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FEDERALIMENTARE, IL FUTURO È NELL’EXPORT. I “MUST” DEL SETTORE? PAC 2013 & ETICHETTATURA. OCCHI PUNTATI ALL’EXPO 2015 DI MILANO, E IMPEGNO IMMEDIATO NEI PROGETTI DI EDUCAZIONE ALIMENTARE DEI PIÙ PICCOLI E PER UN’ALIMENTAZIONE PIÙ SALUTARE

 Un export alimentare forte (+21% nel 2010 sul 2009, per 21 miliardi di euro e +11,9% nei primi tre mesi 2011) nonostante per la promozione l’Italia disponga dell’87% di aiuti in meno della Germania e del 70% in meno di Francia e Uk. È quella dell’estero la strada segnata per l’alimentare made in Italy, come spiega Federalimentare (www.federalimentare.it) la Confindustria del food & drink, riunita oggi a Roma. Un trend ormai strutturarle: tra il 2000 e il 2010, l’export alimentare è cresciuto del 66,9%, sul 28,5% totale del Paese. Anche perché sul fronte interno la situazione è dura: l’aumento dei prezzi delle commodity agricole e dei combustibili pesa sui prezzi al consumo (+2,2%), e questo non aiuta la ripresa. No, dunque, ad aumentare l’Iva sugli alimentari come da qualche parte si prospetta, e va costruito un dialogo più virtuoso con la gdo perché le aziende recuperino margini e mantengano la qualità. Qualità che deve essere al centro della Pac 2013, perché se l’Europa attribuisse le risorse in base alle superfici e non al valore dei prodotti, l’Italia, Paese di produzioni specializzate e di qualità, avrebbe solo da perdere. Su questo Federalimentare chiede più impegno alle istituzioni. Come sull’etichetta: gli industriali sono contrari alla legge approvata dall’Italia, che vorrebbe l’indicazione di origine di tutte le materie di un alimento. L’Europa, ancora, non ha emesso regolamenti. Ma sulla proposta Ue, la posizione è chiara: senza totale uniformità delle norme (si rischiano 27 diversi sistemi di regole: ogni membro Ue potrebbe introdurre su scala nazionale informazioni obbligatorie aggiuntive a quelle comuni) sarà colpita la competitività. Non di meno, Federalimentare guarda al futuro: all’Expo di Milano 2015, che sarà una grande occasione per il made in Italy. Ma anche alla ricerca, con il potenziamento della piattaforma “Italian food for Life”, che coinvolge istituti e imprese, e alla formazione dei più piccoli, con il programma “Scuola e Cibo” a partire dal prossimo anno, con il Ministero dell’Istruzione.

Focus - La relazione del presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua Magliani
1. Lo scenario attuale

Dopo lo scoppio della crisi finanziaria, nel biennio 2008-2009, il Paese si è trovato all’appuntamento della ripresa con gap pressoché inalterati, che non hanno favorito un miglioramento della produttività e dell’attrazione degli investimenti. Ai “nodi” tradizionali - debito pubblico elevato, servizi pubblici poco competitivi, tempi della giustizia imponderabili, infrastrutture datate, investimenti scarsi in ricerca, innovazione e istruzione - si sono aggiunte la volatilità, recata dalla crescita impetuosa delle quotazioni delle materie prime, e l’incertezza, connessa ai “rischi sovrani” di alcuni paesi europei e al loro possibile contagio.
Non deve meravigliare perciò la “timidezza” della ripresa messa in campo dal Paese nel 2010 e all’inizio dell’anno in corso. Il Pil italiano, dopo la discesa di oltre sei punti accumulata nel biennio precedente, ha raggiunto così nel 2010 la quota di 1.549 miliardi di euro, con un rimbalzo, in valori costanti, del +1,3% sull’anno precedente. È un segnale insoddisfacente, sia in assoluto che in confronto all’aumento medio segnato in parallelo dal Pil comunitario, pari al +1,7%, trainato essenzialmente dalla Germania, che ha messo a segno un invidiabile +3,5%. Va aggiunto che il Pil Usa ha registrato nel 2010 un recupero del +2,8%, mentre quello dei paesi emergenti è cresciuto in media del +7,0%, alcuni più del 10%.
Le capacità di ripresa del Paese si sono rivelate quindi, come temuto, inferiori a quelle dei principali partner occidentali, i quali avranno un rientro sui picchi del Pil 2007 pre-crisi al più tardi entro il 2012, mentre per l’Italia tale appuntamento si conferma ancorato al biennio 2014-15. E’ chiaro quindi che la spinta della ripresa 2010 è stata tutta di carattere esogeno, collegata cioè al commercio mondiale, che è riuscito a segnare un ampio rimbalzo del +15,9%, dopo il calo accusato nel 2009. C’è da aggiungere tuttavia che la “velocità di uscita” dell’economia italiana dalla crisi è stata rallentata, in chiusura, rispetto ai trend messi a segno in media d’anno. Ha pesato la forte crescita, emersa in autunno, delle quotazioni delle materie prime agricole e dei combustibili, con i conseguenti, inevitabili rimbalzi su costi e prezzi. Ne è sortita così una ripresa graduale dell’inflazione e una rinnovata erosione della capacità di acquisto delle famiglie, che si è riflessa sull’andamento dei consumi.
I confronti tendenziali delle quotazioni delle materie prime hanno mostrato infatti, dall’autunno scorso, forti accelerazioni comuni a tutti i grandi comparti - in alcuni casi dovute ad un eccessiva dipendenza dalle importazioni - che sono proseguite anche nei primi mesi del 2011. Esse sono indicative, in parte, dell’atteso consolidamento della ripresa dell’economia mondiale, che si sta irrobustendo grazie alla crescita della domanda, soprattutto da parte dei paesi emergenti. Ma significano anche che la speculazione ha ricominciato a mordere. Col risultato che alcune commodity hanno superato perfino i picchi registrati durante la crisi del 2007-2008. In sostanza, il 2010 ha riportato l’emergenza sul fronte degli approvvigionamenti di materie prime agricole. Al punto che la loro crescita ha nettamente superato quella dei prodotti non alimentari e degli stessi combustibili. Secondo gli indici calcolati da Confindustria, nel dicembre scorso le materie prime alimentari sono cresciute infatti, rispetto al dicembre 2009, del +45,3%, contro il +31,9% delle materie prime non alimentari e il +35,6% dei combustibili. Queste accelerazioni, lungi dall’attenuarsi, si sono rinforzate per quasi tutte le commodities all’inizio di quest’anno, fino portare le materie prime alimentari, nell’aprile scorso, su un tendenziale del +50,3%. 2 Queste dinamiche sono state accentuate da tensioni geo-politiche, da fenomeni di temporanea scarsità, oltre che da fattori speculativi. Ma, al di là di questi, va sottolineato che esse sembrano avere carattere duraturo. La volatilità delle quotazioni è indicativa, in sostanza, di equilibri dei mercati agricoli mondiali strutturalmente precari, con scarsi margini di manovra e compensazione tra domanda e offerta, analoghi a quelli che caratterizzano il settore energetico - per cui sarebbe necessario impostare delle politiche della produzione che garantiscano delle soglie minime di auto approvvigionamento. E questo, tanto più considerando che la domanda di prodotti alimentari è destinata ad aumentare in modo sostanziale sia per gli effetti demografici che per la sua composizione.
