo è stata la cucina italiana nel mondo. Un momento di ricordo e di riflessione sul passato, che serve al mondo del vino italiano anche per riflettere sul suo futuro, in uno scenario che cambia anche più rapidamente di quanto non abbia fatto in 40 anni, e sta vivendo una vera e propria rivoluzione nel mercato e nei consumi.
Focus - il Premio dell’Istituto Grandi Marchi a Burton Anderson
“Ha reso il made in Italy enoico famoso fuori dai confini nazionali e con il suo primo libro scritto agli inizi degli anni Ottanta, Vino. The Wines & Winemakers of Italy, ha dato un contributo notevole alla divulgazione del vino italiano nel mondo, facendone conoscere l’originalità, le potenzialità e le eccellenze territoriali”. È questa la motivazione alla base del premio che l’Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi ha consegnato, oggi, a Firenze, in Palazzo Antinori, al giornalista americano Burton Anderson. Nato in Minnesota è stato per diversi anni corrispondente da Parigi per l’International Herald Tribune, ma dopo un suo viaggio in Toscana alla fine degli anni Settanta, ha scelto il Belpaese come “casa adottiva” per coltivare la sua vera passione: il vino italiano. Da oltre 40 anni, infatti, vive proprio in Toscana, dedicandosi con devozione alla scoperta e alla conoscenza delle realtà vitivinicole del Belpaese, perlopiù sconosciute a livello internazionale all’epoca del suo arrivo. Definito dal New York Times come “l’autorità principale in fatto di vini italiani scritti in lingua inglese”, nel 2007 è stato inserito nella Hall of Fame degli scrittori del Wine Media Guild di New York, mentre nel 2009 è stato nominato dalla Wines of Italy Hall of Fame dell’Italian Trade Commission di New York, grazie ai suoi significativi contributi.
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