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L’EVENTO DEL CONSORZIO

“Great Now, Great later”: buono subito e buono dopo diversi anni, il punto di forza del Soave

Esperti a confronto sul futuro del vino - bianco e non solo - ad “Appuntamento Soave” a Verona, tra equilibri geopolitici, clima e nuovi consumi

“Great Now, Great later”: buono subito e buono dopo un affinamento di diversi anni. Questo è il punto di forza del Soave, il vino della denominazione bianchista più grande del Veneto. Quasi uno slogan lanciato da “Appuntamento Soave” n. 2, promosso dal Consorzio del Soave, nei giorni scorsi, al Circolo Ufficiali di Verona, in collaborazione con la Strada del Vino Soave, con un seminario, una masterclass, un talk show, un banco d’assaggio con 40 produttori ed un pubblico selezionato e competente che ha potuto apprezzare il Soave d’annata e quello più evoluto.
L’assunto “Great Now, Great later” è stato dimostrato nei calici nella masterclass condotta da Jeff Porter, firma per l’Italia di “Wine Enthusiast”, che ha proposto etichette di annate giovani e annate lontane anche più di 10 anni di alcune delle aziende più rinomate per qualità. Molto aderente alla realtà potrebbe essere il “Great Now, Great later” quale indicazione per individuare due anime dei vini Soave, quella dei vini giovani, vibranti da godere subito, e quella dei vini in grado di evolversi, da aspettare negli anni. Un’ipotesi che ha trovato riscontro nella proiezione in avanti che Cristian Ridolfi, presidente Consorzio del Soave, ha condiviso con WineNews, dal talk show “Soave: autentico, autoctono, contemporaneo”, che, condotto dal vice direttore del “Corriere della Sera”, Luciano Ferraro, ha coinvolto esponenti anche di altri settori quali portatori di esperienze e riflessioni utili al mondo del vino. “La nostra comunicazione deve essere più chiara e netta - ha sottolineato Ridolfi - parlando di due stili di Soave, uno di annata con espressioni floreali e l’altro di gran carattere e capace di affinare nel tempo, riconoscibile nelle tipologie “Classico” (Doc, ndr), “Superiore” e “Superiore Riserva” (Docg, ndr), oltre che nei vini prodotti nelle Unità Geografiche Aggiuntive (Uga). Questi sono Soave solitamente prodotti in collina, su terreni meno fertili, da uve vendemmiate a piena maturazione che danno vini capaci di evolvere positivamente, molto gastronomici e di facile abbinamento con piatti di tante cucine internazionali”. Una chiarezza nella comunicazione dei due “stili” che allargherà le opportunità del Soave sui mercati, andando oltre il favore di cui godono attualmente i bianchi, come ha sottolineato Porter, dal suo osservatorio centrato sugli Usa su cui la sfida è il posizionamento. “È un momento perfetto per il Soave - ha osservato - per la sua duplice possibilità di consumo e anche per il suo ottimo rapporto qualità/prezzo che lo rende concorrenziale negli Stati Uniti rispetto non solo ai vini francesi e di altri Paesi, ma anche ai bianchi di altre regioni italiane, che costano di più. La capacità evolutiva lo rende ideale per chi cerca vini emozionanti e per chi ama conservare e bere il vino dopo lunghi affinamenti in bottiglia e magari non può permettersi bianchi molto blasonati e costosi. Ma bisogna farlo sapere, anche parlando non solo di “palato”, ma di tutta la cultura che sta dietro la bottiglia”. Confrontando i dati dell’esercizio 2024 a fine agosto con gli attuali, gli imbottigliamenti di Soave - quindi la vendita al dettaglio - mostra un aumento in percentuale sulla doppia cifra. “Tuttavia – ha commentato Ridolfi - bisogna sempre confrontarsi con i valori, con il posizionamento rispetto al competitor. Detto questo la materia è molto più complessa di un solo numero o di un andamento positivo e va sempre riferita al contesto con il quale ci si vuole confrontare. Il vino è un prodotto voluttuario, risente di cicli economici a cui oggi si aggiungono altri fattori che determinano incertezza su alcuni mercati. È fondamentale però ricordare che tutto si basa sulla legge della domanda e dell’offerta da cui non si può prescindere. I consumi di alcol nel mondo non stanno calando, gli spirit crescono e questo vuol dire che i consumatori sono meno attenti al vino o a certe categorie di vini. Quindi dobbiamo cercare di porci in maniera diversa nei confronti dei consumatori, ma non pensare che non vogliano più bere vino o meno alcol”.
