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Dove la storia è “in collina” è indispensabile salvaguardare l’identità, senza cedere al mercato e alla tentazione di piantare tanto in pianura (come consentono le regole Ue). Così il direttore del Consorzio Aldo Lorenzoni, da “Soave Previev”

Italia
Soave, uno dei vini bianchi italiani più famosi al mondo, di scena con Soave Preview, oggi e domani

7.000 ettari vitati per 2.870 aziende vitivinicole, 180 produttori e 50 imbottigliatori, per una produzione di 55 milioni di bottiglie complessive, che vanno per l’80% all’export (Nord Europa in testa, con Germania Uk, ma anche Usa e Giappone): ecco i numeri essenziali del Soave, una delle denominazioni bianchiste più importanti d’Italia. Un territorio ricco di storia, con la zona del Soave Classico che coincide con quella fissata nel 1816 dal Catasto Napoleonico, e che oggi, forte anche del riconoscimento de “Le Colline vitate del Soave”, prima denominazione del vino italiano, come “Paesaggio rurale di interesse storico” da parte del Ministero della Politiche Agricole (che l’ha inserita nel “Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico, delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali”, insieme al Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene), riflette sul suo futuro. Tra un mercato che tira, e che spinge molti produttori a piantare in pianura, anche per le nuove regole sulle autorizzazioni di impianto (che come altri strumenti forse vanno ripensati), rischiando però di snaturare un territorio che ha nella collina uno dei suoi più forti elementi identitari e distintivi, insieme ai muretti a secco, all’allevamento a pergola, alla Garganega e al Trebbiano di Soave, al suolo di origine vulcanica e non solo. Ed è deciso, in questo senso, il messaggio lanciato da “Soave Preview” (dove è stata presentata la vendemmia 2015 del Soave, www.ilsoave.com, equilibrata ed armoniosa tra componenti acide, zuccherine e sapide; un’annata classica, con sentori di agrume, spiccata acidità, salinità e corpo vigoroso) dal direttore del Consorzio del Soave, Aldo Lorenzoni, che parla al (e del) suo territorio, ma anche agli altri territori storicizzati del vino italiano: “identità, vitigni autoctoni, colline, viticoltura eroica, pendenze, piccole aziende, paesaggi storici concetti che sono alla base del successo della vitivinicoltura italiana di qualità che sta trainando tutto il settore con performance importanti in chiave export. Tutto questo però non sarà premiante nell’ottica delle nuove autorizzazioni per gli impianti da attivare in Italia nei prossimi anni. Con le nuove regole infatti, che prevedono nuovi investimenti per una superficie pari all’1% dell’esistente, tutte o quasi tutte le nuove autorizzazioni andranno ad aziende anche senza precedenti esperienze, situate prevalentemente in areali di pianura. Areali dove fino a pochi anni fa - spiega Lorenzoni - erano invece incentivate le estirpazioni con contributi Ue o dove erano stati estirpati vigneti con vendita dei diritti ai territori più vocati. Così si arriva all’assurdo che ogni Regione può vantare nuovi diritti di impianto sulla base di vigne storiche esistenti, ma i beneficiari non avranno probabilmente nessun legame con la viticoltura regionale storica”.