2. La produzione dell’industria alimentare
In questo quadro fragile e complesso, la produzione alimentare 2010 ha recuperato il segno negativo dell’anno precedente. Il consuntivo di produzione ha segnato infatti un +1,8% a parità di giornate lavorative. Va detto, tuttavia, che si è profilato un deciso rallentamento di trend, a fine anno.
Guardando ai dati di produzione del 2010, emergono comunque spunti in varia misura positivi da parte di quasi tutti i grandi comparti. Va ricordato inoltre che, al di là dei dati squisitamente congiunturali, la produzione alimentare del Paese ha mostrato nel tempo una dinamica largamente premiante. Nel decennio 2000-2010 essa ha messo a segno un +12,1%, con oltre 27 punti di differenza rispetto al -15,4% segnato in parallelo dall’industria nazionale nel suo complesso. Il suo ruolo di galleggiante anticiclico del sistema ne esce perciò parzialmente confermato, per le vistose capacità di tenuta evidenziate in un periodo critico come quello recente. Però la forte stagnazione dei consumi interni risulta essere un fenomeno che viene da lontano, culminato con la perdita di quasi dieci punti percentuali nell’ ultimo quinquennio, a dispetto della loro conclamata “rigidità”, attenuando le caratteristiche anticicliche dell’alimentare. Va aggiunto che la crisi di potere di acquisto del Paese, come c’era da aspettarsi, non è affatto “orizzontale”, ma sta colpendo in modo aggiuntivo le fasce di consumo più deboli, modificando gli stessi modelli di consumo. Intanto, le vendite alimentari nel canale Gdo segnano, a fine 2010, un +0,4% in valuta corrente, mentre quelle dei piccoli esercizi arretrano del -1,4%. La “forbice” tra i due canali si è perpetuata, quindi, confermando che la componente di servizio offerta dai negozi di prossimità ha perso altro terreno, a fronte del fattore risparmio legato alle grandi catene e alle loro massicce offerte in promozione che l’industria, a monte, contribuisce a sostenere.
Gli equilibri del mercato hanno risentito inevitabilmente delle tensioni sui costi innescate dall’impennata delle quotazioni delle commodity agricole e dei combustibili. Esse si stanno già riflettendo sui “prezzi alimentari alla produzione”: i quali, non a caso, sono passati dalle variazioni tendenziali marginalmente negative di metà 2010 al +4,3% di dicembre, per crescere ancora sensibilmente fino al +7,1% del marzo 2011. E’ chiaro altresì che queste tensioni alla produzione finiscono col rimbalzare sui prezzi alimentari al consumo: i quali infatti stanno risalendo, fino a superare secondo i dati più recenti il 2,2%, non lontano dal tasso di inflazione. In sostanza, i prezzi alimentari al consumo stanno perdendo l’effetto calmieratore che hanno esercitato nel tempo, al di fuori delle fasi di tensione delle commodity.
3. L’export alimentare
L’export dell’industria alimentare ha chiuso l’anno sfiorando la quota di 21 miliardi di euro, con una crescita del +10,5% sull’anno precedente. E’ un risultato che recupera ampiamente il -4,2% del 2009. Ed è tanto più promettente se si considera che l’ultimo trimestre 2010 ha segnato un +11,9%, facendo meglio della media annuale. Tutto il contrario di quanto è successo sul fronte della produzione, che a fine anno ha mostrato una “velocità di uscita” calante, che ha comportato 3 un’eredità negativa alla fase di avvio del 2011. Non a caso nel gennaio scorso l’export ha confermato il buon passo dell’ultimo trimestre, con un +12,2% sul primo bimestre 2010. I mercati di maggiore peso hanno mostrato ampie capacità reattive. La Germania ha messo a segno una spinta del +6,7%, dopo il -3,4% del 2009; la Francia un +7,4%, dopo il -2,1% dell’anno precedente; gli Usa un +11,8%, dopo il -9,1% del 2009. Il quarto mercato, il Regno Unito, ha recuperato con un +6,4%, dopo il -6,5% del 2009. Se si considera che questi mercati hanno coperto praticamente la metà (il 49,6%) dell’intero export dell’industria alimentare, si capisce da dove è venuto il “tiro” sostanziale delle esportazioni 2010. Va detto comunque che anche paesi importanti come Cina (+55,9%), Brasile (+31,7%), ArAbia Saudita (+31,6%) e Turchia (+44,4%) stanno superando lo stadio di “promesse”. Essi sono ancora largamente al disotto delle loro potenzialità, ma cominciano a segnare quote di esportazione meno “simboliche”, in una fascia che oscilla ormai fra i 100 e i 200 milioni di euro, oltre i quali vi sono i Paesi europei minori, la Corea, il Canada, l’Australia, la Russia.
C’è bisogno di questi risultati, ovvero di “new entry” nel gotha dei Paesi dell’export alimentare. Solo con l’allargamento degli sbocchi si potranno preservare, sul passo lungo, stAbilità e spazi significativi di espansione. E di espansione all’estero c’è assoluto bisogno, col mercato interno che abbiamo descritto. Ovviamente il Governo e la Commissione europea devono aiutare la nostra industria alimentare ad infrangere tutte quelle barriere non tariffarie, soprattutto di natura sanitaria e commerciale, che ostacolano gli scambi con i Paesi terzi e costituiscono delle misure ancora di tipo protezionistico.
Va anche ricordato che, come segnalato per la produzione, anche l’export alimentare ha mostrato un andamento premiante sul lungo periodo. Nel confronto 2000-2010, l’export dell’industria alimentare ha messo a segno una crescita del +66,9%, con quasi 40 punti di vantaggio rispetto al +28,5% registrato in parallelo dall’export totale del Paese. Il Made in Italy si identifica sempre più, quindi, con i prodotti dell’industria alimentare nazionale.
4. Le prospettive per il 2011
Le incognite con cui si è chiuso il 2010, legate essenzialmente all’accelerazione delle quotazioni delle materie prime e dei combustibili, assieme alla consolidata debolezza del mercato interno, non creano premesse positive per una congiuntura “tonica” nel 2011. L’anno in corso rischia anzi, molto concretamente, non solo di non rafforzare la timida ripresa affiorata nel 2010, ma, al contrario, di assistere a un suo leggero indebolimento. E’ probabile perciò che il trend della produzione alimentare 2011 si avvicini al tasso di espansione registrato nel 2010. Mentre l’export continuerà a dare soddisfazioni, grazie alla tenuta dei principali mercati esteri. La debolezza principale del sistema italiano rimane la capacità di acquisto delle famiglie. I dati mostrano che le famiglie stanno attingendo al risparmio per “tenere” i consumi degli anni precedenti e, allo stesso scopo, fanno ricorso crescente al debito. Un debito, si aggiunge, i cui costi sono destinati a pesare di più, in parallelo con la crescita dell’inflazione, deprimendo le capacità reattive del sistema. L’inflazione, infatti, dovrebbe avvicinarsi al +3,0% nel corso del 2011. E’ una percentuale ancora lontana dai livelli di guardia, ma non è nemmeno “tranquilla”.
