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Finanza&mercati

La partita del Barolo si vince solo ai punti ... La Morra 128 chilometri quadrati di territorio divisi in 12 comuni, un fatturato di 140 milioni di euro. In 10 anni, con l’avvio di nuovi vigneti, la produzione è raddoppiata passando da 5 a 10 milioni di bottiglie all’anno. Intanto nelle cantine si affaccia la rivoluzione: il vino si valuta su punteggio. E la Bibbia si chiama Wine Spectator... Questa settimana apre le porte a Torino la sesta edizione del Salone del Gusto, fortunata kermesse di Slow Food sul buon cibo e il buon vino. Sessantaquattro chilometri più a sud, tra le colline delle Langhe, si sta concludendo il rito della vendemmia, con la raccolta della preziosa uva Nebbiolo, che solo tra quattro anni diventerà il vino più ambito, il Barolo. Un nome che lega insieme una terra, una tradizione e uno dei distretti industriali più singolari d’Italia: La Morra. Niente fabbriche ne capannoni, qui il motore dello sviluppo è l’acino d’uva.
Centoventotto chilometri quadrati di territorio divisi in 12 comuni, un fatturato stimato di 140 milioni di euro per una produzione annua di 10 milioni di bottiglie. Se l’Italia è la patria della piccola impresa, questo si traduce tra le colline di Pavese in un fazzoletto di terra a testa: molte le aziende che non arrivano all’ettaro di vigneto, molte meno raggiungono 4 ettari, la dimensione giusta per coprire i costi. Qui il nanismo d’impresa non spaventa. Il passaparola tra i filari è lo stesso da decenni: non vendere ai grandi o perdiamo l’anima. La storia però non si è fermata nemmeno tra le colline di La Morra: gli ultimi 15 anni hanno segnato un passaggio epocale e una guerra ha ancora attraversato i filari della Langa.
Era l’alba dei Novanta. Era l’inizio di una serie di annate eccezionali: i più vecchi dicono di non aver mai visto niente di simile dai tempi della guerra, quella vera, quella del partigiano Johnny. Prima, due annate buone seguivano a due più scarse. Dal Novanta in poi invece ogni annata comincia a essere migliore della precedente, tranne una caduta nel 2002. Merito di un clima più favorevole, ma anche degli interventi in vigna che migliorano la qualità, a scapito della quantità. Si parla di “diradamento” che significa non stressare la vite con troppi grappoli. Si tolgono quindi quelli superflui perché la pianta possa concentrarsi a lavorare sugli acini migliori.
Dieci anni e, con l’avvio di nuovi vigneti, la produzione raddoppia, passando da 5 a 10 milioni di bottiglie all’anno.
Mentre tra i filari accade tutto questo, nel buio delle cantine si affaccia la rivoluzione: il vino è un punteggio che è scritto sulla Bibbia: Wine Spectator. Quasi in contemporanea il movimento Slow Food apre la Langa al mondo. Il giudizio del cliente entra in concorrenza con quello dell’enologo di fama e, se si vogliono “aggredire” i mercati internazionali, un buon punteggio sulle riviste specializzate diventa la principale porta d’accesso. Parte la rincorsa al Barolo di razza: sempre più scuro, sempre più strutturato, sempre più complesso. Il pedigree non manca in queste valli e il Barolo prende il volo, insieme ai prezzi. Il fronte delle 740 aziende improvvisamente si divide: i contadini si spaccano tra innovatori e tradizionalisti. I primi introducono la barrique (botti da 225 litri con legni francesi e tostati) e puntano alle fermentazioni brevi, i secondi rimangono fedeli alle botti di Slavonia di 25-50 ettolitri.
Sono due vini diversi (qui direbbero due concezioni della vita, come si vede dalle testimonianze in questa pagina) e la contrapposizione è forte. Bisogna venire tra questi filari per capire cosa è successo in quegli anni (una buona occasione sono questi ultimi sabato di ottobre: dalle 10 alle 12,30 e dalle 14,30 alle 18,30 alla cantina comunale di La Morra si possono incontrare i produttori e farsi raccontare la storia con un bicchiere di Barolo in mano).
A 15 anni dall’inizio del “Grande conflitto”, si può dire che la contrapposizione forte sia finita, o almeno che si sia arrivati a una tregua armata, se non all’armistizio. Oggi nessuno pensa più che senza barrique sei fuori mercato, le vendite sono meno influenzate dai punteggi e due concezioni di produzione di un vino di altissima qualità riescono a convivere. Anzi sembra si siano formate due nicchie di mercato diverse e per certi versi complementari. Oggi tra i filari il clima è più disteso. Anche quest’anno la vendemmia si annuncia eccezionale. Mentre il resto d’Italia ha avuto un inizio d’estate particolarmente caldo e siccitoso, seguito da un agosto freddo e piovoso, le Langhe sono state risparmiate. L’agosto fresco e soleggiato, con forti escursioni termiche notturne, ha permesso un maggior accumulo delle sostanze zuccherine e aromatiche nei grappoli. Quindi ci si aspettano buoni prezzi di vendita, anche se la Camera di Commercio di Cuneo, auspica che non ci siano speculazioni che, al di là del risultato immediato, creano danno negli anni a venire all’intera filiera produttiva.
Rimane solo una nota amara per i consumatori: la bottiglia di Barolo esce dalla cantina a un prezzo medio tra 12 e i 18 euro. Al ristoratore arriva a qualche euro in più, ma sulla carta dei vini il prezzo spesso raddoppia o triplica. I produttori, comunque, non si lamentano troppo di questa pubblicità da vino per “soli ricchi”: per ora il prezzo alla produzione rimane comunque sostenibile. Niente a che vedere con quello che avviene con il Dolcetto, dove il prezzo delle uve è quello di trent’anni fa e se non riesci a vinificare in casa non copri neanche i costi.

