Se i romani lo annacquavano perché penetrasse “più facilmente in tutte le parti del corpo”, secoli passati ad ogni vino erano riconosciute anche “speciali qualità curative come giovare alle ulcere della bocca, alle tonsille, alle orecchie purulente, oppure stimolare la diuresi, aggiustare lo stomaco, arrestare lo sputo di sangue”. Ad elencarle è il medico-filosofo siciliano Giacomo Profetto, archiatra pontificio al tempo di Paolo III, nel trattato “Sulla natura dei diversi tipi di vino” (“De diversorum vini generum natura”), “gioiello letterario” del Cinquecento italiano scritto in forma di dialogo, che si apre con un inno a Bacco e al piacere, pur consigliando un consumo moderato, e nel quale sono condensate tutte le cognizioni sul vino - letterarie, storiche, terapeutiche - prodotte fino a quel momento: tra le sue pagine è possibile trovare non solo una geografia dei vini allora conosciuti, con l’elencazione delle loro qualità e proprietà salienti, ma anche una “scienza del vino” che affonda le sue radici nella filosofia, nella medicina, nell’astronomia, nella mitologia e nella morale. Un testoeccezionale, del quale lo studioso Lucio Coco ha curato la prima edizione italiana.
L’archiatra pontificio è, ancora oggi, il medico personale del Papa. Profetto lo era di Paolo III, ovvero quell’Alessandro Farnese (Papa dal 1534 al 1549), ritratto da Tiziano, che, mentre si opponeva alla Riforma Protestante istituendo l’Inquisizione, scomunicava il Re d’Inghilterra Enrico VIII, convocava il Concilio di Trento e fondava i Gesuiti, fu anche tra i più grandi mecenati del Rinascimento, committente del “Giudizio Universale” di Michelangelo nella Cappella Sistina e creatore della collezione Farnese a Roma, tra le più importanti d’Italia e d’Europa, colui che elesse cardinale Pietro Bembo, autore della grammatica più importante dell’intera storia dell’italiano, ossia le “Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua” (1525), ed al quale Niccolò Copernico dedicò la sua opera “De revolutionibus orbium coelestium”. Un personaggio tra i più famosi della storia, ricordato anche nel permettere alcuni vizi agli uomini per sopportare l’esistenza, citato molte volte anche da WineNews, nel raccontare la storia della Vernaccia di San Gimignano, tra i vini più antichi d’Italia, “regina” indiscussa di tavole e banchetti di Papi e di re, un vino bianco “regale” e “prezioso” come la descrive anche Sante Lancerio, che di Paolo III fu, non a caso, il “bottigliere”. E in un’epoca in cui filosofia, medicina, astronomia e morale si intrecciavano continuamente, il vino, “sacra bevanda”, veniva trattato e studiato anche per le sue virtù curative, alla stregua di un farmaco in grado di guarire o nuocere a seconda dell’uso, succo magico e misterioso che, nella sua vicenda millenaria, non ha mai smesso di affascinare.
Lucio Coco autore dell’edizione italiana del trattato (Casa editrice Leo S. Olschki, dicembre 2024, pp. 112, prezzo di copertina 15 euro), è curatore di importanti edizioni di testi dei Padri della Chiesa quali Giovanni Crisostomo, Evagrio Pontico, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa. Inoltre, è impegnato nello studio della spiritualità e della letteratura russa, e su testi letterari bizantini. Ha curato anche la pubblicazione dell’“Encomio del vino” (“Laus Vini”, Casa editrice Leo S. Olschki, 2018, pp.24, prezzo di copertina 6 euro) nel quale l’intellettuale bizantino Michele Psello tesse le lodi di questa bevanda che fu il primo dono di Dio agli uomini dopo il diluvio, affermandone le proprietà terapeutiche che giovano a chi è sano per la conservazione della salute, e che si rivela essere “una consolazione per chi è depresso e una cura per chi è malato”, censurando sempre l’eccesso, per cui l’encomio trova dunque la sua giustificazione morale in uno stile di vita improntato a compostezza e sobrietà.
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