E’ più che mai necessario perciò, all’interno, ottimizzare i processi di filiera, recuperando in parte, almeno per questa via dell’efficienza, le difficoltà del mercato. Bisogna trovare equilibri migliori con la GDO, arginando la compressione dei margini delle aziende alimentari, specie medio-piccole, come messo più volte in luce dalla nostra VIce Presidente. L’indagine conoscitiva dell’Autorità Antitrust avviata nell’ottobre scorso, e la cui istruttoria è in corso, può costituire un’ occasione per verificare l’esistenza e la rilevanza delle problematiche sollevate dai fornitori. Inoltre anche gli organismi comunitari stanno affrontando il delicato tema della correttezza e trasparenza dei rapporti contrattuali, impegnando da alcuni anni il Parlamento europeo e dall’inizio dello scorso anno la Commissione europea, DG Impresa, sotto la guida del nostro Commissario Tajani, che ringraziamo sentitamente per la sensibilità così elevata manifestata sui temi cari alla Industria italiana. Anche gli altri paesi europei, con un grado diverso di maturazione, stanno regolando i rapporti fra fornitori e grande distribuzione moderna. Credo sia a questo punto più che mai necessario recuperare un dialogo costruttivo con i principali protagonisti della filiera alimentare, condividendo delle soluzioni che diano certezza e trasparenza alle parti, evitando così il trascinarsi di contesti conflittuali e l’adozione di comportamenti incoerenti con le esigenze di efficienza che richiedono non solo gli operatori economici ma soprattutto i consumatori europei.
All’estero, unica area di realistica espansione del “food and drink” italiano, occorre potenziare gli sforzi promozionali, soprattutto sui mercati lontani, che offrono le migliori prospettive di espansione, e dove le aziende italiane arrivano con maggiore difficoltà. Il programma promozionale Ice 2011 ha subito, invece, un taglio di oltre il 40% sul 2010. Sommato al taglio dell’anno precedente, significa che il finanziamento pubblico italiano a sostegno dell’export si è dimezzato, dal 2008 a oggi. Esso risulta inferiore dell’87% rispetto a quello della Germania, e di circa il 70% rispetto a quelli di Francia e Regno Unito. Le premesse per il 2011, quindi, non sono ottimali nemmeno sotto questo aspetto.
Va aggiunto che il sistema fieristico - di cui noi facciamo parte con Cibus, unitamente a Fiere di Parma - strumento ancora indispensabile di promozione specie per l’area delle Pmi, presenta alcune duplicazioni di manifestazioni e calendari che innescano sprechi di risorse e confusione negli operatori: lussi che il sistema, specie in questa fase, non si può permettere come già indicato da Confindustria e dal Cfi.
Insomma, la “traversata” della crisi, con tutte le sue ricadute, è lunga. Ed è chiaro che tale lunghezza, anche se era stata prevista, col suo perpetuarsi pesa sempre di più. Occorre coraggio. Occorre scommettere sul futuro e spingere sul pedale degli investimenti per recuperare margini e competitività.
Il patrimonio produttivo e d’immagine del settore è intatto. Gli imprenditori non mancano di buone munizioni. Essi devono puntare, più che mai, sulla loro iniziativa e sulla loro capacità di presidio ed innovazione e, perché no, di resistenza, in assenza dei supporti di politica economica che, per tanti motivi, il Paese non riesce a offrire.
5. La nuova Pac, le politiche di qualità e le relazioni di filiera
Queste prospettive dovrebbero influenzare la fase di progettazione della nuova Pac del dopo 2013. Essa reca incognite che riguardano le risorse che saranno previste, il loro criterio di distribuzione tra gli Stati membri e le scelte strategiche cui saranno ispirate. Un’agricoltura intensiva e di qualità come quella italiana non può accettare parametri semplicistici di ripartizione delle risorse in base alla superficie come quelle proposte da alcuni paesi dell’Est europeo. Le caratteristiche spiccatamente qualitative della filiera italiana sono esplicitate da un valore aggiunto agricolo che oscilla tra i 25 e i 30 miliardi di euro, da un numero di prodotti agroalimentari italiani a denominazione protetta che supera le 210 unità, da un numero di vini Doc, Docg e Igt riconosciuti che supera le 500 unità. Quote, tutte, ai vertici della Comunità. La Pac dovrà tornare alle origini mettendo al primo posto la produzione, sia per quantità che per qualità, l’innovazione tecnologica e la competitività dell’agricoltura europea, al di là dello stesso, importante impegno ambientalistico. Essa dovrebbe convergere verso migliori equilibri di filiera, che sono un fattore lungimirante a favore dell’intero patrimonio produttivo del Paese e della Comunità: in definitiva, del consumatore italiano ed europeo e dei suoi oggettivi interessi di lungo periodo. Senza margini adeguati per i produttori è difficile proteggere il valore aggiunto e, conseguentemente, i target qualitativi, gli investimenti e l’innovazione. Non è casuale che il valore aggiunto dell’industria alimentare abbia sofferto, negli ultimi anni. Solo nel 2010, dopo una lunga serie di arretramenti, esso ha segnato in valori costanti un piccolo rimbalzo del +1,6%, insufficiente a correggere significativamente un declino di fondo.
Il fenomeno è strutturale e si lega, in gran parte, alla spesa “low cost” delle famiglie e alla pressione operata dalla Gdo sulle promozioni e sui prezzi alla produzione delle aziende. Ne deriva che, nel decennio 2000-2010, il valore aggiunto del settore è calato in termini reali del -3,8%. In pratica, in nessuno degli anni successivi al 2000 esso è riuscito a raggiungere il valore espresso a inizio decennio. E’ il sintomo di un malessere che viene da lontano e che, alla lunga, rischia di penalizzare l’identità stessa di un settore, come quello alimentare, che ha fatto del valore aggiunto e della qualità la sua bandiera, sul mercato nazionale e internazionale.
Va ricordato infine che il tasso d’inflazione del Paese ha registrato nel 2010 una crescita media del +1,6%, con una punta finale a dicembre del +1,9%, che si è spinta intorno al +2,6%, secondo gli ultimi dati 2011. Il fenomeno non faciliterà certo l’auspicata ripresa dei consumi, innescherà ritocchi in alto del costo del danaro e rischierà di far segnare al Pil 2011 una dinamica inferiore a quella, già modesta, registrata nel 2010.
