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Gli Usa su cui investire ancora, la Spagna primo competitor dell’Italia, il lavoro da fare per colmare il gap di valore con la Francia: a tu per tu con “il Magnifico” del vino italiano, Piero Antinori, che ha portato i Masters of Wine in Italia

Italia
Il Marchese Piero Antinori con il Premier Renzi, in una immagine di repertorio

Il mercato degli Usa come quello su cui investire ancora per il vino italiano di qualità, senza sottovalutare, però, le potenzialità dei mercati asiatici, Cina e non solo; il grande lavoro che i produttori del Belpaese devono ancora fare, più uniti possibile, per raccontare al mondo la grande qualità dei vini italiani, che se sono primi in quantità in molti mercati, ancora spuntano quotazioni medie che sono un terzo di quelle dei francesi; la Spagna come vero competitor dell’immediato futuro per l’Italia enoica: ecco alcuni dei messaggi che Piero Antinori, personaggio “numero uno” del vino d’Italia, alla guida della storica griffe toscana (www.antinori.it), con 26 generazioni alle spalle, racconta, in un’intervista a WineNews, al via del Simposio dei Masters of Wine (15-18 maggio, Firenze, www.mastersofwine.org), per la prima volta in Italia, grazie anche all’azione dell’Istituto del vino italiano di qualità Grandi Marchi (www.istitutograndimarchi.it), che mette insieme alcune delle cantine più importanti del Belpaese, presieduto dallo stesso Antinori
Marchese, dal 1961 (anno del suo debutto in azienda) al 2014, com’è cambiato il mondo del vino, visto dal suo osservatorio, sicuramente privilegiato?
“Io direi che è cambiato il mondo, c’è stata una rivoluzione, dopo secoli di viticoltura orientata più che altro alla quantità, siamo passati, quasi di improvviso, 40 anni fa, ad una situazione completamente nuova, in cui l’obiettivo principale dei produttori è stata la qualità. Si sono scoperti nuovi vitigni, nuove zone produttive. È cambiato tutto: posso dire che ho iniziato in un’era passata, e che oggi mi trovo a lavorare in uno scenario completamente diverso, sicuramente migliore.
Ci racconta qualche aneddoto della sua vita di imprenditore del vino?
“Ce ne sarebbero molti, in realtà. Ma mi viene in mente quando ero proprio agli inizi del mio lavoro, e la situazione per i vini italiani di qualità, nel mondo, era molto difficile. Qualità era sinonimo di Francia, l’Italia era quella dei vini da poco prezzo, soprattutto in Germania, dove si andava con bottiglioni con il tappo a corona, o al massimo con i grandi fiaschi di Chianti. Io misi gli occhi su un importatore tedesco, che, però, non ne voleva saperne di vini italiani perché trattava solo con i francesi, ed io non sapevo come fare a convincerlo. Ottenni un appuntamento ad Amburgo dove erano basati, e caso volle che il giorno prima mi trovassi a Londra, ed in una cena degustai un grande vino, un Bordeaux de la Mission Haut-Brion 1959, grandissima annata, di cui rimasi estasiato, tanto che me ne ricordo ancora. Per l’appunto, il giorno dopo questi importatori tedeschi mi misero un po’ alla prova facendomi degustare dei vini alla cieca, tra cui un nostro Chianti, che ovviamente riconobbi. Poi mi dettero un altro vino e io dissi: “mi sembra che sia un Bordeaux”. Loro mi chiesero quale Bordeaux, e io risposi che mi sembrava venire dalla zona del Graves, e loro, un po’ sorpesi, a quel punto mi domandarono di quale Chateau, si trattasse, e di quale annata. E io dissi “Mission Haut-Brion 1959”. Rimasero colpiti che io avessi questa grande cultura, che poi fu un colpo di fortuna perché avevo bevuto quel vino proprio il giorno prima, e così decisero di prendere i nostri vini in distribuzione. E fu l’inizio di un grandissimo lavoro portato avanti fino ad oggi. É una cosa che non dimenticherò.
Quali mercati, secondo lei, sono fondamentali per il vino italiano, e su quali puntare ?
