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“GLI ITALIANI E IL PANE” … LE CIFRE DELL’ARTE BIANCA, DI SCENA A VERONA DAL 5 AL 9 MAGGIO. TUTTA L’INDAGINE DEL PROFESSOR ENRICO FINZI, PRESIDENTE DI ASTRA RICERCHE

È democratico, moderno, nutriente, edonistico. È un rapporto di passione, quello che lega gli italiani e il pane. Un rapporto sempre più stretto, in costante crescita, se è vero che il 96% degli italiani acquista pane fresco artigianale. Vale a dire 47,9 milioni di persone su un totale di quasi 50 milioni di giovani e adulti. Sono questi alcuni dati della ricerca sugli italiani e il pane, realizzata dal sociologo Enrico Finzi, presidente di Astra Ricerche, per conto di Siab, il salone internazionale dell’arte bianca, in programma a Verona dal 5 al 9 maggio prossimi, “che conta oltre 400 espositori, di cui il 20% esteri provenienti da 16 Paesi”, spiega Flavio Piva, condirettore generale di Veronafiere. “Veronafiere - ha quindi dichiarato il direttore generale, Giovanni Mantovani - investe ancora in modo importante nel settore agroalimentare e rappresenta oltre il 40% per cento del prodotto manifestazioni fieristiche del comparto, con ben 8 eventi, che dimostrano la nostra attenzione verso la promozione del made in Italy”.

La ricerca - Gli italiani e il pane artigianale
È in atto un boom del consumo del pane fresco artigianale: è il principale risultato dell’indagine demoscopia, commissionata ad Astra Ricerche dal Salone Internazionale dell’Arte Bianca (5/9 maggio, Verona), realizzata nella seconda metà di gennaio 2007 tramite 1.488 interviste telefoniche, somministrate con il metodo Cati (Computer Aided Telephone Interviewing) ad un campione rappresentativo della popolazione italiana 14-79enne (esclusi i non residenti e i membri delle convivenze: ospedali, ospizi, convitti, carceri, caserme, conventi ...), pari ad un universo di circa 50 milioni di adulti.
Gli italiani che dichiarano che in famiglia si acquista pane fresco artigianale sono il 96% della popolazione: come a dire 47.9 milioni su un totale di quasi 50 milioni. Il consumo è sostanzialmente trasversale, anche se un modesto ‘picco’ (98%) si osserva nel Lazio (Roma è davvero la capitale d’Italia, almeno per quello che riguarda il pane fresco artigianale).
I due concorrenti diretti del prodotto artigianale sono il pane industriale, che non supera il 28% (14.1 milioni: soprammedia nel Triveneto e nel nord-ovest dove maggiore è il peso della moderna distribuzione alimentare) e il pane surgelato/congelato che non arriva al 7% (3.3 milioni: in particolare in Veneto). Ma anche le fette biscottate col loro 66% di penetrazione nelle famiglie italiane (32.9 milioni: specie nel centro-sud), i cracker col 63% (31.5 milioni: specie nel Triveneto), i grissini col 46% (23.2 milioni: specie al nord e in particolare in Piemonte) e i granetti col 17% (8.5 milioni di persone: con lieve accentuazione in Emilia-Romagna) si tengono a grande distanza dal pane fresco artigianale, assoluto leader nel Paese.
Di più: mentre fino alla fine degli anni ’90 il prodotto artigianale appariva in lieve calo a favore di quello industriale o surgelato/congelato e specialmente dei cosiddetti prodotti sostitutivi, con l’aprirsi del nuovo decennio/secolo/millennio la diffusione del pane fresco artigianale è tornata a crescere: più del pane industriale (anche congelato/surgelato) e specialmente più dei prodotti sostitutivi, di cui si registra un calo generalizzato. In sintesi, il pane fresco artigianale cresce di 1.8 milioni dal 2000 ad oggi e quello industriale di 1.4 milioni mentre - nel loro insieme - i prodotti sostitutivi perdono ben 2.6 milioni (per il calo anzitutto delle fette biscottate di tipo tradizionale e dei cracker di ogni tipo).