La qualità, nelle sue diverse declinazioni, rappresenta da sempre il principale tratto distintivo dei nostri prodotti alimentari per la loro affermazione a livello internazionale. Il Legislatore europeo, consapevole di questo valore aggiunto dei prodotti Ue, ha individuato negli aspetti qualitativi il principale strumento di competitività dell’agroalimentare europeo avviando col Libro Verde dell’ottobre 2008 un’ampia discussione culminata con la recente adozione del c.d. Pacchetto Qualità, che mira a ridisegnare il quadro normativo dell’Ue, con particolare riguardo alle Indicazioni Geografiche, ai termini riservati facoltativi e agli standard di commercializzazione dei prodotti alimentari.
L’Industria alimentare nazionale, grande produttrice ma anche utilizzatrice di prodotti a denominazione protetta, condivide e sostiene con forza gli obiettivi europei di rafforzamento della protezione delle indicazioni geografiche sia nel mercato interno, che a livello globale, in via prioritaria attraverso il loro riconoscimento multilaterale in seno al Wto, ma anche mediante la promozione di accordi bilaterali per la penetrazione dei nuovi mercati, evitando contraffazioni e contrastando il fenomeno imitativo dell’Italian Sounding (ben 52 mld di euro nel mondo, a partire dalla stessa Europa).
Al tempo stesso, siamo convinti che le nuove regole in discussione presso le Istituzioni comunitarie debbano prevedere tutte le misure necessarie ad evitare smagliature nel sistema dei controlli delle indicazioni geografiche e a prevenire la proliferazione di marchi comunitari di diversa natura non sostanziati da requisiti rigorosi e da adeguati regimi di verifica di conformità. Infine, riteniamo essenziale introdurre regimi di gestione della produzione compatibili con le norme antitrust, che consentano ai produttori di queste eccellenze del Made in Italy di combattere quel fenomeno di svalorizzazione e di perdita della marginalità, determinato a volte dall’eccesso dell’offerta e da talune pratiche commerciali.
6. L’attivitàdi promozione e internazionalizzazione
Nell’ultimo anno, la Federazione ha prestato sempre più attenzione alle attività di promozione e internazionalizzazione. Tra le missioni più importanti realizzate lo scorso anno, annoveriamo quella di Sistema in Cina, organizzata in occasione dell’Expo di Shanghai in giugno, da Confindustria, Ice e Abi sotto 6 l’egida del Ministero dello Sviluppo Economico e degli Affari Esteri che ha visto una partecipazione di circa trecento aziende di cui quaranta del settore alimentare, nell’ottica del rafforzamento dei rapporti commerciali con uno dei mercati più promettenti per l’export agroalimentare. Alla Missione di Sistema in Cina ha fatto immediatamente seguito la Scouting Mission in Australia, un mercato dall’altissimo potenziale, dove i prodotti italiani rappresentano un giro di affari di circa 300 milioni di euro - oltre 2 volte quello cinese attuale - registrando però 1,5 miliardi di euro di Italian Sounding, ben 5 volte il nostro export alimentare.
La delegazione di Federalimentare, assistita dal Direttore dell’Ice, ha incontrato alcune aziende top del Made in Italy alimentare in Australia ed i maggiori rappresentanti della Gdo australiana e degli importatori per verificare le potenzialità di crescita del mercato, cercando di conquistare non solo la grande comunità italiana (1,2 milioni di persone su 22 milioni), ma anche la popolazione australiana già molto sensibile al Made in Italy e al nostro stile di vita.
Recentissimo invece è lo Start Up del Progetto Canada, della durata di sei mesi, nato dall’ Accordo tra Federalimentare, il Ministero dello Sviluppo Economico, l’Unioncamere e l’Ice, per realizzare un progetto pilota di promozione del modello alimentare italiano in Canada, con l’obiettivo di coordinare tutti gli Enti competenti per contrastare i fenomeni dell’Italian Sounding e della contraffazione. Il progetto è infatti partito ufficialmente lo scorso 11 maggio con la partecipazione di Federalimentare al Sial di Toronto (11-13 maggio 2011), dove l’Italia era Paese d’Onore. Con l’Unioncamere la Federazione sta da tempo promuovendo l’ospitalità e la ristorazione italiana, accreditando già un migliaio di ristoranti, con l’obiettivo di arrivare a visionare i circa 10.000 ristoranti italiani nel mondo, primi ambasciatori delle nostre eccellenze alimentari.
A fianco della partecipazione alle Missioni, vi è poi un’intensa e costante attività di dialogo, non solo con le Istituzioni Italiane preposte (abbiamo da poco siglato un Protocollo di Intesa con l’Ice), ma anche con le Rappresentanze dei Paesi di maggiore interesse per l’Industria Alimentare, volta al consolidamento delle relazioni esistenti e al rafforzamento del ruolo e del riconoscimento della Industria alimentare. Quest’anno andremo con Confindustria in Corea e cercheremo di capitalizzare gli sforzi in Brasile, Sud Africa e Usa.
7. L’ambiente e lo sviluppo sostenibile
L’uso responsabile delle risorse e la sostenibilità dei processi produttivi rappresentano sempre più uno dei fattori determinanti delle politiche industriali e della competitività dei sistemi economici, influenzando significativamente l’evoluzione dei modelli di consumo, le dinamiche di sviluppo dei settori industriali, le strategie e gli obiettivi la crescita dell’attività d’impresa. Su queste basi, nel novembre dello scorso anno abbiamo realizzato “Apertamente - Gusto Sostenibile” per mettere in luce l’impegno profuso sui temi ambientali dalle nostre aziende, che è spesso poco noto al grande pubblico e alle Istituzioni.
Per l’Industria alimentare, la difesa dell’ambiente, il mantenimento degli ecosistemi e l’uso sostenibile delle risorse primarie assumono rilievo e significato particolarmente importanti, come veri e propri presupposti del corretto ed equilibrato funzionamento della filiera. D’altronde, le materie prime agricole costituiscono il principale input dei nostri processi di trasformazione: il loro approvvigionamento, in quantità e qualità sufficienti a soddisfare la domanda di una popolazione in continua crescita, è la vera sfida globale che ci aspetta nel nuovo millennio.
Il primato delle aziende alimentari in termini di certificazioni dei sistemi di gestione ambientale è un evidente indicatore della cultura del settore e trova piena rispondenza nell’impegno quotidiano del nostro sistema imprenditoriale a rendere sempre più sostenibili le proprie attività. E questo, a livello di risparmio energetico, corretta gestione delle risorse idriche, razionalizzazione della 7 logistica, nonché mediante iniziative e investimenti orientati su alcuni fronti di particolare interesse dell’Industria alimentare.
Tra questi, una menzione merita il recupero energetico delle nostre biomasse e gli importanti investimenti per promuovere questa forma di energia rinnovabile non antagonista delle produzioni agricole alimentari, che riduce il ricorso alle fonti fossili, aumentando l’efficienza energetica degli impianti e contribuendo al raggiungimento degli obiettivi derivanti dal protocollo di Kyoto. A ciò, si affiancano le crescenti performance in termini di ottimizzazione del packaging e di progressiva innovazione tecnologica e di processo in funzione ambientale e di sicurezza igienicosanitaria dei materiali a contatto. Le politiche di prevenzione dei rifiuti da imballaggio e il contributo attivo delle nostre imprese al Conai vede il nostro sistema ai primi posti in Europa, in fatto di raccolta, riciclo e recupero degli imballaggi, sia in termini di efficienza e di risultati raggiunti, che di congruità dei costi sostenuti.