“Siamo primi e la stampa di settore ci aiuta”...
“Il barolo, nonostante il periodo di stasi del mercato, non ha sofferto più di tanto. I produttori hanno mantenuto anche le loro quote. Più all’estero che in Italia, a dir la verità. L’unico calo significativo c’è stato in Germania”. Questa l’analisi di Beppe Caviola, enologo e produttore molto conosciuto in queste colline. Per lui il motivo di questa tenuta sta nei buoni punteggi riservati al Barolo dalle riviste di settore. “Wine Spectator ha scritto bene dell’annata 2000 e questo ha subito fatto ripartire il mercato - dice Caviola - Anche se i lotti che hanno superato una certa soglia di prezzo hanno poi sofferto a mantenere il livello di vendita”. Sulla guerra della barrique di La Morra l’enologo ha le idee chiare. “In quegli anni i tradizionalisti hanno comunque rinnovato il parco botti. E questo è stato sicuramente un bene per tutta la produzione. Gli innovatori hanno ecceduto nella ricerca dei gusti vanigliati e tostati, ma ormai quest’epoca è passata e le esasperazioni sono state abbandonate”. Anche Caviola a questo punto ammette che i voti sono certo importanti, ma meno di un tempo: “Dobbiamo essere grati ai punteggi alti di Wine Spectator e delle poche guide italiane che hanno dato visibilità e lustro a tante aziende. E hanno fatto vendere di più, non dimentichiamocelo. Ora però siamo pronti, si può andare anche oltre. Oggi il consumatore finale informato segue certo il punteggio, ma cerca anche di istaurare di nuovo un rapporto diretto con il produttore. In questo l’enoturismo è uno strumento straordinario”.

Il vino delle Langhe non parla più tedesco...

