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FIPE: “NON CI SONO PIÙ I PIATTI DI UNA VOLTA”. INDAGINE AXIS-FIPE FOTOGRAFA IL RAPPORTO DEGLI ITALIANI CON IL CIBO DI CASA E DEL RISTORANTE. LA CURIOSITÀ: QUANDO LEONARDO DA VINCI AVEVA UNA TAVERNA …

Gli italiani stanno perdendo la cultura della cucina. La ricetta tradizionale della nonna in breve tempo potrebbe non far più parte della memoria storica degli italiani. Nella preparazione di un piatto tipico ce la caviamo piuttosto male e i programmi televisivi sotto questo aspetto non servono a nulla. Diminuiscono anche le occasioni per preparare pietanze succulenti, perché la crisi economica ha ridotto le occasioni di convivio anche dentro le mura domestiche. Si invitano molto meno amici e parenti per i quali imbandire la tavola significherebbe fare una spesa più costosa e si va molto meno al ristorante. Emerge da una ricerca realizzata da Axis-Fipe su “Gli italiani a tavola: prodotti, ricette, luoghi”, realizzata con interviste telefoniche “Cati” su un campione di 800 casi.
“La salvaguardia della tradizione eno-gastronomica è affidata sempre più ai ristoratori - commenta Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe - e se non fosse per loro il patrimonio della cucina italiana conosciuto, apprezzato e copiato in tutto il mondo sarebbe a rischio. Gli impegni esterni alla famiglia che interessano il mondo femminile e il cambiamento dei costumi hanno modificato i consumi a casa sempre più frettolosi, frugali e anonimi”.
Secondo la ricerca, i segreti di una buona ricetta si apprendono ancora dalla mamma (ma non con la stessa metodicità di un tempo) oppure sfogliando libri. La televisione, sempre più imperante fra i giovani, ha perso il ruolo informativo e non è lo strumento destinato a trasformare gli italiani in grandi cuochi. La cucina davanti alle telecamere desta poco interesse nello spettatore, diffidente a ripetere gli esempi. “I programmi faranno anche spettacolo - sostiene Edi Sommariva, direttore generale Fipe - ma sono dannosi per chi vuole cimentarsi fra i fornelli. Funzionano addirittura da deterrente: fanno apparire tutto facile ed invece non è facile per niente”.
Gli italiani di oggi ammettono la loro incompetenza nelle tecniche di preparazione dei piatti, ma nell’era del salutismo e della cura dell’immagine si sentono molto più preparati di quelli delle generazioni precedenti sulle caratteristiche nutrizionali dei singoli alimenti e quindi nel saperli scegliere al mercato, ma a parte il pesce non sanno riconoscere la freschezza di un prodotto.
Tra gli intervistati, la percentuale complessivamente più alta dichiara di non saper capire se un uovo è fresco, mentre solo uno su due sa che la farina di tipo “00” è quella di grano tenero ed è ben informato sull’olio migliore per la frittura. Però tutti concordano sul fatto che non ci sono più i cibi genuini e salutari di una volta e che un costo più alto non è sempre indice di qualità. Il fattore prezzo resta, infatti, la variabile tenuta in maggiore considerazione al momento della spesa e supera anche l’effetto pubblicità; e se esiste qualche dubbio sull’acquisto si tende a decidere (soprattutto le donne) senza alcun consiglio.
È la donna che continua alimentare la famiglia, soprattutto dal punto di vista pratico, a cominciare dalla spesa per finire alla preparazione dei pasti. Nonostante sia aumentato il lavoro femminile, carriera e impegni professionali non hanno distolto la donna dalla gestione dei fornelli. È ancora lei ad optare per il ristorante o la pizzeria nel festeggiare una ricorrenza o per stare in mezzo alla gente. Il fine settimana rimane il periodo migliore da dedicare alla tavola, ma per quella fascia di italiani che ha modificato le abitudini sullo scorso anno, i momenti conviviali sono stati ridotti. I pasti sono consumati all’interno del ristretto nucleo familiare dove si scontano gli effetti della crisi economica. Si tende ad ospitare meno e di conseguenza si va meno a trovare parenti e amici, così come al ristorante. Ma quando si decide di mangiare fuori, la compagnia e la cucina sono gli elementi che per gli italiani fanno la differenza.