Un aspetto che, sottolinea ancora Lorenzoni a www.winenews.tv, non riguarda solo Soave. “Questi nuovi vigneti, non solo non serviranno alle imprese vitivinicole che già operano in questo settore e che hanno alimentato con professionalità e passione vini icona del sistema Veneto come Valpolicella, Soave e Valdobbiadene ma, costituiranno di fatto una sostanziale concorrenza con i produttori storici visti i costi produttivi infinitamente più bassi. Se la chiave di lettura viene allargata al sistema italiano - spiega il direttore del Consorzio del Soave - in ogni Regione abbiamo sistemi vitienologici virtuosi caratterizzati da viticolture estreme che generano oltre che vini inimitabili anche un indotto turistico di grande interesse. Viticolture che però hanno un costo di gestione che spesso supera le 1.500 ore ettaro contro un vigneto standardizzato di pianura che ne richiede meno di 400. Di fatto una concorrenza che tenderà nel tempo a formare un progressivo abbandono degli areali collinari. Areali invece che andrebbero tutelati e valorizzati proprio per le loro implicazioni di carattere ambientale e socio economico e turistico. Il provvedimento legato ai nuovi impianti segue di fatto altri strumenti che sarebbero nati per valorizzare il patrimonio viticolo italiano. Con la riconversione e la ristrutturazione viticola, Regione e UE di fatto tendono a finanziare un ammodernamento del patrimonio viticolo. Ma anche in questo - sottolinea Lorenzoni - vediamo come gli areali pianeggianti abbiano con più determinazione e continuità beneficiato di tale provvedimenti a scapito delle viticolture storicizzate della collina. Nel caso del Soave che rappresenta il 9% del patrimonio viticolo della Regione Veneto (7.000 ettari su 80.000) abbiamo avuto solo un 2,3 % di superfici su base annua ristrutturata. Ciò dimostra inequivocabilmente come questi strumenti di sostegno al settore di fatto tendano a generare vantaggi di alcuni territori a discapito di altri. Vanno, quindi, ripensati questi provvedimenti per consentire anche alle denominazioni caratterizzate da un’intensità viticola storicizzata, da aziende estremamente piccole da una viticoltura collinare fortemente parcellizzata , di avere nuovi strumenti in grado di permettere a queste aziende di rimanere competitive”.
Una riflessione che parte da Soave e dal suo territorio, ma che coinvolge tanti territori importanti del Belpaese. “Quella per la difesa delle identità storiche dei territori del vino italiano, costruiti dai produttori storici in generazione, è un tema che riguarda tanti, è una questione “politica” sul futuro del vino del Paese e che dobbiamo affrontare insieme”. Come quello della biodiversità, che il territorio del Soave ha voluto valorizzare con un progetto durato due anni, e che ha portato a risultati incoraggianti e certificati dal protocollo “Biodiversity Friend” (vecchie vigne, etichetta verde, biologico, viticoltura eroica, vulcano, ovvero i fattori della biodiversità), messo a punto nel 2010, dalla World Biodiversity Association, una delle più autorevoli agenzie di certificazione a livello internazionale in questo senso.
“Abbiamo valutato in tante aziende come impatta la viticoltura sulla vitalità dei suoli, sulla purezza dell’acqua e dell’aria, ed il responso è stato che in tutti questi parametri i dati sono molto positivi. E per noi è un grande valore aggiunto, per chi ci fa visita, per chi compra i nostri vini, ma anche per chi in questi territori ed in questi vigneti vive e lavora. Ed è per questo che da qui, come Consorzio e come territorio vogliamo partire per sviluppare progetti futuri anche in questa direzione”.

Focus - Le colline vitate del Soave patrimonio storico e rurale d’Italia
Quella del Soave è la prima doc italiana ad ottenere il riconoscimento di “Paesaggio rurale di interesse storico” entrando a far parte del “Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico, delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali” istituito dal Ministero delle Politiche Agricole, con decreto ministeriale n. 17070 del 19 novembre 2012.
Dopo aver analizzato 123 zone produttive dell’agroalimentare italiano, e dopo aver considerato 35 candidature, con la dicitura “Le Colline vitate del Soave” l’Osservatorio nazionale del Paesaggio rurale, delle pratiche agricole e conoscenze tradizionali, istituito col medesimo decreto, ha accolto la canditura della denominazione veronese che, assieme al Conegliano Valdobbiadene e al Parco Rurale del Paesaggio Appenninico di Moscheta, entra nel registro dei paesaggi nazionali considerati patrimonio storico-rurale d’Italia.