L’attenzione dell’Industria alimentare alle istanze di matrice ambientale tiene inoltre conto della crescente sensibilità dei consumatori circa l’impatto ambientale della filiera alimentare: proprio nell’obiettivo di individuare principi guida per la corretta valutazione e comunicazione delle performance ambientali dei nostri prodotti, mediante metodi di analisi omogenei e scientificamente fondati, partecipiamo al Tavolo, avviato dalla Confederazione europea dell’Industria alimentare e partecipato dalla Commissione UE, su produzione e consumi sostenibili.
A fronte di tale impegno, auspichiamo che gli obiettivi fissati dall’Unione europea nell’ambito dei negoziati internazionali per la lotta al cambiamento climatico, da cui discendono gli onerosi adempimenti normativi comunitari in materia di politiche ambientali, non rimangano uno sforzo isolato destinato a gravare solo sui settori produttivi industriali del vecchio continente come ulteriore spinta alla delocalizzazione. Tali accordi devono tradursi in politiche di prevenzione e ammodernamento estese a tutte le fonti di emissione e, con particolare riferimento alla prossima Conferenza delle Parti di Durban, in decisioni dell’Unione europea che siano effettivamente proporzionate all’assunzione di impegni equivalenti da parte delle altre grandi potenze economiche, soprattutto emergenti. Occorre in sostanza un contesto equilibrato e un impegno globale realmente efficace ai fini della riduzione degli impatti ambientali delle attività umane.
Merita infine un accenno il sistema di tracciabilità nazionale dei rifiuti Sistri, condivisibile negli obiettivi ma finora oggettivamente impraticabile per la maggioranza delle aziende, come recentemente dimostrato dagli esiti della prova generale promossa da Confindustria e dal mondo delle imprese artigiane, della cooperazione e del commercio: nel sostenere la forte azione finora svolta dai massimi vertici confederali, ribadiamo che l’effettiva e completa messa a punto del sistema e la rimozione di tutti i malfunzionamenti riscontrati sono un presupposto necessario per garantire alle nostre imprese gli adeguati strumenti di adempimento ai nuovi obblighi, senza incorrere incolpevolmente in sanzioni immeritate. Ben venga la concessione della proroga che solo in parte viene incontro alle esigenze delle nostre imprese.
8. La nutrizione e la salute: un consumatore consapevole ed informato
L’Industria Alimentare è da sempre al fianco delle Istituzioni nel promuovere stili di vita salutari. Sono infatti convinto che i temi della nutrizione e della salute, oltre a quelli ambientali che ho voluto richiamare sopra, costituiscano un asse strategico per l’Industria Alimentare nei prossimi 20 anni, anche alla luce delle nuove esigenze dei diversi consumatori in Italia, in Europa e nel Mondo. Su questa base, il 3 maggio 2007, sono stati firmati dal mio predecessore Gian Domenico Auricchio, che ringrazio, i Protocolli d’Intesa tra l’allora Ministro della Salute e le Associazioni delle imprese - tra cui Federalimentare - dei consumatori e dei Sindacati, per l’attuazione del programma “Guadagnare Salute, rendere facili le scelte salutari”, programma quadro pluriennale per la promozione di stili di vita in grado di contrastare, nel lungo periodo, il peso delle malattie croniche e far guadagnare anni di vita in salute ai cittadini.
In risposta a quanto affermato nel Protocollo d’Intesa, Federalimentare, ha approvato una serie di impegni volontari che l’Industria alimentare italiana ha deciso di assumere nell’ambito del Programma “Guadagnare Salute, rendere facili le scelte salutari”, in particolare attraverso 7 aree di intervento:
1) Educazione Alimentare nelle scuole: Federalimentare insieme al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha lanciato il programma “Scuola e Cibo” per un’educazione scolastica su cibo e alimentazione finalizzata a rendere i bambini e i ragazzi consapevoli dell’importanza di seguire corretti stili di vita, insegnando loro modi e tempi di assunzione dei cibi, nonché la storia e i processi produttivi in campo agricolo e industriale.
Il 22 aprile scorso ho firmato il Protocollo d’Intesa con il Miur che prevede la realizzazione del programma a partire dall’anno scolastico 2011/2012, e la definizione delle modalità di formazione dei formatori e di alternanza scuola-lavoro.
2) Riformulazione dei prodotti: Federalimentare è impegnata a migliorare e diversificare l’offerta di alimenti venendo incontro alle esigenze del consumatore. Oltre 4.000 prodotti sono stati riformulati negli ultimi 10 anni e così avverrà in futuro. Molte nuove caratteristiche nutrizionali trovano ragione nella selezione genetica, nelle tecnologie produttive e anche nelle specifiche alimentazioni degli animali.
3) Riduzione del sale: Federalimentare ha avviato a ottobre 2010 un percorso di collaborazione con il Ministero della Salute per ampliare la gamma di prodotti a basso contenuto di sale ad alcune tipologie di alimenti conservati, oltre al pane industriale.
4) Etichettatura Nutrizionale: Federalimentare nel 2007 ha elaborato le Linee Guida sull’etichettatura nutrizionale raccomandando ai propri associati l’inserimento in etichetta della tabella a 4 o 8 elementi con valori espressi per 100 gr. e/o per porzione oltre alle Gda (quantità indicative giornaliere) relative al valore energetico. I contenuti delle Linee Guida hanno voluto anticipare il Regolamento europeo sull’informazione al consumatore che vedrà la luce a fine anno.
5) Comportamenti a rischio: la promozione di un consumo responsabile, sia da parte dei giovani neo patentati verso la guida (O bevi o guidi) sia per le donne in gravidanza, non ultimo attraverso il continuo aggiornamento del codice di auto regolamentazione pubblicitaria.
6) Marketing degli Alimenti: le bevande analcoliche ed i produttori dolciari hanno adottato un codice volontario nei confronti dei bambini, rinunciando anche ai distributori automatici nelle scuole primarie.
7) Attività Fisica: Oltre al sistema associativo, anche alcune delle nostre aziende sono impegnate direttamente nella promozione dell’attività fisica, ad esempio tramite il progetto educativo “A scuola InForma”, patrocinato dal Dipartimento della Gioventù e dal Ministero delle Pari Opportunità, ovvero tramite il progetto con la Uisp e Csi “Pronti, partenza, via!”.
La Proposta di Regolamento sull’Informazione al consumatore rappresenta uno degli argomenti di maggiore spessore attualmente dibattuti a livello comunitario nel settore alimentare. Essa può costituire una grave minaccia alla competitività delle imprese del nostro settore, nel caso non si riesca a garantire la completa uniformità e ragionevolezza delle norme.
