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LE “ROI” DEL VINO ITALIANO

Grandi aziende e artigiani, le quotazioni stellari nelle Langhe, la politica: a WineNews Angelo Gaja

“Il vino è ambasciatore di sogni, di progetti, di passione e di idee. La mia è una famiglia di artigiani del vino a Barbaresco, Montalcino e Bolgheri”
BOLGHERI, GAJA, LANGHE, POLITICA, Italia
Angelo Gaja nella cantina di Ca Marcanda a Bolgheri, con i figli Gaia, Rossana e Giovanni

La complementarietà delle grandi aziende del vino e dei tanti piccoli artigiani, un settore italiano in salute ma che deve guardarsi dalla concorrenza, anche del Nuovo Mondo, le quotazioni dei vigneti di Langa alle stelle da leggere come un segnale positivo, un basso voto alla politica “applicata” ad agricoltura e vino: c’è tutto questo nei pensieri e nelle parole di Angelo Gaja, uno dei produttori italiani più ammirati nel mondo, con i suoi vini della cantina di Barbaresco, ma anche grazie alle bottiglie prodotte in due cantine in altri grandi territorio del vino italiano, come Cà Marcanda, a Bolgheri, e Pieve Santa Restituta, a Montalcino, non prima però di aver ricordato che “il vino è ambasciatore di sogni, di progetti, di passione e di idee, e che la mia è una famiglia di artigiani del vino a Barbaresco, Montalcino e Bolgheri, con coerenza artigiani”, e il suo orgoglio di padre “per tre figli (Gaia, Rossana e Giovanni, ndr) che lavorano in azienda, e che hanno il futuro di fronte”.

Che, a WineNews, riflettendo sulla “dicotomia” sempre più accentuata nel mondo del vino italiano, che vede le grandi cantine crescere, mettendo insieme qualità e quantità, con qualche perla nella loro offerta, e i piccoli veri artigiani emergere grazie alla particolarità e alla qualità dei loro vini, ha detto: “le grandi aziende sono importanti, perchè aprono i mercati e sono in grado di avere una presenza significativa nell’export, che è indispensabile. Se penso al ruolo degli artigiani, dico che su 30.000 cantine che abbiamo in Italia, più di 20.000 sono medio piccole, con fatturati che spesso non superano il milione di euro, e che non danno lavoro a più di 4-5 dipendenti. L’importanza di queste aziende è trascurata, e per di più sono caricate e “bastonate” dalla burocrazia. Dobbiamo liberarle da questo peso, perchè hanno una funzione complementare alle grandi aziende, che è molto importante. Se si pensa di voler far crescere il vino italiano, diventa importantissimo aiutare a decollare le Pmi, che sono capaci di accogliere sul territorio, e sono in grado di pensare in maniera diversa, ed il mercato del vino ne ha bisogno. Pensiamo al passato, quando Ferruccio Biondi Santi pensava di poter fare un grande Chianti con il Sangiovese, quando tutti dicevano che era impossibile, o Mario Incisa della Rocchetta che fece lo stesso con il Cabernet Sauvignon a Bolgheri (dando vita al Sassicaia, ndr), o a quanto fatto da Valentini in Abruzzo. Oggi ce ne sono molti di soggetti piccoli che danno degli esempi da seguire, di cui c’è bisogno per l’agricoltura e per il vino”.

