Lavorare con passione e coraggio, ascoltare e confrontarsi sempre con gli altri, dare valore ai meriti (cosa che nei territori del vino non sempre avviene, anche quando sono “oggettivi” e storici) ed acquisire una grande esperienza professionale e internazionale per avere una visione imprenditoriale sempre rivolta al futuro. È la visione raccontata, “a tu per tu” con WineNews, da Cristina Mariani-May, tra le imprenditrici più autorevoli d’Italia e in Usa, proprietaria e guida di Banfi, l’azienda di famiglia, leader del Brunello di Montalcino, parlando del futuro di un territorio-simbolo del made in Italy nel mondo che diventa quello del vino italiano. A partire proprio dal fatto che per Banfi si è già aperta una nuova pagina, con la terza generazione di famiglia rappresentata da Cristina Mariani-May, sempre più protagonista, e che la vede al vertice di una governance rinnovata e ridefinita nei ruoli, per unire sempre di più l’anima italiana a quella americana dell’azienda, sostenerne la leadership e proseguire nel percorso di continuità culturale e di proprietà familiare. “È il nostro obbiettivo, ora che siamo una “company” a tutti gli effetti, vogliamo unire l’Italia e gli Usa con una nuova organizzazione integrata e sinergica, attraverso un nuovo board, e nuove idee anche di comunicazione, senza altri produttori in distribuzione come avevamo in passato. Per un futuro che sarà sempre più focalizzato su Banfi e sulla nostra famiglia dalle radici italiane”.
Un futuro che, come detto dalla stessa Cristina Mariani-May, vede come elementi fondamentali l’esperienza mescolata con la visione aperta a quello che accade nel mondo e nel territorio, per evolvere e migliorare continuamente. “Io stessa mi ritengo ancora “abbastanza” esperta”, dice una delle manager più importanti del mondo del vino, che incarna quell’“eredità di pensiero americana” che Cristina Mariani-May, “figlia d’arte”, porta avanti e che cerca di trasmettere nel ruolo-guida che oggi riveste, come hanno fatto prima di lei i “padri-fondatori” di Banfi quando sono arrivati in Italia oltre 40 anni fa, agli albori del “fenomeno” Brunello di Montalcino, portando con sé in valigia la loro cultura, ben diversa all’epoca da quella italiana, ma che è stata determinante nell’aprire la mente del territorio, innescare la sua economia e la sua crescita. Perché nel profondo questa è la sua vera natura “cosmopolita”, come racconta l’invenzione stessa del Brunello da parte di una borghesia “illuminata” di Montalcino che, dialogando con i grandi scienziati d’Europa e controcorrente al resto d’Italia, nei secoli scorsi, ebbe l’intuizione di puntare tutto sul Sangiovese limitandone la produzione al solo territorio di Montalcino. “Oggi non siamo più chiusi al mondo esterno, chi arriva non incontra più le difficoltà di un tempo - osserva Cristina Mariani-May - grazie anche alle nuove generazioni che sono più aperte. Banfi, la mia famiglia e io stessa, “pensiamo positivo”, perché, in questo territorio, vediamo un grande futuro, e non solo guardando agli Usa, ma ai mercati di tutto il mondo. Altrimenti non saremmo ancora qui ...”.
Un nuovo inizio, dunque, per Cristina Mariani-May, e per Banfi, che parte, ovviamente, anche da riflessioni profonde e focalizzate su Montalcino e sul suo futuro, in termini strettamente vinicoli ed enologici, ma anche parlando di accoglienza e di valorizzazione degli asset, non solo vinicoli, agroalimentari ed enogastronomici, ovviamente dominanti, in un territorio che deve la sua fortuna al vino, ma dove a volte si rischia di dimenticare tutto il resto. Riflessioni che nascono da chi oggi rappresenta l’anello di congiunzione tra storia e futuro. Fondata dalla famiglia italo-americana Mariani tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento e tra i più grandi investimenti nell’Italia del vino, insieme al genio dell’enologo-manager Ezio Rivella, la Banfi, infatti, ha dato un impulso decisivo al mercato del Brunello, esportandolo prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, facendone un vino di respiro internazionale, pur essendo legatissimo al solo Sangiovese e al suo territorio.