L’iter di approvazione è giunto ad una fase cruciale. Dopo la votazione della bozza da parte del Consiglio in prima lettura, il testo è ritornato in Parlamento dove la Commissione Envi ha espresso la propria posizione in ordine a 402 emendamenti al testo del Consiglio. A seguito del voto in Envi, hanno preso avvio i tre triloghi che vedono impegnati Parlamento, Commissione e Consiglio nella ricerca di una posizione comune in vista della votazione in plenaria che avverrà nella seduta di luglio, tra il 4 ed il 7. Il testo risultante dalla votazione in plenaria sarà inoltrato al Consiglio e alla Commissione. Ovviamente la Federazione e tutto il Sistema Associativo mantengono una decisa contrarietà all’obbligatorietà dell’ indicazione dell’origine delle materie prime in etichetta. Se l’ Europa vorrà disciplinare la materia, che le soluzioni individuate come diremo successivamente 9 siano non penalizzanti l’immagine del ruolo dell’ Industria alimentare nel trasformare sapientemente le materie prime per produrre il nostro made in Italy, affermato in tutto il mondo! La nostra Federazione si è fatta portavoce delle esigenze dell’Industria alimentare italiana ed ha accolto numerose prescrizioni della proposta, ma anche manifestato perplessità in ordine a vari aspetti della stessa: è prevista, in particolare, la facoltà per gli Stati membri di introdurre su scala nazionale informazioni obbligatorie ulteriori rispetto al sistema di regole comuni. Il terribile rischio è quello di doversi confrontare con 27 diversi sistemi di regole, affrontare perciò assai maggiori costi (legati al periodico aggiornamento delle consulenze in ogni Paese, e alla revisione delle etichette) oltre al rischio di discriminazioni. E’ necessario definire un sistema di regole unitario, da applicarsi senza variazioni in tutti i Paesi membri, e prevedere garanzie a salvaguardia del Mercato unico. Riteniamo ingiustificata la previsione di deroghe a favore dei prodotti che sono a tutti gli effetti preconfezionati - se pure sul luogo di vendita o nei locali attigui. In riferimento all’origine, Federalimentare ha da sempre sostenuto che le regole europee in tema d’origine sono coerenti al Codex Alimentarius e agli accordi internazionali (Omc), idonee alla tutela del consumatore e proporzionate rispetto alle esigenze di produzione. L’eventuale estensione dell’obbligo di indicare l’origine a nuove categorie di alimenti deve venire preceduta da apposite valutazioni d’impatto della Commissione europea, come previsto nella posizione comune del Consiglio, con l’obiettivo di garantire la competitività delle imprese europee. Ed è un’ipotesi da escludere a priori con riguardo ai prodotti composti.
L’Industria alimentare è, infine, favorevole a introdurre la tabella nutrizionale obbligatoria per tutti gli alimenti - ad eccezione delle bevande alcooliche escluse da tali obblighi per la disciplina verticale - secondo lo schema cui i consumatori europei sono Abituati da due decenni (Big 8, dir. 90/496/CEE): valore energetico, proteine, carboidrati, zuccheri, grassi, acidi grassi saturi, fibre alimentari, sodio; mentre occorre procedere con cautela in ordine alla possibilità di introdurre l’indicazione obbligatoria anche degli acidi grassi trans, i quali possono riscontrarsi negli alimenti non solo a seguito di un processo produttivo, ma in quanto naturalmente presenti. Occorre tutelare, pertanto, le nostre produzioni lattiero-casearie, fiore all’occhiello del Made in Italy, da possibili pregiudizi derivanti da una indicazione obbligatoria dei grassi trans. L’Industria è altresì disponibile a prevedere un’ulteriore informazione sintetica, sul fronte etichetta, per esprimere in termini percentuali il contributo della porzione di alimento rispetto al fabbisogno medio giornaliero (Gda). Occorre, invece, manifestare contrarietà a un compromesso con il Parlamento che preveda l’indicazione sul fronte etichetta delle kcal riferite ai 100g/ml (sia pure in aggiunta alla porzione) poiché ciò è fonte di confusione sul valore energetico effettivo dell’unità di consumo. Si rischia di penalizzare alcuni campioni del Made in Italy (es. oli vergini d’oliva, parmigiano reggiano) le cui unità di consumo sono assai lontane dai 100g/ml.
Lo scorso 4 marzo 2011, il Presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà ha indirizzato una lettera al Commissario Europeo per la salute e la politica dei consumatori, John Dalli, e ai vertici dell’EFSA, Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare con la quale sollecita la predisposizione di Linee guida europee per la corretta applicazione del Reg. (CE) n. 1924/06, volte a fornire agli operatori economici indicazioni circa i parametri e condizioni da seguire quando intendono realizzare una campagna promozionale d’un prodotto alimentare sulla base di claims salutistici autorizzati dall’Efsa. Su questo punto, ho ritenuto opportuno intervenire presso l’Antitrust per richiedere un effettivo coordinamento con le Autorità preposte alla tutela della salute al fine di non ingenerare incertezza nelle imprese (es. un claim autorizzato dall’EFSA ma sanzionato dall’Autorità). A tal fine abbiamo organizzato, in collaborazione con Efla (European Food Law Association) e Assolombarda, nell’ambito di Expo 2015, un workshop di approfondimento che si è tenuto lo scorso 6 giugno 2011 a Milano. Confido che il dialogo tra le Istituzioni possa consentire sempre di trovare una soluzione che avvantaggi il consumatore senza penalizzare la nostra Industria.
9. Ricerca, innovazione, formazione ed Expo 2015
La promozione della cultura dell’innovazione, della ricerca e della formazione è senza dubbio la chiave di volta per la competitività e l’affermazione dei nostri prodotti in Italia e all’estero. Stiamo parlando di quello che sarà riconosciuto come il Made in Italy alimentare del futuro. Esso oggi deve passare attraverso la specializzazione, la ricerca e il progresso tecnologico per affermarsi, domani, come un “nuovo classico” nel quale s’impone la nostra capacità, tutta italiana, di elaborare cultura e conoscenza, innovazione e tradizione.
Forte di questa consapevolezza Federalimentare ha rafforzato il suo impegno sui temi della rIcerca e dell’innovazione consolidando, nel corso del 2010 e nei primi mesi dell’anno in corso, un dialogo costruttivo con il mondo della ricerca, l’università e le istituzioni competenti. Esso si è concretizzato nel potenziamento della Piattaforma Tecnologica Nazionale “Italian Food for Life”, importante strumento di programmazione economica della ricerca industriale nel settore alimentare, condiviso con l’Enea, l’Inran, l’Università di Bologna ed i principali stakeholder del settore alimentare nazionale. Il 14 giugno sarà ufficialmente presentato a Roma, alla presenza delle Istituzioni competenti, il documento programmatico della Piattaforma. Quest’ultimo definisce gli scenari della filiera agroalimentare italiana da oggi al 2030 e individua le priorità strategiche per la ricerca, l’innovazione, la formazione ed il trasferimento tecnologico alle nostre imprese alimentari, al fine di affrontare in modo competitivo le sfide poste dalla globalizzazione.