“Io credo che gli Stati Uniti, che ormai da anni sono un mercato importantissimo, continua ad esserlo e ha ancora grandi potenzialità per il vino italiano, e per il vino di qualità in generale. È un mercato da guardare sempre con attenzione e su cui investire anche per il futuro. Poi chiaramente ci sono anche dei mercati emergenti che vanno tenuti in grande considerazione, come tutti quelli dell’area l’Asia- Pacifico, a cominciare dalla Cina, ma non solo, anche Corea, Thailandia, Malesia, Filippine, Giappone, tutti mercati che probabilmente, un giorno, non so quando, saranno tra i mercati più importanti del mondo”.
Prezzi dei vini italiani e prezzi dei vini francesi nel mondo: c’è davvero ancora tanto da fare?
“È ancora la strada che occorre percorre per raggiungere i nostri obiettivi e le nostre ambizioni. Perché anche se l’Italia è riuscita a diventare il primo esportatore in quantità in mercati molto importanti come il Nord America, ma anche europei come Germania, Svizzera, Austria, ma anche Russia, ancora come prezzo medio, il nostro prodotto, è ad un terzo dei francesi. C’è ancora da lavorare tanto per la valorizzazione dei nostri prodotti, per l’affermazione della qualità e della varietà dei nostri vini, della bellezza e dell’interesse dei nostri vitigni, che dobbiamo promuovere e raccontare meglio. È un lavoro in cui noi produttori siamo impegnati”.
Escludendo la Francia, quali sono i competitor sui mercati del mondo per i vini italiani? “Ormai sono molti i Paesi produttori che sono diventati, chi più chi meno, concorrenti, si è iniziato a produrre vino anche dove 30-40 anni fa non si pensava fosse possibile. Detto questo, quello che secondo me, nel prossimo futuro, sarà il concorrente più temibile per l’Italia, è la Spagna. Ha un potenziale straordinario, sia in quantità che in qualità, ancora in gran parte inespresso”.
Ocm, ovvero finanziamenti al 50% per aziende e istituzioni del vino, tra cui l’Istituto del Vino italiano di Qualità “Grandi Marchi”, fondamentali per rafforzare il made in Italy nel mondo? Cosa cambiare per andare incontro alle esigenze delle imprese?
“Io penso che l’Ocm sia un’occasione assolutamente da sfruttare, è un grosso incoraggiamento a fare investimenti, chiaramente con le aziende che devono fare la loro parte. Ma avere un finanziamento che si avvicina al 50% della spesa è un grosso vantaggio e sprona ad investire in comunicazione e promozione. Qualche volta ci sono regole troppo rigide, si dovrebbe venire un po’ più incontro alle esigenze delle aziende. Anche perchè, dovendo investire anche soldi propri, non spendono su cose che ritengono inutili. Avere una maggiore flessibilità nella determinazione delle voci finanziabili dall’Ocm sarebbe un grande vantaggio”.
Il vino italiano è anche tanta individualità: si può davvero fare sistema, come dimostra l’esperienza di 10 anni in “Grandi Marchi”, associazione che riunisce alcune delle migliori ed importanti aziende d’Italia?
“L’individualità è una caratteristica italiana che ci ha sempre contraddistinto. Ma, soprattutto nei mercati emergenti, dove singolarmente è difficile fare azioni efficaci, l’unica via è quella di mettere insieme le forza, aggregarsi, fare sistema, come si dice, per affermare il vino italiano di qualità. Specie in quei mercati dove ancora un po’ si stenta a decollare, come la Cina, in cui a differenza che in tanti altri luoghi siamo ancora in basso nelle graduatoria dei Paesi che esportano. C’è tanto da fare, è un Paese talmente grande, talmente complesso, che azioni singole di produttori sarebbero gocce in un mare, con poco effetto. L’unico modo per affermare l’immagine del vino italiano, raccontare quello che siamo e che facciamo, il nostro valore, è agire insieme”.
Oggi, a Firenze, inizia il Simposio dei Masters of Wine, un istituto che ha tra i suoi membri top influencer ed opinion leader anche nel commercio mondiale del vino: cosa vuol dire averlo portato in Italia?
“Lo considero un grandissimo successo. I Masters of Wine sono veri e propri opinion leader, oltre ad occupare posizioni chiave nel settore del vino, negli acquisti e nella critica. Ed averli portati in Italia, a Firenze, è stato un grosso successo di cui anche come Istituto del vino italiano di qualità Grandi Marchi siamo orgogliosi, perché crediamo che la nostra azione sia stata fondamentale per convincerli a sceglierci sull’altro candidato, che era Hong Kong”.

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