Un’azienda che, con la sua visione imprenditoriale, ha contribuito a fare del Brunello un brand mondiale e di Montalcino un distretto di successo del made in Italy, a beneficio di tutto il territorio e delle tante imprese e cantine che sono nate successivamente, e della sua comunità, scrivendo un nuovo capitolo della storia iniziata dalla famiglia Biondi Santi, con l’invenzione del Brunello alla fine dell’Ottocento nella Tenuta Greppo, e dai produttori locali più “illuminati”, e che arriva fino ad oggi, grazie a cantine di assoluto prestigio che, puntando tutto sulla qualità e forti dei mercati aperti da Banfi, hanno portato il Brunello ai vertici della critica mondiale, e affermato Montalcino tra i territori-mito dell’enologia mondiale. E lo hanno fatto a partire da un mercato come gli Usa, che oggi è il più importante per il vino italiano e che Banfi conosce bene, “ma dove la nostra strategia è cambiata, da quando sono diventata ceo - ricorda Cristina Mariani-May - passando dall’esportare grandi volumi di vino italiano alle etichette dei territori in cui abbiamo investito direttamente con Banfi a Montalcino, in Chianti Classico, a Bolgheri e in Maremma in Toscana, e in Piemonte, accanto alle Tenute Pacific Rim nello Stato di Washington e Rainstorm in Oregon, dove produciamo Pinot Nero, e le etichette “Natura”, biologiche ed organiche, del Cile. Siamo molto più focalizzati sull’esportare qualità e valore sul mercato, perché in questo momento negli Stati Uniti le etichette più prestigiose hanno più successo, mentre è molto molto più difficile vendere vini quotidiani al distributore. Abbiamo fatto questa scelta strategica già prima della pandemia, e abbiamo avuto ragione. Oggi sono molto contenta di aver scommesso sulla strada della qualità e del valore del prezzo verso il consumatore”.
Qualità del vino che, ovviamente, è figlia di scelte produttive ben precise, ma che fa i conti con condizioni climatiche in continuo (e sempre più rapido) mutamento. “Well, da sempre a Montalcino è molto importante capire l’evoluzione del territorio e del suo terroir, di anno in anno, di vendemmia in vendemmia. Per noi, per la ricerca, e per condividere questi cambiamenti tutti insieme con i produttori locali e con i nuovi proprietari delle aziende che arrivano da altri territori. Ogni cru ci permette di esprimere la personalità di Banfi e quella dei nostri vini, diversa da quella di altre aziende e di altri produttori, ma con lo spirito di produrre vini sempre dinamici, energici e complessi, che rispecchiano la natura e la tradizione del Sangiovese a Montalcino. Io stessa rappresento una nuova generazione di produttori, la terza della mia famiglia, e se in passato non è stato sempre così, oggi sono contenta dei buoni rapporti e delle forti relazioni che abbiamo tra produttori di un territorio che non è chiuso in se stesso, ma che ha una mentalità aperta che ci permette di essere presenti nei mercati più “esplosivi”, coniugando la mentalità americana e quella italiana - che non è affatto facile - su un’unica posizione e con l’obbiettivo di essere gli “ambasciatori” di Montalcino nel mondo. E di lavorare assieme, dalle piccole alle grandi aziende, per accrescere il valore dei nostri vini, che in questo momento di inflazione galoppante nel mondo, vuol dire fare in modo che abbiamo un rapporto qualità/prezzo affidabile, abbordabile ma anche che ne rifletta il prestigio qualitativo. Perché se non c’è qualità nei vini, è un problema per tutti, non solo per Banfi”.