L’Osservatorio Nazionale del Paesaggio oltre a censire i paesaggi, le pratiche agricole e le conoscenze tradizionali ritenute di particolare valore, promuove le attività di ricerca che approfondiscono i valori connessi con il paesaggio rurale, la sua salvaguardia, la sua gestione e la sua pianificazione, anche al fine di preservare la diversità bio-culturale. Elabora, inoltre, i principi generali e le linee guida per la tutela e valorizzazione del paesaggio rurale con particolare riferimento agli interventi previsti dalla politica agricola comune.
Evidente la valenza storico-rurale del comprensorio produttivo del Soave al cui interno, nella zona classica, sono stati individuati 1700 ettari collinari, microparcellizati, coltivati secondo le tecniche della viticoltura eroica. Risale infatti al 1816 la prima mappa, tratta dal catasto napoleonico, che censisce i vigneti del Soave, in base alla quale poi nel 1931, con decreto regio, è stata istituita la prima denominazione italiana. In questa zona - percepita come isola non urbanizzata nella campagna veneta - sono ancora oggi presenti elementi di edilizia storica, capitelli votivi, forme di allevamento come la pergola, muretti a secco. Esistono inoltre vigneti di oltre 100 anni, tutt’oggi produttivi.
“Si tratta di un grande risultato per la denominazione del Soave - sottolinea Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio di tutela - che si vede riconosciuta a livello nazionale la primogenitura quale comprensorio vitato storico. Il Consorzio, con la collaborazione di Viviana Ferrario, docente allo Iuav di Venezia, è stato protagonista assoluto in questo percorso a partire dal 2006 quando, con la pubblicazione del volume “Un paesaggio Soave” ha di fatto aperto una riflessione a livello nazionale sul tema del paesaggio storico e della sua tutela. Questo riconoscimento - prosegue Lorenzoni - oltre che sottolineare una valenza ambientale storicizzata ed immutabile, pone le basi per un nuovo approccio soprattutto da parte del legislatore per una ridefinizione degli strumenti di sostegno per la viticoltura in areali tanto particolari ed estremi. L’auspicio è che nell’immediato futuro si possano mettere a disposizione dei viticoltori di collina opportunità di finanziamento specifiche per questi territori”.
Il Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico introduce di fatto un radicale cambiamento di visione che pone l’uomo al centro del contesto agricolo, non più come soggetto che turba l’ecosistema esistente con una forma di agricoltura intensiva ma, al contrario, come artefice principale nel mantenimento della biodiversità e nella conservazione del paesaggio.
Farne parte significa per il Consorzio del Soave operare insieme al Ministero per definire “la significatività, integrità e vulnerabilità” del paesaggio rurale, tenendo conto sia delle valutazioni scientifiche, sia dell’importanza delle comunità e dei soggetti che operano in questa zona.

Focus - Il Soave: storia, vini e vitigni
Storia
Forse si tratterà soltanto di un’arcana coincidenza ma mai come nel caso del Soave il nome di un vino ha espresso meglio la sua personalità enologica e la sua più intima identità di leggiadria, armonia e duttilità. Antichissime sono infatti le testimonianze della coltura della vite nella zona del Soave e grande è la fama di questo vino che accompagnò il cammino millenario degli uomini fin dai più remoti tempi della storia.
Diverse e non sempre collimanti sono le opinioni degli storici che durante i secoli tentarono di spiegare l’origine del nome “Soave”. La più accreditata è quella secondo cui la bella terra di Soave trasse il suo nome dagli Svevi, popolo della Germania che calò in Italia con Alboino.Moltissimi sono i documenti che parlano del Soave, ed è certo che fin dall’antichità i vini di Soave furono molto apprezzati. La loro fama, comunque, si sviluppò soprattutto all’inizio del 900 quando le maggiori case enologiche veronesi promossero il vino Soave su tutti i mercati nazionali ed esteri, fino ad arrivare ai giorni nostri con l’ambita qualifica di “eminente Classico vino bianco d’Italia” e con il prestigioso primato di vino bianco italiano più esportato.
