Tra il 2024 e il 2025 hanno venduto 750 chilogrammi di miele falsamente etichettato come biologico, sebbene in realtà fosse di produzione convenzionale. Due persone sono state denunciate dai Carabinieri per la Tutela Agroalimentare di Verona e Firenze in quanto ritenute responsabili in concorso di frode e di introduzione in Italia e commercio di prodotti con “segni falsi”. L’inchiesta della Procura di Verona ha portato al sequestro di 2,8 tonnellate di miele “falso bio” detenuto da una ditta italiana e provenienti da un’azienda dell’Est Europa che si occupava della produzione e confezionamento.
“Un plauso e un ringraziamento alle Forze dell’Ordine che grazie ad attenti controlli e al loro lavoro garantiscono il made in Italy e la sicurezza alimentare e si impegnano quotidianamente nel contrasto alle frodi”, ha commentato il sottosegretario all’Agricoltura Luigi D’Eramo, aggiungendo che “è costante l’impegno per prevenire e individuare eventuali illeciti, assicurare la massima tracciabilità, difendere i produttori dalla concorrenza sleale e tutelare un settore strategico come il biologico. Un sistema che garantisce i cittadini, chi rispetta le regole e la reputazione e la qualità dei nostri prodotti”.
Ma non si è fatta attendere nemmeno la reazione della Fai, Federazione Apicoltori Italiani, che ha parlato di “frode nella frode” e che “quanto accertato dai Carabinieri è di assoluta gravità e dovrà stimolare un processo di ripensamento sui sistemi di certificazione e sui controlli ai controllori, specie quando le produzioni vengono certificate all’estero”.
Per spiegare quanto detto, la Fai inquadra l’attuale volto dell’apicoltura bio in Italia evidenziando che all’apicoltura condotta con metodo biologico “aderisce poco più del 5% dei produttori (4.144 apicoltori) contro circa il 95% dei produttori convenzionali (72.540 apicoltori)” e che “i capi di allevamento registrati come “biologici” sono pari al 12,3% del patrimonio apistico nazionale (249.535 colonie di api), rispetto al 71,4% di capi “convenzionali” (1.451.789 colonie di api), mentre il restante 16,3% non dichiara la modalità di allevamento”.
Appare dunque chiaro - commenta la Federazione - che il “bio”, sebbene piaccia molto e rassicuri i consumatori, stenta a farsi strada tra gli stessi produttori che lo vedono ancora come un sistema di certificazione complicato e costoso. E il tutto sarebbe ancor di più acuito dal recente fatto di cronaca: “la vicenda del falso miele bio rischia ora di incrementare lo scetticismo degli apicoltori - ha detto il presidente Fai Raffaele Cirone - e concordiamo pienamente con FederBio circa la necessità di adottare il marchio biologico italiano. Uno strumento essenziale per valorizzare e rendere riconoscibile l’autenticità delle produzioni biologiche nazionali, ottenute da materie prime coltivate o allevate in Italia”.
Per la Fai, dunque, è giunto il momento di pensare ad una campagna di sensibilizzazione e ad una politica di alleggerimento dei costi di certificazione che potrebbero stimolare nei produttori l’auspicato processo di crescita dell’apicoltura biologica in Italia, fattore di cui ci sarebbe particolare bisogno viste le crescenti aspettative dei consumatori.
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