L’entusiasmo per l’ingresso nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco del Climats de Bourgogne, ufficializzato il 4 luglio, ed accolto come una vittoria di tutta la Borgogna, specie in previsione della progetto della Cité des vins de Bourgogne, dal presidente del Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne (www.vins-bourgogne.fr), Claude Chevalier, è durato appena 10 giorni. Dall’Assemblea Generale del Bivb, infatti, emergono dati poco confortanti per quanto riguarda il mercato dei vini di Borgogna, su cui, nonostante il ritorno ad un raccolto “normale” (1,58 milioni di ettolitri nel 2014, +19% sul 2013), dopo due anni difficili, si addensano nubi scure. Se sui mercati secondari le transazioni sono rimaste sostanzialmente stabili, ed anzi in leggera crescita, sia per i rossi (+1%) che per i bianchi (+2%), su quelli principali le cose vanno molto peggio. Nel complesso la Borgogna, nei primi sei mesi 2015, ha perso il 6,3% dei volumi, mentre in valore le esportazioni sono cresciute del 3,4%, ma solo “grazie al tasso di cambio favorevole tra euro e dollaro”, come ricorda Louis-Fabrice Latour, presidente dei delegati del Bivb.
La delusione maggiore arriva dalla Gran Bretagna, dove i volumi importati calano del 12%, seguendo un trend negativo che ha fatto segnare il -23% nel 2014 ed il -15% nel 2013. Così, potrebbe diventare il Giappone, già alla fine dell’anno, il secondo mercato di riferimento per la Borgogna, che in tre anni, in termini quantitativi, ha perso un terzo delle proprie esportazioni, soprattutto a causa di vendemmie assai povere, decimate, nel 2012 e nel 2013, da pioggia e grandine. In patria, se si escludono crémants e aligoté, i consumi reggono senza grossi problemi, anche se da più parti arrivano critiche sui prezzi, ormai decisamente alti anche sul mercato interno, dove qualche anno fa si trovavano Borgogna al ristorante a 10 euro a bottiglia.
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