Un ragionamento sul futuro che, peraltro, vede sempre più territori del vino italiano andare verso una zonazione, un percorso che Montalcino non ha ancora intrapreso - a differenza di altri territori blasonati come Langhe, con il Barolo, o il Chianti Classico, ma anche di altri meno quotati, anche in termini di valore aggiunto di vigneti e di vini, ma altrettanto importanti, come Soave, per esempio, con veri e propri progetti consortili e di territorio - ma dove da tempo ormai i produttori puntano con successo sulle “vigne” del Brunello, come, nel caso di Banfi, Vigna Marrucheto e Poggio alle Mura. “L’attenzione a Montalcino è incentrata sul far esprimere al meglio il Sangiovese in ogni vendemmia, non senza difficoltà legate ad annate non facili, come in Borgogna per il Pinot Noir. Per Banfi è importante studiare ogni vigneto attraverso una nostra mappatura aziendale che cambia continuamente per effetto anche del cambiamento climatico, mentre, forse, per i nuovi proprietari di aziende lo sono altre strade”, spiega la guida di Banfi.
Un faro di Montalcino, territorio che, come del resto gran parte del vino d’Italia, deve molta della sua fortuna al rapporto con il mercato americano, che la famiglia Mariani è stata tra le prime ad aprire, e non solo per il Brunello di Montalcino. L’amore tra l’Italia e l’America è sempre più forte, sempre. Negli Stati Uniti il 75% dei consumi di vino è domestico, soprattutto della California, poi di Washington e dell’Oregon, ma subito dopo è l’Italia il Paese produttore più popolare, non la Francia. È il momento del vino e del cibo italiano, ma anche per il turismo verso l’Italia, e questo è molto importante anche per Banfi e per Montalcino”. Perché Banfi a Montalcino ha investito pionieristicamente nel vino, ma anche nel turismo, tra le prime realtà in Italia ad aver puntato nell’accoglienza di alto livello, dalla costruzione di una cantina pensata e progettata per accogliere visitatori, al restauro, subito dopo l’acquisizione nei primi Anni Ottanta del Novecento, dell’antico Castello di Poggio alle Mura, oggi conosciuto anche come Castello Banfi, in un gioiello dell’ospitalità italiana con il wine resort Il Borgo, che fa parte dell’esclusivo circuito Relais & Châteaux, un’enoteca e due ristoranti, La Taverna e la Sala dei Grappoli, che ha recentemente “riacceso” la stella Michelin nel territorio del Brunello, e avverato l’“american dream” dei fondatori, i fratelli John, padre di Cristina, e lo zio Harry Mariani. Per questo nel futuro, la volontà è quella di investire sempre di più anche nella “wine experience”. “Sì e sempre di più - spiega Cristina Mariani-May (che, in passato ha raccontato, a WineNews, l’emozione della sua prima volta a Montalcino) - perché far vivere l’esperienza di persona ed educare i consumatori al vino italiano e al Brunello in particolare è ciò che facciamo a Castello Banfi, rivolgendoci soprattutto alle nuove generazioni, perché, accanto ai vini, la magia e la bellezza di Montalcino sono ciò che più rimane impresso, e su questo si fonda la nostra strategia di comunicazione”. Un sogno ispiratore e oggi comune con gli imprenditori più “illuminati” del territorio, locali o di altri territori, che hanno fatto e stanno facendo delle loro aziende un “bon refuge” tra i vigneti di Brunello.
Il Belpaese, si sa, rappresenta un modello di accoglienza enoturistica, ma la competizione è altissima, in Italia e nel mondo. Per questo la sola visione imprenditoriale delle aziende non basta, perché a fare la differenza è la “governance” del territorio con alla base una sinergia pubblico-privata sempre più stretta e determinante. Nella lunga e importante storia che lega Banfi a Montalcino, tanti sono stati i punti di forza e ingenti gli investimenti in ogni campo, ma, per continuare a crescere ancora e migliorarsi, il futuro non consente a nessuno di sedersi sugli allori, neppure al territorio del Brunello con il suo prestigio. Per farlo, secondo Cristina Mariani-May, “non dobbiamo essere troppo competitivi tra di noi: Montalcino deve andare unito nel mondo, perché, a partire da Biondi Santi, siamo una grande comunità. Dobbiamo pensare più locale, alla nostra unicità e alla nostra storia, e costruire relazioni personali direttamente tra i team delle aziende ed i clienti, perché il marketing generalizzato o rivolto solo ai social media in futuro non basterà più”. Per questo, anche investire in incoming, infrastrutture e servizi è fondamentale per permettere agli appassionati di vivere l’esperienza unica ed inimitabile di visitare il territorio e conoscere le persone che lo abitano e vi lavorano, “con il sorriso, altrimenti il nostro è un vino come tutti gli altri”, dice la guida di Banfi.