Il nostro impegno ha prodotto rilevanti risultati, sia a livello europeo, attraverso la vIce-presidenza della Piattaforma Tecnologica Europea “Food for Life” e la presidenza del Gruppo di Ricerca della Ciaa (Confederazione delle Industrie Alimentari dell’UE), che sul piano nazionale, partecipando attivamente ai gruppi di lavoro costituiti da Confindustria per orientare più efficacemente la politica economica del Governo in favore della ricerca e dell’innovazione, senza sovrapposizioni, dispersioni o destinazioni prive di risultati. Federalimentare è partner così in 5 progetti comunitari e in uno nazionale finanziato nell’ambito del bando “Nuove Tecnologie per il Made in Italy” del Programma “Industria 2015” del Ministero dello Sviluppo Economico, alla cui definizione la Federazione ha ampiamente contribuito con riferimento ai temi della ricerca agroalimentare. Federalimentare ha infine partecipato con successo ai lavori di due dei Tavoli di analisi attivati dal Miur per la predisposizione del Programma Nazionale della Ricerca 2011-2013: “Sistema Agroalimentare” e “Beni Strumentali e Made in Italy”.
E’ nostra convinzione che le misure e gli strumenti disponibili per il nostro Paese - sommati al credito di imposta - costituiscano un buon punto da cui partire per ridare impulso al nostro straordinario know how. E’ un patrimonio rimasto per troppo tempo inespresso. Occorre far emergere le potenzialità del nostro settore agroalimentare – come sostiene con assiduità la nostra Presidente dei Giovani Imprenditori - accrescere la competitività delle nostre imprese, trasformare in opportunità i profondi cambiamenti dei mercati globali e del sistema delle conoscenze, che vorremmo sempre più trasferite soprattutto alle Piccole e Medie Imprese. E qui entra il tema dell’Expo: Federalimentare crede nell’Expo 2015, quale volano della ricerca e dell’internazionalizzazione del nostro Made in Italy, sotto la guida di Confindustria e con il supporto del nostro Consigliere Incaricato, che voglio nuovamente ringraziare. Il tema prescelto per l’Expo 2015 “Feeding the Planet, Energy for Life” rappresenta un’opportunità unica di promozione dell’Industria alimentare italiana e di valorizzazione delle eccellenze imprenditoriali, produttive e scientifiche che il nostro settore può vantare, anche attraverso la partecipazione diretta delle proprie realtà associative di comparto e la previsione di opportuni momenti di carattere scientifico, divulgativo ed educativo.
Al fine di valorizzare al massimo le vocazioni e le eccellenze del Made in Italy alimentare in vista di questo importante appuntamento, Federalimentare ha stipulato, il 9 novembre 2010, un Protocollo di Intesa con Expo 2015 S.p.A., con il quale i due firmatari si sono reciprocamente impegnati a definire congiuntamente i contenuti di specifici eventi di promozione delle tematiche di Expo Milano 2015.
I temi della formazione impegnano dunque il nostro sistema associativo. Per Federalimentare la formazione del personale delle aziende è sempre stato ed è uno degli asset principali, cui rapportarsi su due diversi piani, rispetto a quello di origine contrattuale: in chiave europea e italiana. Nel primo caso Federalimentare ha utilizzato le opportunità previste dai finanziamenti della Comunità Europea, con il Sesto Programma Quadro e poi con il Settimo. Nel contesto italiano invece ha potuto avvalersi degli strumenti forniti da Fondimpresa, il Fondo interprofessionale per la formazione continua costituito da Confindustria, Cgil, Cisl, Uil, e finanziato dal contributo dello 0,30% versato mensilmente dalle aziende associate. In coordinamento con il sistema associativo di Federalimentare sono stati presentati ad oggi 14 Piani Formativi, di cui 7 già approvati (i Piani Formativi Settoriali Alimenform) ed ammessi al finanziamento dal Consiglio di Amministrazione di Fondimpresa e 7 Piani Formativi in corso di valutazione. I destinatari di tali azioni formative sono i lavoratori coinvolti delle aziende alimentari e delle filiere ad esso collegate di tutto il territorio nazionale, che hanno così potuto avvalersi di strumenti di potenziamento e miglioramento della capacità produttiva, organizzative e strategiche.
Federalimentare ha anche fondato, a marzo di quest’anno, in accordo con le Associazioni aderenti, un Comitato Tecnico Permanente in materia di formazione, con funzioni di analisi e di istruttoria, in raccordo e su indicazioni di Federalimentare, in merito alle esigenze formative delle imprese del settore alimentare italiano. L’obiettivo specifico è quello di realizzare una mappatura ai fini della definizione dei relativi contenuti e delineare strategie e temi prioritari in ambito comunitario, nazionale e regionale.
Attraverso queste attività Federalimentare intende sensibilizzare il nostro mondo produttivo, affinché possa cogliere le opportunità formative e di ricerca per accrescere competitività e valore delle proprie risorse impiegate.
10. Le relazioni industriali
Sulle relazioni industriali, il 2010 è stato caratterizzato dalla fase di gestione/attuazione del Ccnl rinnovato il 22 settembre 2009. Un rinnovo molto importante, concluso in coerenza con le nuove regole interconfederali, caratterizzato da soluzioni di reciproca soddisfazione, per imprese e lavoratori, ma soprattutto da una forte attenzione al welfare contrattuale, al cosiddetto capitolo “sociale”. A tale riguardo, sono stati attuati due importanti impegni previsti nel Ccnl industria alimentare, di grande interesse per i lavoratori e, di conseguenza, di grande rilievo per le imprese. Il primo è rappresentato dalla costituzione, nel mese di gennaio, della Cassa nazionale per il rischio vita dei lavoratori dell’industria alimentare, che offre una copertura assicurativa a favore degli eredi dei dipendenti a tempo indeterminato deceduti in costanza di rapporto di lavoro. Alla Cassa - resa operativa dal mese di luglio - aderiscono circa 130.000 lavoratori per un totale di circa 4.360 Aziende. Il lavoro di messa a punto del nuovo Organismo è stato molto impegnativo, anche perché lo stesso rappresenta una novità nel panorama degli enti di natura contrattuale presenti nel settore manifatturiero. La rilevanza sociale di tale strumento contrattuale è data anche dalla portata generale della copertura assicurativa, che copre qualsiasi tipo di evento (sia di natura professionale che extraprofessionale).
Il secondo obiettivo riguarda la costituzione, nello scorso mese di marzo, del Fondo di assistenza sanitaria integrativa dell’industria alimentare, volto a fornire prestazioni di assistenza sanitaria ai lavoratori a tempo indeterminato e ai contrattisti a termine con durata del rapporto pari o superiore a 9 mesi. A tale riguardo, è stato recentemente sottoscritto a livello nazionale un accordo per l’accantonamento da parte delle aziende, a decorrere da gennaio ’11, della contribuzione al Fondo sanitario prevista dall’accordo di rinnovo del Ccnl 22.9.2009. Nel rispetto dei tempi che le Parti si sono date, nel mese di maggio si è tenuta l’Assemblea dei Delegati ed il primo Consiglio di amministrazione del Fondo, per l’assunzione delle scelte di carattere gestionale ed operativo. Si tratta ora di accelerare gli adempimenti di carattere amministrativo, propedeutici all’operatività del Fondo.