Di nuovi paradigmi di consumo, nel talk show, ha parlato Michele Cannone, Lavazza global brand director away from home, evidenziando come le esperienze guidino l’evoluzione di una categoria. Un parallelo quello con il caffè che ha affinità con il vino - per le numerosissime varietà e i diversi modi di trasformarlo e servirlo - ma in decisa controtendenza, visto che i consumi di caffè nel mondo crescono così tanto che la domanda è di gran lunga superiore all’offerta e quindi i prezzi aumentano, tra l’altro giustamente anche per migliorare i salari di coloro che lo raccolgono.
“Nel mondo del caffè i modelli di consumo sono molto cambiati - ha raccontato Cannone - in 50 anni il caffè, spinto da codifiche nate negli Stati Uniti, da Starbucks negli Anni Novanta ai coffe shop degli anni 2000, ha trasformato luoghi, rituali e linguaggi, mettendo al centro l’esperienza più che il prodotto in sé, la cui qualità può passare addirittura in secondo piano. Vince il combinato disposto “prodotto, ambiente e servizi”. La sfida per il vino non può ridursi solo “quanto alcol” contiene (9, 10 o 12 gradi): abbassare il tenore alcolico ha senso solo se cambia il paradigma di consumo, creando contesti accessibili, frequenti e desiderabili, come hanno fatto birre e catene della ristorazione, dove il brand-prodotto diventa un “ingrediente” di un’esperienza più ampia. Il mondo del vino, talvolta, è un po’ autoreferenziale. Accanto a questo, l’innalzamento dei prezzi in sala, la perdita del bar come luogo di socialità, la pressione regolatoria e il salutismo contribuiscono ad accentuare il problema: chi non frequenta ristoranti stellati, o comunque di fascia alta, oggi fatica a trovare occasioni di consumo e competenze di servizio adeguate. Servono quindi - ha concluso Cannone - contenitori nuovi, formati più “morbidi” e leggibili, possibili linee low/no alcol ben progettate, e una comunicazione collettiva meno elitaria. In altre parole, ripensare i modelli di fruizione (fuori casa e poi a casa), contaminarsi con altri mondi e riportare il vino al centro di esperienze contemporanee, non solo di etichette e disciplinari”.
D’altra parte l’agricoltura in generale ha ritmi e regole differenti dell’industria, come ha verificato il Gruppo Adler - leader internazionale nella progettazione, nello sviluppo e nella produzione di componenti e sistemi per l’industria del trasporto - che ha investito nel vino e nell’allevamento per accorciare la filiera di fornitura nella propria ristorazione oggetto di precedenti investimenti. “Nell’accostarci all’agricoltura - ha raccontato Achille Scudieri, vicepresidente del Gruppo - abbiamo dovuto “settarci” comprendendo le differenze rispetto alla produzione industriale. D’altra parte il progetto Abraxas a Pantelleria attraverso le Tenute Scudieri non è stato solo un investimento economico, ma anche culturale e valoriale, ispirato dal nostro legame profondo con la terra e con il Sud: non dimentichiamo da dove veniamo: nonostante l’internazionalizzazione e la crescita del nostro Gruppo, abbiamo sempre sentito il bisogno di restare legati ai territori d’origine, al vesuviano, alla terra, alla natura. In un contesto globale complesso, segnato da concorrenza, instabilità geopolitica e cambiamenti climatici, il vino è una sfida affascinante per chi desidera investire in bellezza, cultura e umanità. E le grandi aziende possono apportare know-how, visione industriale, capacità logistiche e commerciali per valorizzare territori che rischiano lo spopolamento o la marginalità”.
