Le bevande alcoliche costano troppo poco, e l’impatto che hanno sulla salute delle persone ha ormai raggiunto livelli inaccettabili. È l’allarme lanciato dal Ministero della Salute inglese, che chiede al Governo guidato da Theresa May di riconsiderare l’idea di istituire un prezzo minimo su vino, birra e spirits, giudicando insufficiente l’obbligo di mantenere il prezzo minimo, così com’è oggi, al livello del costo base più l’Iva. La questione è tornata di attualità nelle ultime settimane, non solo in Inghilterra, ma anche in Scozia, dove il Parlamento ha dato il via libera ad un’imposta di 50 centesimi per unità alcolica, scatenando la reazione e l’opposizione congiunta di produttore di whisky locali e produttori di vino europei, ma adesso sembra diventata una vera e propria emergenza, perché nonostante un generale calo dei consumi tra il 2008 ed il 2015, l’incidenza delle malattie al fegato, ad esempio, sé cresciuta del 400% dagli Settanta ad oggi. Tanto che i danni alla salute causati dall’alcol, ormai, pesano per l’1,3-2,7% della spesa pubblica.
Il Ministero della Salute Uk, inoltre, ha totalmente rigettato la tesi dell’industria dei wine & spirits secondo cui il prezzo minimo svantaggerebbe sia i bevitori responsabili che chi eccede. Ferma, come racconta il magazine Uk “Decanter” (www.decanter.com), la reazione della Alcohol Information Partnership, che mette insieme giganti del settore come Diageo e Pernod Ricard, che parla di “una politica (quella del prezzo minimo unitario, ndr) mai testata, che si regge semplicemente su previsioni tutte da provare, con alla base affermazioni a dir poco controverse”. Un primo segnale, comunque, il Governo l’ha dato qualche mese fa, con le nuove linee guida che hanno sensibilmente abbassato le quantità di bevande alcoliche consigliate (a 14 unità per settimana), ma intervenire direttamente sulle dinamiche di prezzo, in una situazione come quella attuale, in cui c’è ancora da capire l’effetto della Brexit sul costo della vita degli inglesi, è una sfida a dir poco improba.
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