La curiosità - “L’oste leonardo, nostro capostipite”. Il genio da Vinci lavorava, giovanissimo, la sera come cameriere per arrotondare il salario. Aprì una taverna con il Botticelli e inventò macchinari per facilitare il lavoro degli chef di oggi. Scrisse anche ricette e un codice di comportamento, ma sulla sua autenticità gli studiosi si dividono
L’informazione sulle pietanze fornite al cliente era talmente importante da spingere Sandro Botticelli a raffigurare i piatti preparati sui menu scritti nell’incomprensibile grafia, da destra a sinistra, di Leonardo da Vinci. Accadeva in pieno Rinascimento, quando i due massimi esponenti, amici del cuore, decisero di diventare soci e aprire assieme una taverna: “Alle Tre Ranocchie di Sandro e Leonardo”. I piatti che andavano per la maggiore erano capretto bollito, carciofi, rognone di agnello, ranocchie fritte (specialità della casa), cetrioli, carote. L’iniziativa non ebbe successo, forse perché troppo all’avanguardia e i due “osti” tornarono alle loro genialità più riconosciute in quel periodo.
Per Leonardo da Vinci non si trattava della prima esperienza nel settore. A 20 anni aveva lavorato come cameriere “Alle Tre Lumache”, un’osteria a due passi da Ponte Vecchio, dove al posto delle attuali oreficerie, c’erano le botteghe dei macellai facilitati nel poter gettare gli scarti direttamente dentro l’Arno. Alcuni testi riportano che l’improvvisa morte di alcuni cuochi indusse il proprietario a promuovere il Genio cosmico da cameriere a capocuoco. Mai occasione fu più propizia per Leonardo per cercare di “civilizzare” le pietanze servite, riducendone le porzioni da servire e disponendole in maniera coreografica sul piatto. In pratica, inventò (incompreso) la nouvelle cuisine. Ma il malcontento della clientela per le porzioni ridotte, abituata quando poteva alle abbuffate, fu tale da costringerlo a cambiare attività.
La raffinatezza e il buon gusto di Leonardo anche per la tavola, però non sfuggirono agli Sforza che lo vollero a corte per curare regia e allestimento dei banchetti. Ed è proprio nelle cucine del castello sforzesco che Leonardo pensò bene di fare ricorso alla tecnologia per migliorare la preparazione delle pietanze e facilitare la vita del personale. Studiò un modo per rendere costante la fonte di calore per cucinare, inventò macchinari per pelare, triturare e affettare i vari ingredienti; studiò il modo di mandar via i cattivi odori e il fumo; costruì un apparecchio per automatizzare l’arrosto, ma anche oggetti ancora oggi indispensabili in cucina come il cavatappi, l’affettatrice e il trita-aglio.
Il successo non fu scontato per niente, perché i macchinari crearono soggezione fra gli invitati e “il direttore di sala” Leonardo fu dispensato da quell’incarico. Secondo una scuola di pensiero, Leonardo avrebbe anche messo nero su bianco alcune annotazioni culinarie che sarebbero contenute nel Codex Romanoff ritrovato (sembra) in Russia nel 1865. L’esistenza di questo manoscritto e soprattutto la sua originalità è però messa in dubbio da molti. E così per gli appassionati di Leonardo, oltre a quello della Gioconda si apre un altro enigma: quello delle ricette e del codice di comportamento a tavola.

Focus - Gli italiani a tavola: prodotti, ricette e luoghi
Il cibo ha sempre avuto nel nostro Paese un ruolo importante non solo sul piano economico ma anche e soprattutto su quello simbolico. Ad esso vengono associati i valori della convivialità, della qualità della vita, della famiglia che si ritrova intorno alla tavola. Molte cose sono, tuttavia, cambiate. Gli stili di vita contemporanei hanno ridefinito la relazione degli italiani con il cibo generando una nuova scala di valori che vede profondamente mutate le competenze in cucina, la sensibilità verso la tavola e il rapporto tra casa e fuori casa.
- La cultura dei prodotti
Gli italiani si danno un più che sufficiente riguardo alla capacità di scelta dei prodotti, alla conoscenza delle caratteristiche nutrizionali degli alimenti e alle competenze tecniche per la loro preparazione.zBR> E rispetto ai loro genitori ritengono di essere più preparati sui primi due aspetti ma meno sul terzo. La consapevolezza della parziale perdita di quella che potremmo definire “la memoria collettiva a tavola” è assai diffusa sia tra gli uomini che tra le donne. Oggi, dunque, si è bravi a leggere le etichette, meno a far da mangiare. Infatti vediamo che, benchè gli intervistati partano da voti medi pari a “7” e a “6,45” per quanto riguarda la “scelta dei prodotti” e le “caratteristiche nutrizionali degli alimenti”, questi due aspetti sono definiti come in crescita rispetto alle competenze dei rispettivi genitori, denotando un aumento della consapevolezza nei processi di acquisto.