11. L’elaborazione normativa
Nei primi tre anni della XVI Legislatura la produzione normativa riferita direttamente al settore agroalimentare è complessivamente ferma pressoché alla fase progettuale, che in alcuni casi si presenta come riproposizione di iniziative avviate, ma non concluse, nella Legislatura precedente. L’unico provvedimento di un qualche rilievo è rappresentato dalla legge 4/2011 (Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari).che contiene una serie di misure volte - nell’intento dei proponenti - a rafforzare la competitività dell'agricoltura e, più in generale, del settore agroalimentare. Si rinvengono altresì alcuni profili e tematiche d’interesse: promozione del valore delle produzioni, qualità e tracciabilità dei prodotti e del sistema produttivo, relazione tra i prodotti e l'informazione per i consumatori contenuta nell'etichettatura. Peraltro la legge, in larga misura, non è ancora applicabile sino a quando la Commissione UE non avrà ricevuto e valutato gli schemi dei decreti interministeriali attuativi per filiera, nessuno dei quali sinora è stato notificato secondo la procedura fissata dalla direttiva 98/34.
Introdurre l’obbligo di indicare nelle etichette l’origine delle materie prime utilizzate nei prodotti (come da più parti si chiede):
- snatura il concetto stesso di Made in Italy alimentare;
- discrimina le imprese italiane rispetto ai loro concorrenti;
- non aggiunge nulla in fatto di sicurezza e qualità degli alimenti;
- fa lievitare i costi di produzione, con inevitabili riflessi negativi sull’economia del Paese e sul potere di acquisto dei consumatori.
Va ricordato che in più occasioni, anche nelle competenti sedi istituzionali, Federalimentare, non muovendo da alcuna posizione pregiudiziale, aveva avvertito che una nuova disciplina sull’etichettatura dei prodotti alimentari non sarebbe mai potuta risultare in conflitto con la normativa comunitaria. Tanto più che il Consiglio UE ed il Parlamento Europeo stanno adottando un Regolamento relativo alle informazioni per i consumatori.
Va anche citato un provvedimento, affatto settoriale, concernente i “Prodotti ortofrutticoli di quarta gamma” (in attesa di pubblicazione). Si disciplina il comparto dei prodotti ortofrutticoli che vengono preselezionati, mondati, lavati e confezionati pronti per il consumo.
Sono ancora nella penna del legislatore alcuni progetti di legge che necessiterebbero di un iter più sollecito: esemplificando, al Senato sono all’esame progetti di legge di ampia portata (obesità, sostegno al settore agroalimentare, prodotti biologici, ristorazione italiana nel mondo) o riferibili a comparti produttivi (riso, birra) o a professioni (pizzaiolo, sommelier, cuoco professionista). Alla Camera non mancano iniziative legislative meritevoli di attenzione: l’annosa e complessa questione delle agroenergie, alla ricerca di una propria regolamentazione. Tema sul quale il Sistema associativo ha avuto più occasioni di pronunciarsi in sede di procedure informative; la cosiddetta filiera corta, in ordine alla quale hanno da tempo purtroppo legiferato e legiferano alcune Regioni: questione che presenta non pochi punti di evidenziata criticità; la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare, che sarà oggetto di riflessione e di progetti all’Expo 2015. Significativa è l’attività parlamentare di indirizzo e di controllo esercitata nei confronti del Governo. D’interesse risulta altresì la funzione conoscitiva e d’indagine. Limitandoci all’ultimo significativo episodio, la Commissione monocamerale sul fenomeno della contraffazione, presso la quale Federalimentare, a livello di Presidenza, ha avuto modo di rappresentarne compiutamente la dimensione, proponendo concrete misure di contrasto.
Nella prospettiva della presente legislatura, chiediamo alle Istituzioni di intervenire almeno su tre problemi di assoluto rilievo. Nell’assoluto rispetto della libertà di mercato e in chiave di normativa comunitaria, le cui deliberazioni, pur apprezzabili negli intenti, in materia di sottocosto e di termini di pagamento hanno prodotto effetti scarsamente significativi per le imprese, è necessario verificarne la corretta attuazione ed eventualmente aumentarne l’efficacia, anche a fini dissuasivi. Il problema non è solo di profittabilità, ma anche di immagine di marca da salvaguardare! In tema di semplificazione, senza alcun onere a carico del bilancio dello Stato, vanno disciplinate le modalità per garantire una diversa programmazione dei moltissimi e disparati controlli in materia di sicurezza alimentare, coordinando finalmente le molteplici strutture operanti in capo a più Amministrazioni centrali (Ministeri della Salute, delle Politiche agricole e dell’Economia). La mancanza di coordinamento, la duplicazione dei controlli igienico-sanitari, l’interpretazione delle norme non sempre univoca a livello applicativo, l’assenza di una “cabina di regia” che gestisca l’intero sistema, determinano aggravi di costo non necessari per le aziende e ricadenti necessariamente sui prezzi dei prodotti finiti. Inoltre va ricordato che la legge comunitaria 2008 ha delegato il Governo ad adottare decreti legislativi per il coordinamento delle disposizioni attuative del cosiddetto “pacchetto igiene”. La delega scade nel prossimo mese di luglio. È quanto mai necessario che si rediga un Codice sulla sicurezza alimentare nei termini previsti o, in via subordinata, una proroga degli stessi.
Abbiamo sentito alcune indicazioni riguardo all’ auspicato piano per il Sud, ai temi infrastrutturali e alla riforma fiscale. In un periodo di costante regressione dei consumi, in presenza già di un forte aumento dei prezzi delle materie prime che, nonostante gli sforzi dell’ Industria e della Distribuzione, non potrà non generare ulteriore inflazione, temiamo ogni ipotesi che voglia compensare una riduzione della pressione fiscale sulle persone fisiche e giuridiche con aumenti delle aliquote Iva. Infatti ogni punto rappresenta per il consumatore una perdita in valore pari a circa 1,5 mld di euro; ed immaginiamo come sia facile ottenere subito una maggiore imposizione indiretta a fronte di una più complessa e differita - e forse meno percepibile dai cittadini e dalle imprese- riduzione della imposizione diretta.
Da ultimo - stante il rilievo che assume l’industria alimentare, secondo comparto produttivo del Paese - è necessario ed urgente che presso il Ministero dello Sviluppo economico, nostro essenziale interlocutore, si provveda a rimuovere la precarietà dirigenziale e ad implementare la struttura preposta alle politiche industriali del settore. E questo, anche in vista dei futuri maggiori impegni derivanti in materia di etichettatura, politiche dei consumatori, discipline merceologiche e monitoraggio sulla formazione del valore.

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