Sono stati chiesti ai 2.1 milioni di italiani la cui famiglia non è acquirente di pane fresco artigianale, i motivi di questa scelta: si è scoperto che in quattro casi su dieci le ragioni sono legate o a questioni di salute/intolleranza alimentare o all’impossibilità/sco-modità di approvvigionarsi di pane fresco, mentre solo in un caso su tre si parla di preferenza per il pane industriale. Questi ultimi soggetti (0.7 milioni di adulti) sono quasi raggiunti dall’oltre mezzo milione di nostri connazionali che in casa consuma pane auto-prodotto in casa sia in forni tradizionali sia in forni moderni: costoro non sono affatto vecchi contadini o montanari ma - all’opposto - giovani men che 35enni, più residenti nei comuni minori, distribuiti dal sud al Triveneto, specie studenti e appartenenti al ceto medio impiegatizio e autonomo, con 0-14enni in famiglia.
Qualcuno potrebbe essere spinto sostenere che la quota dei consumatori di pane fresco artigianale è cresciuta a seguito della crisi economico-sociale della prima metà di questo decennio, ma l’ipotesi è smentita dal rinnovato ‘boom’ presso gli imprenditori, i dirigenti, i professionisti, gli impiegati, i quadri, i tecnici, gli insegnanti e gli studenti delle scuole medie superiori e universitari: un target medio e medio-alto/alto che torna o per la prima volta accede al pane fresco artigianale non più come all’alimento basico dell’Italia povera ma come a una delle esperienze modernizzanti più connesse con i nuovi stili alimentari.
D’altra parte è impressionante la frequenza d’acquisto del pane fresco artigianale: più di due italiani su tre lo comprano tutti i giorni o quasi (in particolare i 14-34enni, i residenti al sud, le famiglie con figli, i salariati e i lavoratori autonomi così come gli appartenenti ai ceti superiori); più di un quinto si approvvigiona da due a quattro volte alla settimana (specie al nord e nelle città maggiori); solo un dodicesimo ha una frequenza d’acquisto minore ma mai bassissima. E tali dati vanno letti sapendo che il 31% compra meno di un chilo alla settimana, quasi la metà da 1 a 4 chili (in media 2.3 chilogrammi), un sesto 4 o più chili (con il dato medio che cresce man mano che si va verso sud e che - ovviamente - cresce il numero medio dei componenti del nucleo familiare).
Quanto alle occasioni di consumo, prevalgono i due pasti principali: la cena (83% degli italiani) e il pranzo (81%), con minor peso della prima colazione (13%) e della merenda (a metà pomeriggio 12% e a metà mattina 9%). Ma contano assai pure il consumo al ristorante/pizzeria (45%), a casa di familiari/amici (41%), durante viaggi/picnic (35%).
Certo, la moderna distribuzione alimentare è un canale di peso crescente nel mercato del pane, servendo quattro italiani su dieci (naturalmente con forte accentuazione per il pane industriale e quello congelato/surgelato). Ma il dato-chiave è un altro e consiste nella straordinaria leadership del dettaglio tradizionale, che serve circa otto acquirenti su dieci, con particolare forza delle panetterie dotate di forno proprio, le quali da sole servono il 70% degli acquirenti di pane di ogni tipo e oltre il 90% degli acquirenti di pane fresco artigianale. Con un’aggiunta: i forni autonomi contano più della media al nord, tra i 25-44enni, per il ceto medio autonomo e impiegatizio, ossia nella nuova Italia dei consumi (con totale smentita dell’identificazione tra dettaglio/artigianato tradizionale e vecchia Italia senile, povera, arcaica).
Viene da chiedersi: quali sono le ragioni di questo rinnovato ‘boom’ del pane fresco artigianale? L’indagine ne indica dieci:
1) Il pane fresco artigianale non è considerato un alimento vecchio e superato (lo pensa meno del 4%) e neppure un prodotto consumato prevalentemente dai poveri (una tesi propria solo di un ottavo del campione): al contrario, esso è ridiventato un alimento che corrisponde pienamente ai più moderni stili alimentari e di vita, pur provenendo da una straordinaria tradizione plurimillenaria.
2) In effetti, per la grande maggioranza dei nostri connazionali, il pane fresco artigianale non è più un alimento basico, da alimentazione povera e dei poveri, pur se resta per il 36% uno degli alimenti che costano meno e per il 39% un prodotto con un eccellente rapporto qualità/prezzo. No, esso è diventato un cibo contemporaneamente antico e innovativo: da un lato esso è considerato uno dei piloni portanti del made in Italy (il 69% ne parla come di “una delle migliori espressioni della tradizione alimentare italiana”), mentre un quasi identico 70% dice che “è espressione di tante tradizioni regionali o locali assai diverse”, consentendo a quasi tutti un pluralismo un tempo inaccessibile (quando, per secoli, ogni provincia poteva mangiare uno o al massimo due tipi di pani diversi); dall’altro lato, esso esprime valori avanzati (per il 70% è democratico, non discriminando tra età, sessi, condizioni sociali e culture) mentre per il 68% “è uno degli alimenti più sicuri, senza rischi di truffe o sofisticazioni”, per il 62% è adatto anche ai giovani ed è da essi amato, per il 60% “fa bene alla salute”.