E’ sul fronte prettamente pratico, legato ai “segreti” delle ricette nostrane, che si registra il voto inferiore (anche se di pochissimo) “6,40” e soprattutto la percezione di un trend di peggioramento rispetto alle generazioni precedenti. Il che potrebbe scalfire la forza della tradizione culinaria italiana.
- I perni delle competenze: la mamma, poi libri e riviste
Finchè c’è la mamma… E’ lei a rappresentare il riferimento delle competenze in cucina, è lei il perno della tradizione che continua, sia per i maschi che soprattutto per le femmine. E’ quanto dichiarato dal 65% degli intervistati.
Non va trascurato, tuttavia, che il secondo maestro di cucina sono i libri e le riviste. Due curiosità. La moglie è maestra soltanto per il 16% dei coniugi, mentre le trasmissioni televisive fanno molto spettacolo e poca educazione/formazione.
Il risultato? La cucina si arricchisce di testi, di immagini, di parole ma le competenze degli italiani non crescono. Una prova? Il 65%, se dovesse prescindere dalla data impressa sulle confezioni, non sa quando un uovo è fresco.
- La cucina è sempre “femmina”
La figura femminile si conferma il riferimento primario anche per il menage quotidiano, con il 69% delle famiglie intervistate in cui è la “moglie” a fare la spesa, anche se in un significativo terzo delle famiglie e’ il “marito” a fare la spesa (soprattutto al sud). Inoltre, sono le donne a denotare una maggiore sicurezza di sé, “decidendo comunque da sole” in caso di incertezza durante un acquisto: 70%, contro il 54,5% dei maschi, che hanno bisogno di consultarsi. E non potrebbe essere diversamente considerando che è sempre più difficile trovare nei negozi personale, perdipiù competente, a cui chiedere supporto.
Nel processo di acquisto il “prezzo” è, prevedibilmente l’elemento più citato, con il 62%, seguito dall’importanza della marca, 51,5 %, che denota il rapporto di fiducia produttori-consumatori, e dall’elenco ingredienti, 39%, che conferma quanto emerso in precedenza circa l’aumento delle competenze e della consapevolezza dei consumatori.
La “sicurezza” è il tema maggiormente sentito: sia come sensazione che stia aumentando (il 41% considera i prodotti alimentari di oggi “più sicuri” rispetto al passato), sia come consapevolezza della sua importanza ed attualità (più della metà del campione pensa che “i prodotti migliori siano quelli più sicuri”).
Ma è proprio qui che emerge una forte discontinuità con il passato. Per due terzi degli italiani l’identità prezzo alto=qualità non è più scontata. I prodotti di miglior qualità sono senz’altro più sicuri ma non necessariamente più buoni.
In ogni caso il giudizio complessivo degli italiani sui prodotti alimentari di oggi rispetto al passato è assai pesante: non sono più sicuri, non sono più buoni, non sono più salutari e, soprattutto, non sono più genuini.
- Le competenze alla prova
Le competenze in fase di acquisto sono state verificate per mettere realmente alla prova gli italiani e “misurare” concretamente. In dettaglio, vediamo che:
Il pesce, forse per la delicatezza in fase di acquisto, è l’alimento su cui emerge la massima competenza. Sono i tre quarti del campione ad indicare spontaneamente elementi corretti nell’identificazione della sua freschezza, e non si registrano particolari differenze tra intervistati maschi e femmine.
L’uovo fresco non sa come identificarlo correttamente più del 40% degli intervistati, e qui la forchetta di competenze tra maschi e femmine comincia ad aprirsi.
La farina 00 è correttamente indicata di grano tenero da poco più della metà del campione, 54,5%. In questo caso la differenza di competenze tra maschi e femmine è massima.
Curiosa poi la domanda sull’olio migliore per friggere: il questo caso il campione è apparso spaccato a metà: un 50% ha complessivamente indicato l’olio d’oliva ed un 50% quelli di semi. Tutto questo a prescindere dalle caratteristiche del prodotto che deve essere fritto.
