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HUGH JOHNSON: QUESTI I PRIMI 10 TERROIR DEL VINO D'ITALIA E I 28 PRODUTTORI "STELLATI" ... LA SUA GUIDA “CULT” NEL MONDO SARA’ PRESENTATA IN ITALIA AL SALONE DEL VINO DI TORINO (22/25 NOVEMBRE)

Italia
I terroir d'Italia celerati da Hugh Johnson

Amarone, Barbaresco, Barolo, Bolgheri, Brunello di Montalcino, Chianti Classico, Colli Orientali del Friuli, Collio, Franciacorta, Sagrantino di Montefalco: ecco, secondo Hugh Johnson, wine writer più famoso del mondo, i primi dieci terroir del vino d’Italia, tutti insigniti con le “quattro stelle”, ovvero il massimo del punteggio. Con oltre 5 milioni di copie vendute in tutto il pianeta, la guida di Hugh Johnson è diventata un punto di riferimento per tutti gli amanti del vino colti e cosmopoliti, che la considerano una sorta di “bussola” tascabile, indispensabile per scegliere le migliori bottiglie dei più celebrati terroir mondiali.

Ma l’edizione 2003 della guida di Johnson (che sarà presentata ufficialmente in Italia al Salone del Vino di Torino (dal 22 al 25 novembre), celebra anche 28 grandi griffes italiane. Ecco i loro nomi: Castello di Ama, Antinori, Bertelli, Borgo del Tiglio, Ca’ del Bosco, Caprai, Case Basse, Cavalleri, Aldo Conterno, Giacomo Conterno, Romano Dal Forno, Fattoria di Felsina, Gaja, Galardi, Bruno Giacosa, Isole e Olena, Ornellaia, Poliziano, Prunotto, Querciabella, Quintarelli, Rivetti (La Spinetta), San Giusto a Tentennano, Schiopetto, Castello del Terriccio, Edoardo Valentini, Vie di Romans, Roberto Voerzio. Sono queste, decreta Hugh Johnson, le migliori aziende vitivinicole del Paese.

Un premio significativo tocca anche a dieci vini di casa nostra: il Vin Santo Occhio di Pernice di Avignonesi, l’Annamaria Clementi di Ca’ del Bosco, le vecchie annate del Marsala Vecchio Samperi, il Patriglione di Cosimo Taurino, il Percarlo di San Giusto a Rentennano, il Solaia di Piero Antinori (definito “un grande vino per qualsiasi metro di giudizio”), il Terre Brune di Santadi (“vino esemplare, che esprime le potenzialità della Sardegna”) e il Tignanello sempre di Piero Antinori (“pioniere e ancora oggi leader dei nuovi rossi toscani”).

Hugh Johnson consiglia anche una speciale selezione di vini italiani per il 2003, una sorta di “borsa della spesa” per intenditori esigenti: non possono dunque mancare nella cantina dei più accorti il Barbaresco Asili di Bruno Giacosa, il Barolo Bussia Vigna Cicala di Aldo Conterno, il Barbera d’Asti Superiore di Rivetti, il Collio Bianco Studio di Bianco di Borgo del Tiglio, il Refosco Colli Orientali del Friuli di Livio Felluga, il Rosso Conero Visions of J di Fattoria Le Terrazze, il Chianti Classico Riserva Badia a Passignano di Antinori, il Brunello di Montalcino Riserva della Tenuta Col d’Orcia, il Vigna Camarato di Villa Matilde e il Villa Fidelia Rosso di Sportoletti. Infine, ecco i produttori da tenere d’occhio, quelli che secondo Hugh Johnson si sono fatti notare nei primi anni del 2000 per gli ottimi risultati ottenuti in cantina: per il Piemonte, Gianfranco Alessandria e Bertelli; per il Friuli Venezia Giulia, Damijan; per la Toscana, Fossi e Montepeloso; per la Campania, Galardi; per la Basilicata, Le Cantine del Notaio.

La guida di Johnson, unica anche al mondo nel dichiarare gli interessi dell’autore (“nella Royal Tokaji Wine Company in Ungheria”, ma il critico ammette anche “è difficile essere imparziali nel caso di molti vigneti di amici”), definita da NewsWeek “forse l’unica guida dei vini di cui si sente davvero la necessità”, avverte che il suo obiettivo non è classificare il vino, ma invitare ad amarlo per quello che è, con la sua personalità peculiare ed irripetibile. Nell’edizione n. 26 dell’opera che l’ha reso famoso, Johnson fa alcune importanti riflessioni sullo scenario internazionale del vino. “Riguardo al nome da mettere in etichetta - afferma - oggi ascoltiamo due argomentazioni opposte. C’è chi dice che la gente è interessata solo alle grandi marche molto pubblicizzate, e chi sostiene che il mistero fa parte dell’essenza stessa del vino. La questione rimane aperta”. Poi Johnson mette in primo piano “il crescente tenore alcolico di molti vini, spesso eccessivo, soprattutto per quanto riguarda la California” e non esita a criticare duramente lo strapotere di certi critici (leggi Robert Parker) che con i loro gusti ed i loro giudizi influenzano gli enologi al punto che questi tendono a creare sempre più vini che possano piacere ai giornalisti americani: densi, dal sentore di rovere e con molto alcool. Johnson si chiede anche: “Ma le vecchie denominazioni sono tutte buone? A lanciare la sfida è il movimento della produzione biologica. Se ciò che rende unico il Meursault (o il Margaux, o il Montalcino) è la sua terra, meglio non sciuparla. Tutto si accumula nel terreno e altera il sottile equilibrio biochimico del luogo. Proprio il famoso terroir. E’ una questione importante, a cui gli agricoltori cominciano a rispondere”. Infine, la questione tappo di sughero: qui Johnson non nasconde il suo apprezzamento per metodi diversi e più moderni. “La poesia del sughero – si chiede – è sufficiente a giustificare la possibilità che il vino che bevete non sia più buono una volta su dieci?”. Ai suoi fedelissimi l’ardua sentenza.

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