Loro sono quelli del cubo trasparente in cima alla collina del Bricco Rocche. Una scultura futuristica che ricorda la piramide del Louvre. Uno sfizio per la famiglia Ceretto dopo decenni in giro per il mondo a promuovere il nome di questa terra. La Casa Vinicola Ceretto, che oggi conta una serie di aziende agricole vocate alle diverse produzioni della zona, non ha discendenze secolari, ma è sicuramente una di quelle realtà che ha portato il Barolo a essere quella produzione riconosciuta e venerata in ogni parte del mondo. “Cinquant’anni fa a Londra, New York, Tokyo non c’era nessuno. Ora quasi tutte le aziende della zona hanno qualche cliente sparso per il mondo - racconta Bruno Ceretto - Quelli erano tempi in cui non esistevano le fiere internazionali, i consorzi e la promozione organizzata. E allora io e pochi altri siamo partiti a battere i locali di New York e delle altre capitali mondiali con la nostra bottiglia di Barolo in mano, senza aiuti né sostegni”.
Oggi la sua azienda è presente ai quattro angoli del pianeta, mentre sono proprio i mercati tradizionali e più consolidati a dare segnali di crisi: “La Germania era il primo mercato. Oggi non compra quasi più Barolo. Li stanno bombardando con un’informazione che dice “non bisogna spendere” e vi posso assicurare che la strategia sta dando i suoi frutti - rivela Ceretto - Ormai il tedesco non compra più la bottiglia di Barolo e si accontenta di un vino più economico. Per fortuna l’Inghilterra ha coperto interamente le quote perse sul mercato tedesco. Poi ci sono gli Stati Uniti, la Russia e il Giappone”. Si definisce un “tipo anomalo” Bruno Ceretto, perché ha sempre voluto fare tutto da solo e anche oggi, che pure i Consorzi e i sostegni alla promozione esistono, non ha cambiato idea sulla strategia di promozione della sua azienda: “Credo poco ai consorzi e alla Camere di Commercio così come funzionano da noi - spiega - La colpa è anche nostra: questa è una terra di gente attaccata al proprio pezzo di terra ed è difficile fare sistema, come si dice oggi. L’ho visto sulla mia pelle quando ho voluto comprare una serie di piccoli appezzamenti a La Morra: non era una questione di prezzo, qui il legame coltivatore-terra è qualcosa di particolare. Da una parte tutto questo ci ha salvato da una colonizzazione straniera, ma quando poi siamo noi ad andare all’estero insieme diventa tutto più difficile”.
Ceretto ha in testa un modello che potrebbe funzionare anche per le Langhe. “Ci sono due strade che possiamo seguire per far crescere il nostro territorio: o facciamo un consorzio dieci volte più grosso, anche economicamente, come hanno saputo fare a Montalcino o impariamo dai francesi, soprattutto dello Champagne, che con le loro strutture a capitale misto sono una vera e propria macchina da guerra commerciale”. Una promozione commerciale più coordinata sarebbe certo un buon viatico per La Morra, ma c’è anche un’altra strada che le Langhe stanno percorrendo da qualche anno, con ottimi risultati. La ricetta è semplice: se è difficile e costoso portare il Barolo nel mondo, possiamo spingere perché il mondo venga nelle Langhe. “La nostra provincia è stata scoperta dai tedeschi negli anni Sessanta e da lì in poi la nostra terra ha cominciato a essere conosciuta nel mondo - racconta Ceretto - Oggi esiste un traino straordinario dato dal turismo enogastronomico: qui il vino trama il tartufo e la nocciola. Siamo agli inizi rispetto ad altre zone d’Italia, ma c’è un potenziale di sviluppo straordinario”.

In cantina i piccoli usano il fascino della tradizione...

L’azienda Marco Curto è quel che si definisce una piccola impresa famigliare dalla tradizione amica. Se dovessimo metterci una etichetta sopra, quelli della cantina Curto starebbero sicuramente dalla parte dei tradizionalisti, quelli che la barrique non l’hanno mai presa in considerazione. “Nel momento in cui entri un mercato come l’America ti chiedono la barrique e ti devi adeguare, ma se sei piccolo, le pressioni del mercato internazionale le vivi relativamente - spiega Nadia Curto, 32 anni - Da noi esiste ancora un legame forte con il cliente. Qui, quando la nuova annata di Barolo è pronta in bottiglia, i nostri clienti vengono dalle regioni vicine, mia mamma fa le tagliatelle e si passa una giornata insieme. Poi, certo, loro ci comprano la cassa di Barolo per l’anno, ma è ancora un rapporto molto diverso dalla semplice idea della massimizzazione del profitto”. Sui concorsi e i punteggi l’azienda Curto ha le idee chiare: “Non ho mai mandato le bottiglie per i concorsi. Molti piccoli lo fanno. Ma per avere punteggi alti bisogna fare un vino adatto ai gusti internazionali. Se tu assaggi un vino pluripremiato ti accorgi che è molto concentrato, da degustazione. Non è un tipo di vino che si può bere in compagnia”.
Questo non vuoi dire che Curto non sia conosciuto fuori dall’Italia, ma la composizione della sua clientela è molto più curiosa di quella dei grandi produttori. “La nostra clientela ce la procacciamo soprattutto alle fiere, quindi a volte abbiamo degli sbocchi curiosi: diverse bottiglie le vendiamo in Corea e un centinaio partono ogni anno per un ristorante italiano di Kuala Lumpur. Poi abbiamo un importatore che ci copre in modo più sistematico Germania, Norvegia e Svizzera”. Nadia vede in modo diverso il supporto che può ricavare dalle strutture di promozione: “Tante volte ho usufruito dei fondi della Camera di Commercio di Cuneo che mi hanno permesso di partecipare a fiere a cui non avrei avuto i fondi per iscrivermi. Spesso ci vengono riservati spazi anche negli stand della Coldiretti. Non ultima la cantina comunale di La Morra, che organizza degustazioni e promuove i produttori”. Quello che invece pesa per un piccolo sono le mille richieste burocratiche: “Il problema è che la piccola azienda viene equiparata alle grandi: corso 626, Hccp. A livello di cantina sei controllato dai Nas e dalle Asl. Per una piccola realtà costa molto adeguarsi a tutte queste normative - conclude Nadia Curto - Non dico che non sia giusto, ma il peso economico per una realtà famigliare è veramente rilevante”.

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