- Gli italiani ai fornelli
Ma quanto dedicano ai fornelli mediamente gli italiani, in settimana e nei week end? Se al pasto principale (il pranzo per il 75% degli italiani) durante la settimana è mediamente dedicata “un’ora”, il pasto principale dei week end appare più ricco e laborioso, con “un’ora e mezza” media di preparazione. Dunque, una tradizione, quella del “pranzo della domenica”, che ancora resiste pur in presenza di una tendenza lenta ma inarrestabile a dedicare sempre meno tempo alla cucina in casa.
Ma qual è la cucina a cui si ispirano gli italiani? La tradizione tiene se si considera che le competenze nei confronti delle “ricette della zona in cui si vive” o di quelle del luogo “di origine” prendono la sufficienza (6,6 è il voto medio contro il 6,4 medio delle ricette del luogo di origine). Al sud le cose vanno meglio a testimonianza di un legame più solido con la tradizione.
Baluardo indiscusso delle competenze si conferma, ancora una volta, la “mamma”, citata da poco più della metà del campione (55%). Da sottolineare come al secondo posto, col 14%, ci siano formazioni da “autodidatti”, seguite al terzo posto col 7% da un altro baluardo della cucina, la “nonna”, che conferma ancora una volta l’importanza della figura femminile.
- L’erosione delle relazioni
Nel fine settimana precedente all’intervista, la percentuale di intervistati che aveva consumato pasti in compagnia, non importa dove, era pari al 46%. Quanto ai luoghi maggiormente teatro di questi convivi, la “casa”, sia propria che di altri, è stata indicata con una media di “una volta”, mentre il “fuori casa” con valori medi inferiori ad 1.
Complessivamente i pasti consumati in compagnia sono dichiarati in calo da un quarto (25%) del campione intervistato, che confrontato col 9% che invece sta intensificando questa attività, ci rilascia un saldo complessivamente negativo del 14%.
Dunque il 14% degli italiani consuma “meno spesso”, indipendentemente dal luogo, pasti in compagnia di parenti o amici.
Che gli italiani stiano effettivamente consumando meno pasti a carattere conviviale a causa della crisi potrebbe sembrare una forzatura eccessiva, resta, tuttavia, la consapevolezza che se anche fosse soltanto una percezione non sarebbe comunque di buon auspicio.
Quanto ai luoghi, se “casa propria” ha un saldo pressochè stabile (-1%), la “casa di amici o parenti” ha un saldo più marcatamente in diminuzione (-19%), e i locali pubblici come “pizzerie e ristoranti”, dichiarati in calo dal 45%, hanno un saldo negativo pari addirittura al 36%. E quando a questo 45% è stato chiesto quanto l’attuale crisi abbia influito su questa diminuzione, la risposta fornita quasi dai tre quarti è stata “molto” o “abbastanza”.
Una crisi che quindi, oltre ad impattare sui consumi, domestici ed extradomestici, sta intaccando anche la sfera delle relazioni personali e sociali.
- Pasti a casa e fuori casa: tra libertà e cucina
I “pasti a casa” sono sinonimo di libertà e compagnia, con voti medi pari a 8,7 ed 8,3. Ma il pasto in casa è anche sinonimo di risparmio.
Quanto alle modalità organizzative, tra i più giovani prevale la “suddivisione dei compiti”, 27% contro il 22,5% medio, mentre tra le fasce d’età più elevate i padroni di casa tendono a farsi carico di tutto.
I pasti al ristorante/pizzeria sono sinonimo di ricorrenze particolari (47%) e di socialità (22,5%), anche se la somma delle risposte legate alla cucina (“mangiare cose particolari”, “mangiare bene”) si attesta complessivamente al 30%, andandosi quindi a collocare al secondo posto e denotando quindi l’importanza dell’aspetto prettamente culturale/culinario e la ricerca di esperienze gratificanti.
E il ristorante è apprezzato anche perché fa “risparmiare” fatica e tempo ai fornelli.
La socializzazione resta, sia in casa che fuori, l’elemento più qualificante dello stare intorno alla tavola.
A conferma di ciò, vediamo come compagnia e cucina siano gli aspetti ritenuti più importanti quando si esce in compagnia, ed abbiano ottenuto voti medi rispettivamente pari a 8,7 ed 8,2.

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