La zona di produzione del Soave è situata nella parte orientale dell’arco collinare della provincia di Verona (a nord dell’autostrada serenisssima, tra il 18° e il 25° km tra Verona e Venezia). Essa comprende in tutto o in una parte i territori dei comuni di Soave, Monteforte, San Martino B.A., Lavagno, Mezzane, Caldiero, Colognola, Illasi, Cazzano di Tramigna, San Bonifacio, Roncà, Montecchia e S. Giovanni Ilarione. Qui la Garganega, il vitigno principale della denominazione, ha trovato nel corso dei secoli un habitat ideale soprattutto nei rilievi collinari che caratterizzano le valli d’Alpone, del Tramigna, dell’Illasi e di Mezzane.
Nel vasto e qualificato panorama dei pregiati vini veronesi solo in queste colline di terreno tufaceo di origine vulcanica con importanti affioramenti calcarei si è andata a realizzare questa ideale simbiosi di ambiente e vitigno per la produzione di grandi vini bianchi di qualità.
Dal punto di vista climatico l’intera zona è favorita da un clima mite e temperato con inverni non eccessivamente rigidi ed estati piuttosto temperate. Già nel 1931 primo fra i vini Italiani il Soave veniva riconosciuto come vino “tipico e pregiato”, tutela ed identità venivano quindi ribaditi definitivamente con il riconoscimento della Denominazione di origine controllata nel 1968 (DPR 21 agosto 1968.), modificato nel 2002 con il D.M. 6 settembre 2002.
Nel 1998 arrivava la Docg per il Recioto di Soave (D.M. 7 maggio 1998), alla quale si affianca nel 2001 la Docg per il Soave Superiore (D.M. 29 ottobre 2001).L’uso della specificazione “Classico” in aggiunta alla denominazione “Soave”, è riservato al prodotto ottenuto da uve raccolte e vinificate nei territori dei comuni di Soave e Monteforte d’Alpone, nei quali si trova la zona originaria più antica, detta “zona storica”. Castelli, chiese, campanili e ricche ville patrizie che emergono appena dal mare dei vigneti testimoniano un territorio ricco di storia, tradizione e fortemente collegato al suo principale prodotto.
I vini
Anche il disciplinare del Soave Doc, dopo 34 anni di storia, ha subito un accurato restyling: un ruolo di primo piano lo riveste il Soave Classico che arriva ad essere quasi una denominazione nella denominazione, mentre per le aree di collina non comprese nella zona classica è stata coniata la specifica Colli Scaligeri: la base ampelografica è la stessa del Soave Superiore Docg che mette in nuova evidenza solo i vitigni qualificanti con l’esclusione del Trebbiano Toscano che prima, invece, era consentito sino ad un massimo del 15%. Per le tipologie legate alle zone collinari è stato anche elevato di mezzo grado il titolo alcolico minimo e l’estratto secco è stato portato a 18 grammi/litro. I nuovi impianti dovranno essere solo a spalliera semplice o doppia, a pergola unilaterale semplice e pergoletta veronese mono o bilaterale: in tutti i casi dovranno esserci non meno di 3.300 piante/ettaro.
Per tutti, Soave, Soave Classico e Soave Colli Scaligeri, il disciplinare post revisione ha provveduto quindi ad innalzare i parametri importanti per la qualità, vale a dire gradazione alcolica ed estratto secco netto. Una nuova sfida per il Soave che si riposiziona in maniera importante rispetto ad altre Doc anche di recente costituzione, riprendendo il suo posto di grande vino bianco italiano di territorio; nuove regole quindi ai produttori e più chiarezza al consumatore.
Soave Doc
Può essere considerato il vino bianco italiano per eccellenza. È un vino utile, efficace, essenziale ottenuto senza perdere né fragranza né leggerezza ma caratterizzato piuttosto da una vibrante vivacità.Il Soave Doc è un vino ideale per accompagnare il consumatore nella sua quotidianità senza impegno ma con affidabilità. Dal punto di vista organolettico ha un colore delicato, un naso nitido ed uno sviluppo gustativo rapido ed appagante che non induce ad assuefazione neppure dopo lunghi periodi di consumo.