Ma anche continuare ad investire in innovazione, è fondamentale sia per lo sviluppo, anche enoturistico, di un territorio sia per una “comunicazione territoriale” che faccia la differenza, perché se è bello poter ammirare un monumento, una villa o un castello restaurati, dentro devono essere riempiti di idee e di contenuti che facciano vivere al visitatore un’esperienza indimenticabile. “Sì, e questo vale per la stessa Montalcino. Penso, per esempio, al nuovo museo immersivo del “Tempio del Brunello” nell’antico Convento di Sant’Agostino, nel cuore di Montalcino, al Festival “Jazz & Wine in Montalcino” che Banfi organizza da 25 anni a Castello Banfi e nella trecentesca Fortezza, all’“Eroica” o alla “Brunello Crossing” nelle strade bianche: tutti eventi che vanno oltre il vino, integrando il territorio alla città e viceversa e rendendo partecipe tutta la comunità, con grande successo di pubblico perché regalano esperienze uniche. Poi vengono il vino, il cibo, i palazzi ed i castelli. Ma è così che si creano nuovi link con gli appassionati non solo di vino, richiamandoli sul territorio da tutta Italia e da tutto il mondo, facendone apprezzare le bellezze a 360 gradi, fidelizzandoli, invitandoli a ritornare e favorendo il passaparola. E vivere questo tipo di esperienze è quello che vogliono soprattutto le nuove generazioni”, dice Cristina Mariani-May. E perché migliorare e rendere competitivi i territori del vino vuol dire anche questo: investire nell’economia di relazione per mantenerli vivi e conservare la socialità per chi vi abita, vero e proprio patrimonio culturale dei territori rurali italiani e delle loro comunità, accanto all’enogastronomia, alle bellezze e alla biodiversità naturale, con il quale chi viene a visitarli vuole entrare in contatto, o il rischio è di depauperarli e farne solo delle “vetrine”. Questa è la vera sostenibilità, che non è solo ambientale, ma anche economica, sociale ed etica.
Montalcino, secondo uno studio dell’agenzia Cbre, è oggi il territorio del vino dove si registrano più compravendite e passaggi di aziende in Italia, e, a partire dall’investimento di Banfi e dalla scelta, all’epoca controcorrente in Italia, di puntare sull’agricoltura da parte degli attori del territorio, anche questo ha permesso di costruire uno dei più importanti e redditizi “distretti” del vino d’Italia ed a livello internazionale, analizzato da WineNews, che ruota attorno all’“economia del Brunello”, e che attrae non solo capitali e turismo, ma anche alte professionalità da tutto il mondo, generando dalla bellezza, che è la sua vera ricchezza, reddito, occupazione ed integrazione. “È un dato interessante, e io sono ottimista - spiega Cristina Mariani-May - perché in un mondo che cambia velocemente, questo porta nuove idee, più energia, innovazioni e azioni di marketing al passo con i tempi, che, lavorando tutti insieme, vanno integrate con l’identità del territorio. È la chiave del successo del territorio del Brunello, che ci permette di essere sempre più competitivi con i vini del resto del mondo. Se con Banfi pensiamo di investire ancora in questo o in altri territori? A Montalcino, non in nuovi vigneti, ma nell’ospitalità sì. In altri territori, forse nel futuro: siamo orgogliosi di essere presenti in Toscana e in Piemonte, le Regioni più importanti del vino italiano, che, in questo momento, ci danno grandi soddisfazioni ... ma ci guardiamo sempre intorno, dalla Sicilia all’Alto Adige”.
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