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Giornata Mondiale dell’Alimentazione Fao, Papa Francesco: “amare è autosufficienza alimentare, basta speculazione e land grabbing”. Martina: “fame questione agricola”. Petrini: “rispetto per il lavoro dei contadini, ma i giovani tornino alla terra”

Oggi Giornata Mondiale dell’Alimentazione della Fao, di scena a Roma, su “Cambiare il futuro della migrazione. Investire nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale”, con al centro gli argomenti affrontati dai Ministri dell’Agricoltura delle prime economie mondiali nel Forum del G7 a Bergamo. Cambia evidentemente la cornice, quella dell’organizzazione per il cibo e l’agricoltura dell’Onu, ma anche gli interpreti, con un intervento d’eccezione ad aprire il dibattito, quello di Papa Francesco. “Non solo garantire la produzione necessaria e una equa distribuzione dei frutti della terra, che dovrebbero essere scontati - ha esordito il Pontefice - ma garantire il diritto di ogni essere umano ad alimentarsi secondo le proprie necessità. Un obiettivo sul quale si gioca la credibilità di tutto il sistema internazionale”. Bergoglio ha invitato a andare oltre le “emergenze, e affrontare i problemi di denutrizione e fame indotti dai conflitti e dal cambiamento climatico: la radice del problema. È troppo - ha chiesto il Papa alla Fao - pensare di introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore, declinata come gratuità, parità nel trattare, solidarietà, cultura del dono, fraternità, misericordia?”.