Soave Classico Doc
È senz’altro un vino bianco più ambizioso, ottenuto nella fascia collinare dei comuni di Soave e Monteforte. Il Soave Classico con la sua lunghezza e capacità di evolversi positivamente anche per alcuni anni è in grado di stupire senza chiedere troppo al consumatore. È ideale negli abbinamenti con zuppe, primi piatti, le minestre ed in genere con le pietanze gustose e leggere del vivere moderno. Ha capacità di evolversi con profumi lievemente minerali con gusto pieno ed autorevole ed al tempo stesso delicato.
Soave Spumante Doc
Questo spumante dal gusto moderno e seducente conserva a pieno titolo la nobiltà di una tradizione importante. È la versatilità stessa della Garganega, il vitigno per eccellenza del Soave a dare comunque carattere ed identità a questo vino. Uve perfette, lieviti selezionati, una vinificazione accurata, una prolungata permanenza sulle fecce del vino, ci regala un brut dal “perlage” fine e persistente con profumi eleganti, fragrante ed armonico in bocca ideale per antipasti e per tanti momenti della festa.
Soave Superiore Docg
La zona di produzione è limitata alla sola area collinare. In tema di maturazione il Soave Superiore DOCG è immesso al consumo solo dopo un periodo di sosta prolungata nelle vasche o botti e successivamente in bottiglia, così da salvaguardare le sue caratteristiche di maturità e complessità. Da questo vino ci si aspetta non solo freschezza, grande facilità di beva ma anche una ottima capacità evolutiva, anche dieci anni nelle annate buone.
Il colore sarà più intenso pur mantenendo la brillantezza che un bianco giovanile deve possedere; i profumi saranno più profondi e in grado di evolvere nel corso del tempo.
Recioto di Soave Docg
È stato il primo vino del Veneto a fregiarsi dell’ambita “Docg”, la Denominazione di origine controllata e garantita. Si tratta di un vino straordinario, ottenuto da uve Garganega appassite per diversi mesi sui graticci prima della pigiatura, con rese non superiori al 40%. La produzione del Recioto è ancor oggi a carattere artigianale; il Recioto è un vino da meditazione (o da dessert), che al gusto si presenta amabile e armonico, di buona gradazione e discreto residuo zuccherino. Ripropone in pratica gli aromi del Soave, ma con profumi più intensi e fruttati, mentre il colore è giallo dorato brillante.
Le uve
Garganega
La Garganega, il vitigno principale della denominazione, ha trovato nel corso dei secoli un habitat ideale soprattutto nei rilievi collinari che caratterizzano le valli d’Alpone, del Tramigna, dell’Illasi e di Mezzane.
Nel vasto e qualificato panorama dei pregiati vini veronesi solo in queste colline di terreno tufaceo di origine vulcanica con importanti affioramenti calcarei si è andata a realizzare questa ideale simbiosi di ambiente e vitigno per la produzione di grandi vini bianchi di qualità.
La Garganega non possiede una aromaticità spiccata ma un piccolo patrimonio di profumi di cui la mandorla e i fiori bianchi sono i più nitidi; ha uno sviluppo biologico molto lungo, tanto da giungere a maturazione in ottobre; ha una buccia dura e particolarmente gialla (quasi rossa) quando è matura. Non ha un’acidità preponderante ma piuttosto un interessante equilibrio di estratti e zuccheri.
Trebbiano di Soave
Il Trebbiano di Soave storicamente molto presente nei vigneti ha lasciato sempre più posto all’esuberanza della Garganega. Solo in questi ultimi anni sta riproponendosi come ideale partner per tracciare nuovi profili enologici per il Soave del futuro combinando la sua sapidità e vivacità con la struttura e la densità tipiche della Garganega.

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