3) Secondo la gran parte della popolazione, non solo il pane non fa male alla salute (lo ritiene meno del 5% del campione) e “non è di per sé ingrassante” (lo sostiene il 62%) ma “va bene anche nelle diete dimagranti purché naturalmente non se ne mangi troppo” (55%) ed entra benissimo nei moderni stili alimentari (75%): anzitutto perché si accompagna benissimo ad altri prodotti e apporta preziose sostanze nutritive (69%), col vantaggio ulteriore di essere un ‘taglia-fame’ (68%) e di dare sazietà non costringendo a riempirsi continuamente (secondo la gente solo il latte ha un effetto maggiore su questo terreno).
4) Le sue qualità intrinseche ne fanno un cibo non solo nutriente (69%) ma anche essenziale per la buona crescita dei bambini e dei ragazzi (64%), che d’altra parte pressoché mai lo rifiutano o lo mangiano con difficoltà (solo nell’1% dei casi).
5) Va da sé che tale salutarietà è legata sia all’immagine di prodotto semplice e genuino (70%), non manipolato, nettamente superiore ai pani industriali/surgelati/congelati (55%), sia al suo netto miglioramento recente, discendente dall’accresciuta attenzione alla qualità da parte dei fornai (30%).
6) Vincente su tutto è l’edonismo alimentare: il 75% ha un rapporto quasi erotico col pane fresco artigianale “quando è caldo, appena uscito dal forno, dotato com’è di un sapore e di un profumo straordinari”; ma anche quando non è appena sfornato resta, a detta del 69%, un prodotto alimentare eccezionale anzitutto per il suo buon profumo (69%) e subito dopo per il suo gusto/sapore (68%) oltre che per la sua consistenza (da molto morbida a croccante a seconda dei desideri: 66%).
7) D’altra parte una delle motivazioni principali del rinnovato ‘boom’ del pane artigianale è il suo successo: il 65% afferma che esso piace molto ai suoi familiari/conoscenti, il 62% - come abbiamo visto - parla dell’eccezionale goodwill giovanile per esso, un identico 62% sostiene di adorarlo (“mi piace moltissimo, specie in alcuni tipi o specialità”: soprammedia i 14-34enni, i residenti nel Triveneto, gli studenti, il ceto medio impiegatizio e autonomo, i salariati, coloro che convivono con 0-14enni), mentre quasi un italiano su due (il 49% e cioè 24.2 milioni di nostri connazionali) sostiene che non potrebbe farne a meno, non riuscirebbe a vivere senza pane: qui con leadership del solito Triveneto, dei 45-54enni, degli abbienti e dei laureati non meno che dei soggetti con reddito e consumi medio-bassi (a partire dai salariati), di coloro che hanno bambini o pre-adolescenti in famiglia e degli internauti.
8) Non si notano quasi differenze di genere sessuale nell’amore per il pane, un tempo prevalentemente maschile e ora sostanzialmente bisex.
9) La sua modernità non cancella i suoi antichi valori sia di consumo sia etico-sociali: il 67% lo ama ancora nel caffelatte la mattina, magari un po’ vecchio e il 55% ne coglie e ne esalta il profondo legame con la tradizione cristiana (con accentuazioni che riguardano sia i 55-64enni sia i giovani 14-24enni), con evidente riferimento al significato del pane nel Sacramento dell’Eucaristia, al miracolo del Cristo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, all’atto esemplificativo della carità cristiana consistente nella condivisione del pane con gli ‘ultimi’.
10) Non esiste alcun altro alimento e probabilmente alcun prodotto che sia giudicato contemporaneamente esempio di tradizionalità positiva (dal 77% degli adulti) e di modernità (89%), di trasversalità democratica (84%) e di prestigio sociale (71%).
Insomma, orgoglio nazionale, locale, religioso e laico si sommano in un mix inedito e potente di favore collettivo per questo alimento che viene da lontano e che - oggi moltiplicato quanto a forme, tipi, gusti, consistenze ... - torna ad affermarsi prepotentemente quale sintesi avanzata di vecchio e di nuovo, di radici e di genuinità salutistica, di ‘verità’ e di travolgente piacere orale, olfattivo, tattile, visivo, persino uditivo (se croccante), materiale e simbolico.

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