In effetti, ha osservato il Pontefice, “queste parole esprimono il contenuto pratico del termine ”umanitario”, tanto in uso nell’attività internazionale. Amare i fratelli e farlo per primi, senza attendere di essere corrisposto è un principio evangelico che trova riscontro in tante culture e religioni, e diventa principio di umanità nel linguaggio delle relazioni internazionali”. Per Papa Bergoglio, è “auspicabile che la diplomazia e le Istituzioni multilaterali alimentino e organizzino questa capacità di amare: non possiamo operare solo se lo fanno gli altri, né limitarci ad avere pietà, perché la pietà si ferma agli aiuti di emergenza, mentre l’amore ispira la giustizia ed è essenziale per realizzare un giusto ordine sociale tra realtà diverse che vogliono correre il rischio dell’incontro reciproco. Amare vuol dire contribuire affinché ogni Paese aumenti la produzione e giunga all’autosufficienza alimentare. Amare si traduce nel pensare nuovi modelli di sviluppo e di consumo, e nell’adottare politiche che non aggravino la situazione delle popolazioni meno avanzate o la loro dipendenza esterna. Amare significa non continuare a dividere la famiglia umana tra chi ha il superfluo e chi manca del necessario”.
Inoltre, parlando dei fenomeni migratori, secondo il Papa “il Patto mondiale per una migrazione sicura, regolare e ordinata, al quale stanno lavorando le Nazioni Unite, richiede una azione intergovernativa coordinata e sistematica di accordo con le norme internazionali esistenti, ma impregnata di amore e intelligenza e il suo obiettivo è un incontro dei popoli e non l’esclusione né la vulnerabilità”. Il dibattito sulla vulnerabilità, però, causa divisioni a livello internazionale quando si parla di immigrati, ma per il Papa sono inaccettabili “sofismi linguistici che non fanno onore alla diplomazia, riducendola ad arte del possibile o a un esercizio sterile per giustificare egoismi e inattività. Il migrante è “vulnerabile” - ammonisce il Papa - perché costretto da violenza, situazioni naturali, o peggio, da indifferenza, intolleranza, o escluso dall’odio”.
E allora, per “superare i conflitti, causa di migrazioni e di denutrizione per milioni di essere umani, serve un impegno totale a favore del disarmo graduale e sistematico previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, come per rimediare alla funesta piaga del traffico di armi. Siamo diventati consapevoli, ha detto il Papa, della capacità di distruzione delle armi, ma - ha chiesto alla Fao - siamo altrettanto consapevoli degli effetti della povertà e dell’esclusione? Come fermare persone disposte a rischiare tutto, intere generazioni che possono scomparire perché mancano del pane quotidiano, o sono vittime di violenza o di mutamenti climatici? Si dirigono dove vedono una luce o percepiscono una speranza di vita. Non potranno essere fermate da barriere fisiche, economiche, legislative, ideologiche: solo una coerente applicazione del principio di umanità potrà farlo. E invece - denuncia il Pontefice - diminuisce l’aiuto pubblico allo sviluppo e le Istituzioni multilaterali vengono limitate nella loro attività, mentre si ricorre ad accordi bilaterali che subordinano la cooperazione al rispetto di agende e di alleanze particolari o, più semplicemente, ad una tranquillità momentanea”.
“Ho fame, sono forestiero, nudo, malato, rinchiuso in un campo profughi, è una domanda di giustizia - ha ammonito Papa Francesco - non una supplica o un appello di emergenza. È necessario un ampio e sincero dialogo a tutti i livelli perché emergano le soluzioni migliori e maturi una nuova relazione tra i diversi attori dello scenario internazionale, fatta di responsabilità reciproca, di solidarietà e di comunione. Contro il giogo della miseria serve una prevenzione fatta di progetti di sviluppo che creino lavoro e capacità di riposta alle crisi climatiche e ambientali. La prevenzione costa molto meno - rimarca Bergoglio - degli effetti provocati dal degrado dei terreni o dall’inquinamento delle acque, effetti che colpiscono le zone nevralgiche del pianeta dove la povertà è la sola legge, le malattie sono in crescita e la speranza di vita diminuisce”. Il Papa, inoltre, è tornato a condannare il land grabbing, l’accaparramento delle terre: “occorre allontanare le tentazioni di operare a vantaggio di gruppi ristretti della popolazione, come pure di utilizzare gli apporti esterni in modo inadeguato, favorendo la corruzione, o in assenza di legalità. Dobbiamo proporre un cambio negli stili di vita, nell’uso delle risorse, nei criteri di produzione, nel consumo, contro gli sprechi, non possiamo pensare lo farà un altro. È necessario sforzarsi in favore di un consenso concreto e pratico per evitare i fatti più tragici del cambiamento climatico, che ricadono sui più poveri e indifesi: basta alla negligenza di fronte ai delicati equilibri degli ecosistemi, la presunzione di manipolare e controllare il pianeta”.
In questo quadro, però, “diminuire le bocche da sfamare - ammonisce il Pontefice - è una falsa soluzione, se si considera il livello di spreco del cibo e i modelli di consumo: ridurre è facile, condividere, al contrario, richiede una conversione, ed è esigente. C’è un problema di speculazione sulle risorse alimentari, anche nell’ambito del rapporto tra sicurezza alimentare e migrazioni. Vediamo tutti i giorni le conseguenze dei cambiamenti climatici. Grazie alle conoscenze scientifiche, sappiamo come i problemi vanno affrontati; e la comunità internazionale è andata elaborando anche strumenti giuridici necessari, come per esempio l’Accordo di Parigi, dal quale, però - ha rimarcato Papa Francesco - alcuni si stanno allontanando.
Riemerge la noncuranza verso i delicati equilibri degli ecosistemi, la presunzione di manipolare e controllare le limitate risorse del pianeta, l’avidità di profitto. È pertanto necessario lo sforzo per un consenso concreto e fattivo se si vogliono evitare effetti più tragici, che continueranno a gravare sulle persone più povere e indifese”.
Più pragmatico, invece, l’intervento del Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, che ha ricordato come “gli studi della Fao ci dicono che tra le principali cause di migrazione c’è troppo spesso la povertà alimentare, la fame. Una disperazione che spinge ad abbandonare le proprie case in cerca di futuro. C’è un dato che vorrei ricordare: il 75% degli affamati vive in zone rurali. La fame è una questione innanzitutto agricola. È evidente quindi - aggiunge Martina - che l’impegno che dobbiamo prendere è contribuire affinché si sviluppino concretamente agricolture più produttive e sostenibili. In questo senso voglio portare qui l’impegno dei ministri del G7 Agricoltura . Abbiamo riaffermato con forza la volontà di liberare dalla fame 500 milioni di persone entro il 2030, lavorando al raggiungimento dell’obiettivo Fame zero delle Nazioni Unite. Abbiamo individuato alcune priorità fondamentali a partire proprio dalla tutela del reddito dei produttori, soprattutto piccoli, davanti alle crisi economiche e i disastri climatici”. Un altro punto decisivo, sottolinea Martina, “è l’impegno a rafforzare la trasparenza nella formazione dei prezzi e nella difesa del ruolo degli agricoltori nelle filiere soprattutto di fronte alla volatilità dei prezzi”.
Quindi, l’attenzione del Ministro Martina si sposta sul tema delle migrazioni, affrontato attraverso la storia di un migrante, Suleman, “che ha lasciato l’Africa in cerca di futuro e ha fondato una cooperativa agricola sociale, è una storia modello di integrazione, una storia che ricorda come sia necessario scendere in campo ancora, qui in Italia come nel resto del mondo, nella difesa senza esitazioni della dignità e dei diritti dei lavoratori agricoli contro lo sfruttamento. Suleman e i suoi compagni - osserva Martina - hanno scelto un nome simbolico per la loro cooperativa: Barikamà, parola che in lingua bambarà significa resistente, resiliente. La loro storia - conclude il Ministro - dà un volto alla parola migrazione. Dà un compito ad ognuno di noi qui: impegnarci fino in fondo, ciascuno per la propria responsabilità, per lottare contro le diseguaglianze della fame. Per farlo credo dovremo essere anche noi barikamà, resistenti”.
Nella seconda parte dei lavori, spazio agli Ambasciatori Fao del programma “Fame zero”: Guadalupe Valdez, economista ed ex congressista (America latina e Caraibi), Darine el Khatib, giornalista (Vicino Oriente) Kanayo F. Nwanze, ex Presidente del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Africa) e Carlo Petrini, presidente di Slow Food (Europa), che si sono confrontati sui grandi temi della fame nel mondo, dell’alimentazione e del ruolo dell’agricoltura con gli studenti presenti alla Giornata Mondiale dell’Alimentazione. L’intervento di Petrini, tra i più attesi, ha messo al centro il ruolo dei contadini e quello dei giovani: “non possiamo parlare di Fame Zero - ha detto il presidente di Slow Food - se non rispettiamo il lavoro dei contadini di tutto il mondo e, soprattutto, se i giovani non tornano alla terra”.

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