“Bisogna governare il limite”: è la via da percorrere per il futuro del settore indicata da Angelo Gaja, l’“artigiano” del vino italiano per eccellenza ed uno dei produttori italiani più ammirati, nei giorni scorsi, sul “Corriere della Sera”, in un’intervista a tu per tu con il vicedirettore del quotidiano, Luciano Ferraro. Per il quale, dopo anni di crescita che hanno portato l’Italia del vino al primo mondiale della produzione e un “annus horribilis”, tra consumi in calo, in Europa come in America, vento salutista anti-alcol che soffia in Occidente, giacenze ancora alte nelle cantine del Belpaese, arrivate alla vendemmia con l’equivalente di un altro raccolto, effetti del cambiamento climatico che la rendono incerta (e portano i consorzi ad abbassare le rese), e, last but least, i dazi al 15% imposti dall’amministrazione Trump in Usa, il primo mercato (con 1,9 miliardi di euro su 8,1 totali nel 2024 che ha fatto segnare un nuovo record nell’export), “il periodo d’oro del vino italiano sembra lontano”, tanto che, nei giorni scorsi, riunita a Palazzo Chigi nel Tavolo Vino con il Premier Giorgia Meloni e il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, la filiera vitivinicola ha “proposto di estirpare parte del Vigneto Italia”.
L’espianto e la distillazione sono “misure estreme sulle quali si continua a dibattere” e “mi chiedo se non siano auspicabili pratiche coerenti con il governo del limite”, dice Angelo Gaja, guardando anche ad un futuro quanto mai prossimo, visto che la vendemmia 2025 ha già mosso i primi passi tra i vigneti italiani e c’è già chi si sbilancia in previsioni stimandola sui 45 milioni di ettolitri in quantità - ma si parla anche del pericolo di sfiorarne 50, dopo i 48 milioni prodotti nel 2024, come ricorda il vice direttore del “Corriere della Sera” Luciano Ferraro, ndr - e ottima in qualità. Piuttosto, sarebbe meglio ragionare in termini più ampi, sostiene Gaja, per il quale “sarebbe ottimale una produzione annuale tra i 35 ed i 42 milioni di ettolitri. Anche per gli effetti del cambiamento climatico, oltre che del calo dei consumi. Produrre meno, ma meglio”. Questo per far sì che mercato e produzione possano riequilibrarsi, abbassando “il limite per i vini da tavola da 400 a 250 quintali di uva per ettaro. Ridando dignità a questi vini”, è una delle misure indicate da Gaja. “Secondo: impedire di produrre vini da tavola con uve da tavola”, aggiunge, ribadendo, però, che “la madre di tutte le riforme sarebbe comunque la riduzione della burocrazia per le cantine”. Ma, sottolinea ancora Gaja, “è giusto chiedere aiuti pubblici, ma chi eroga denaro deve fare attenzione, i fondi servano a favorire l’intero settore e non gli individui”.
E se sui dazi che “sono un rischio di impresa” e colpiranno tutto il comparto, Gaja dice “aspettiamo, la trattativa è in corso. Speriamo in una soglia meno punitiva. Bisogna avere pazienza, fasciarsi la testa prima del tempo non serve” (con il vino che spera ancora nello “zero-for-zero”), sul calo dei consumi parla più di congiuntura che di crisi strutturale - come tanti momenti difficili che il settore ha affrontato in passato, come lo stesso Gaja ha ricordato ripercorrendo “Il cammino del vino italiano” di fronte al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nell’ultimo “Forum” n. 44 della Cultura del Vino e dell’Olio della Fondazione Italiana Sommelier-Fis a Roma - e, per questo, “i produttori devono essere capaci, per quanto possibile, di operare come sempre nei mercati occidentali. Ma devono anche esplorare i mercati asiatici e africani, dove i consumatori sono spesso abituati a bere bevande molto alcoliche. Quei consumatori vanno educati ad abbassare il livello dell’alcol, bevendo il vino, che contiene cultura”. Per questo, i senza alcol “non riusciranno a competere col vino “re” della tavola”.
“Il fattore umano - conclude un “ottimista” Angelo Gaja - è la nostra forza” e fa sì che “i produttori esportano vino, italianità e poesia, muovono la curiosità che spinge i turisti a venire in Italia. I consumi di vino diminuiscono da molti decenni, ma nonostante questo siamo sempre andati avanti. Continueremo a farlo. Con realismo, perché il mondo cambia”.
Insomma, come sostenuto anche dal direttore WineNews Alessandro Regoli sul quotidiano “Avvenire”, in un articolo in cui, sempre nei giorni scorsi, il giornalista Andrea Zaghi analizza le problematiche del settore in fase di vendemmia, “le preoccupazioni non mancano. È fondamentale governare il limite produttivo per mantenere in equilibrio il mercato, sul fronte della remuneratività dei vini e delle uve”. In gioco c’è un comparto che vale oltre 14 miliardi di euro, 241.000 aziende, 675.000 ettari, 8,1 miliardi di euro di export e che dà lavoro a 1,3 milioni di persone.
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