Nell’attuale scenario in forte cambiamento e in costante evoluzione - tra sostenibilità, cambiamento climatico e nuovi dei trend di consumo, specie tra i giovani - oltre ai produttori e alle istituzioni anche le fiere sono chiamate a dare risposte adeguate. Risposte illustrate da Barbara Ferro, ad Veronafiere. “Il ruolo di una fiera è anche quello di interpretare i trend e accompagnare i settori di riferimento nei periodi di cambiamento dei mercati, come quello che il vino sta vivendo non solo in tema tariffario - ha confermato Ferro - Vinitaly a Verona offre una pluralità di proposte che rappresentano tutte le nuove tendenze, dalla mixology ai No-Lo, ma anche formazione e lettura dei dati economici che orientano l’attività promozionale lungo tutto l’anno. Attività rivolta ai principali mercati, tradizionali come gli Usa e potenzialmente nuovi come l’Asia, l’Eurasia e il Sud America, con una modalità che sempre di più cerca di incontrare e integrare i costumi e le abitudini dei Paesi a cui si rivolge. Con “Vinitaly and the City”, inoltre, promuoviamo la cultura del vino e del bere consapevole, contribuendo ad attivare modalità nuove di approccio verso il pubblico dei giovani con un linguaggio che faccia della contemporaneità, versatilità e freschezza gli elementi distintivi per una domanda che cambia e che non si riconosce più nei modelli delle generazioni precedenti, anche a tavola e nelle bevande che accompagnano le scelte gastronomiche. Inoltre, oggi il settore affronta anche le sfide poste dal cambiamento climatico e dall’Intelligenza Artificiale che impongono investimenti in termini di sviluppo di competenze e tecnologia. Il momento storico richiede che le imprese in questo vengano supportate, soprattutto laddove l’elemento dimensionale può diventare un ostacolo”.
A chiusura del talk, Monsignor Bruno Fasani, presidente della Fondazione Biblioteca Capitolare di Verona e direttore di Telepace (e che WineNews ha intervistato), è stato chiamato a dare una riflessione di taglio culturale, proprio perché il vino è l’unica bevanda ad avere un contenuto spirituale e religioso fin dall’antichità. “È sempre difficile trasferire una lettura teologico-biblica al versante economico commerciale, perché c’è il rischio di finire dentro letture moralistiche - ha premesso Fasani - eppure, mi affascina sempre pensare a quanto Dio ci mette sulle labbra, per aiutarci a pensare. Se prendiamo ad esempio il Salmo 79, siamo davanti al sogno di Dio, e questo sogno ci racconta che Lui immagina l’umanità come una vigna e quando avrà la percezione che questa vigna non sia più in grado di produrre, sarà Lui stesso, attraverso il suo inviato, Gesù, a proporsi come la Vigna. “Io sono la vite, voi i tralci”. È chiaro che la vigna diventa la metafora di una società che vive nella gioia. E qui pensavo all’idea di gioia nei giovani, sempre più ripiegati nella ricerca di una gioia, ottenuta annullando l’idea del limite, diventato oggi solo una questione convenzionale e non più a servizio di un valore. Ma la vigna è anche cura sociale. La vite è una creatura esigente, che ha bisogno di continuo supporto. Dovremmo ripensare al senso profondo della dicitura “Cantine Sociali”: perché tutti vi portano l’uva o perché sono un bene del territorio? E come lo sono? È importante interrogarsi su come far fruttare un comprensorio produttivo e non solo le cantine, anche se in questo senso Soave parte già con le marce più lunghe. E poi, sempre in questa metafora, c’è il cinghiale che devasta la vigna. Ma sarebbe riduttivo confinare il problema nello spazio dei dazi: oggi c’è urgenza di tornare a ripristinare il tessuto sociale”.

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