"Oggi non è più derogabile la scelta di pubblicare finalmente una storia completa del vino in Italia, come già da tempo è stato fatto dai francesi". L'idea è nata dal seminario “Origine ed evoluzione della cultura del vino in Toscana” per l'incontro internazionale "Mitos: il mito del vino in Toscana", nei giorni scorsi a Siena. L'hanno lanciata Allen Grieco, dell’Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, e Giuliana Biagioli, storica dell’Università di Pisa.
In attesa della grande opera, per il momento ci possiamo gustare l’ottimo libro curato da Zeffiro Ciuffoletti sulla “Storia del vino in Toscana: dagli Etruschi ai nostri giorni” (Edizioni Polistampa) presentato ufficialmente proprio al convegno di Siena. E partire dagli Etruschi per parlare della storia del vino toscano non è certo un’esagerazione se - come ha spiegato Attilio Scienza - dell’Università di Milano e uno dei maggiori esperti viticoli italiani – “la documentazione storico-letteraria e paleo-botanica consente di affermare che le antiche popolazione della Toscana attuale (soprattutto gli etruschi) avevano domesticato le viti selvatiche dando luogo ad una sorta di viticoltura domesticoide o antropofila. Al punto tale che oggi sembra ormai certo che la domesticazione della vite in Italia sia nata proprio in Toscana.” “L’altra matrice dell’origine della vite in Toscana – ha proseguito Scienza - è attraverso il commercio miceneo e quindi per irradiazione dalla Magna Grecia del vino greco e l’introduzione anche di vitigni e di tecniche di allevamento della vite e di tecnologie di di vinificazione”. “Ma l’esistenza di suppellettili precedenti all’arrivo dei riti cerimoniali greci ritrovati spesso assieme a forme vascolari orientali – ha continuato Scienza – dimostra l’integrazione dei modelli indigeni con quelli greci”.
Insomma, che la vite e il vino in Toscana abbiano radici molto profonde oggi è un fatto assodato e consente già di capire un po’ meglio di come mai oggi quando si parla di vino toscano significa riferirsi ad uno dei più importanti fenomeni di produzione agricola non solo italiana.
Ma cosa è successo tra i vini prodotti dalle viti domesticate dagli Etruschi e i Supertuscans di oggi? A questa domanda ha risposto in modo eccellente il convegno di Siena a partire da Giuliano Pinto, storico dell’Università di Siena, che si è soffermato sui vini toscani tra Medioevo e Rinascimento. Pinto ha subito “sconvolto” i numerosi presenti al convegno evidenziando che nel Medioevo i vini preferiti dalle genti toscane erano i bianchi, sia di produzione locale che quelli importati dal Mezzogiorno o da altre parti del Mediterraneo. “Per quanto riguarda le quantità consumate – ha detto Pinto – le indagini confermano consumi altissimi, soprattutto nelle città maggiori rispetto alle campagne dove, per altro, era assai diffuso il consumo di “acquarello” (vino annacquato)”. Per quanto concerne il luogo, invece “il vino in questo periodo veniva consumato, oltre che durante i pasti, anche nelle osterie e taverne anche durante l’orario di lavoro. L’interesse per queste mescite al minuto (numerosissime a Firenze), che davano un gettito fiscale altissimo, favorì lo sviluppo di questa forma di consumo”. Si trattava, comunque, di vini ben diversi da quelli che oggi conosciamo e consumiamo. Vini che, probabilmente, oggi non riusciremmo nemmeno ad avvicinare al naso tanto erano speziati e arricchiti di varie sostanze e aromi.
Per arrivare al vino di oggi, quindi, si è dovuto attendere circa la metà dell’800 grazie, soprattutto, ad un nome storico della vitivinicoltura toscana, Bettino Ricasoli.
“Bettino Ricasoli – ha spiegato Giuliana Biagioli, storica autrice del libro “Il modello del proprietario imprenditore nella Toscana dell’Ottocento: Bettino Ricasoli, il patrimonio, le fattorie” (Casa Editrice Leo Olschki) – è stato il primo a capire che per sfruttare al massimo le potenzialità del vino prodotto nel Chianti occorreva un grande sforzo di rinnovamento”. Ed è con questa consapevolezza che Ricasoli, nel 1851, parte per la Francia, la nazione già a quel tempo considerata all’avanguardia in Europa per la vitivinicoltura e il commercio dei vini. “Le pagine del diario redatto da Ricasoli – ha proseguito la Biagioli – dedicate agli agli aspetti tecnici, testimoniano la straordinaria capacità di apprendere velocemente e classificare quanto vedeva ai propri fini”. “Dall’autunno del 1851- ha concluso la Biagioli – il barone cominciò un nuvo ciclo di esperienze di vinificazione nella cantina di Brolio, che continuarono fino al 1876 e sono annotate annualmente in quaderni intitolati semplicemente Storia. Da un anno all’altro, essi scandiscono il progresso di Ricasoli sulla via della creazione di un vino nuovo di qualità”. Chissà se il barone Ricasoli era conscio che stava creando il vino moderno, un Supertuscans?
Fabio Piccoli
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