Nel complesso, però, il vino italiano appare in salute, anche all’export, dove però, forse, il successo del Prosecco “maschera” qualche difficoltà maggiore in alcuni territori. “Il settore non sta male - dice Gaja - ma dobbiamo attenderci la competizione, che arriva specialmente dai Paesi del “Nuovo Mondo”, sempre più anche esportatori di vino, che sanno fare marketing. Non sono pessimista per il futuro, ma dobbiamo rimboccarci sempre le maniche e lavorare sodo per mantenere le nostre posizioni. Poi, dobbiamo capire che è una nuova epoca. In Italia il 55% del vino è controllato dalle cantine sociali, nate in passato perchè dovevano fornire un vino che era considerato bevanda alimentare, e proteggere della aree viticole, non lasciando che i produttori d’uva cadessero nelle mani dei commercianti. Questa funzione l’hanno svolta, e molto bene, ma oggi si deve capire che il vino non è più bevanda alimentare, ma bevanda di lusso, e quindi si deve fare un marketing diverso dal passato, aggredire i mercati esteri nel modo adeguato, e ne abbiamo tutte le possibilità. Avere oltre 30.000 cantine che operano nel settore, anche con progetti e visioni diverse, è una fortuna, una ricchezza, e un patrimonio che dobbiamo mettere a frutto, e su questo dobbiamo lavorare”.

Da “langarolo doc”, Gaja dice la sua anche sulle quotazioni stellari raggiunte dai vigneti per Barbaresco e, soprattutto, di Barolo, con ettari, nei migliori cru, che valgono oltre 1,5 milioni di euro, e con il caso clamoroso dell’ultimo mezzo ettaro di Cerequio, passato di mano per 2 milioni di euro

“A me stupisce il fatto che nelle Langhe questi investitori siano arrivati solo adesso. È una terra magica, ricca di cultura, tradizione, storia, percepita dal mercato come territorio di vini unici e di alta qualità. Non capisco perchè a Montalcino questi investitori sono arrivati già 30 anni fa e da noi solo adesso, ma non dobbiamo spaventarci. Anzi, sono ancora pochi al momento. È vero che non è facile acquisire proprietà in Langa, anche perchè chi possiede i vigneti ha un’affezione particolare. Non sono solo ex mezzadri che non hanno più figli che si prendano cura dell’azienda: molte realtà sono in mano a persone che ci hanno messo il cuore, e che vedono nella terra ha un valore che ti può aiutare in qualsiasi momento, anche se arrivassero delle grosse crisi, e sono remittenti a vendere. Ma credo che tutto questo significhi semplicemente che sta aumentando la considerazione dei vini italiani e dei vini delle Langhe, e questo si riflette anche nelle quotazioni dei terreni”.

Qualcuno, però, obietta che si stia passando da una logica di investimento legata ad un’economia reale, ad una logica di tipo più finanziario. “Può essere, ma in fin dei conti quotazioni così si sono già raggiunte in Borgogna, a Bordeaux, a Montalcino, e anche in Napa Valley. Ci sono diverse aree in cui i valori fondiari dei vigneti sono saliti molto, non è una sorpresa e non dobbiamo essere preoccupati. Le Langhe poi hanno una grande ricchezza, che sta nel fatto che, al di là di Barolo e Barbaresco, ad un’altezza tra 500 ed 800 metri c’è una vastità di terre idonee alla viticoltura, che noi chiamiamo “terre bianche”, che si prestano a produrre vini di grande qualità, bianchi, rossi e bollicine, ed è una zona vastissima. Dobbiamo essere in grado di valorizzare questa ricchezza”.

Immancabile, in chiusura, un pensiero, un voto sulla politica del vino, anche alla luce di tante situazioni sospese, dall’Ocm di oggi, pensando anche ai pasticci del recente passato, o ad un Testo Unico del Vino che ancora, dopo oltre un anno dalla sua approvazione, aspetta ancora molti ed importanti decreti attuativi.

“Il voto alla politica - dice Gaja - è basso. Inoltre, l’assistenzialismo di cui l’agricoltura e il vino hanno sempre goduto, in Italia, non ha aiutato la crescita, e molte volte ha permesso ad imprenditori incapaci di stare sul mercato. Secondo me saremmo potuti crescere di più, agendo in modo diverso- Una cosa è l’assistenza, offerta di tanto in tanto. Ma l’assistenzialismo garantito con continuità, non fa bene all’agricoltura e al vino”. Parola di Angelo Gaja.

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