Un prestigio mondiale che cresce, un mercato che tira e, di conseguenza, anche il valore degli ettari aumenta, toccando sempre nuovi record. È il trend che, negli ultimi anni, sta accomunando i più importanti territori del vino italiano. Dalle Langhe del Barolo, dove, da stime WineNews, un ettaro supera anche il milione di euro nei cru più importanti, ai vigneti del Brunello di Montalcino, dove gli ettari migliori sfiorano i 900.000 euro. Una dinamica che, in parte, seppur con quotazioni inferiori, interessa anche la Valpolicella (dove si arriva sui 600.000 euro per un ettaro nella Valpolicella Classica) e Bolgheri (sui 450.000). Ma è proprio il territorio di Montalcino, dove è di queste ore l’acquisizione di altri 2 ettari iscritti a Brunello (oltre ad altri terreni e proprietà) da parte della cantina leader Castello Banfi (che ora possiede 173,2 ettari a Brunello) ad essere un unicum, con una progressione incredibile dei valori.
Perchè se dal 1966, anno del riconoscimento della Doc, ad oggi, l’incremento del valore è stato del 4.500%, un record pazzesco, che porta i vigneti di Montalcino a “sedere” sull’Olimpo di quelli più pregiati al mondo ed in cima a quelli italiani, insieme al Barolo, in poco più di due anni i valori sono più che raddoppiati: nel 2016 un ettaro di vigneto a Brunello oscillava sui 350.000 euro, nel 2017 è passato a 500.000 euro e adesso è salito a 650-700.000 euro, con quotazioni che vanno anche oltre, come detto, con picchi che a volte sfiorano i 900.000 euro.
Un affare, quello della Castello Banfi, che, nonostante valori stellari dei terreni, conferma l’appeal e la vivacità del territorio, con un 2018 che, solo negli ultimi mesi, ha visto anche il perfezionamento di nuove acquisizioni di appezzamenti di vigne da parte del Gruppo ColleMassari di Claudio Tipa, ormai una delle realtà più importanti del territorio (nel quale assomma ormai oltre 200 ettari di terreno, di cui oltre 41 a vigneto, per una buona metà a Brunello di Montalcino, tra le celebri realtà di Poggio di Sotto, La Bellarina, La Velona e la Tenuta San Giorgio, in diverse microzone di Montalcino), e dove anche Francesco Illy, alla guida della celebre cantina Podere Le Ripi, ha acquisito Marchesato degli Aleramici, nella microzona di Pian delle Vigne, proprietà di 47 ettari di terreno complessivi, intorno al Podere Galampio, di cui 15 vitati (con 9 a Brunello di Montalcino).
E, protagonista di una delle acquisizioni più importanti degli ultimi tempi, e ormai una delle cantine di riferimento qualitativo del Brunello di Montalcino, c’è Casanova di Neri, che, in pochi anni, ha messo in fila una serie impressionante di riconoscimenti: è stata al n. 1 nella top 100 di “Wine Spectator” nel 2006, con il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2001 (e al n. 4 nell’edizione 2017 della classifica, con il Brunello di Montalcino 2012), ha ricevuto i 100/100 di “The Wine Advocate” con il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2010, nel 2015 (insieme al Brunello di Montalcino Madonna delle Grazie 2010 de Il Marroneto, mentre è del 2018 la “tripletta” di 100/100 assegnati da “Wine Enthusiast” al Brunello di Montalcino Riserva 2012 Vigna di Pianrosso Santa Caterina d’Oro Ciacci Piccolomini d’Aragona, al Brunello di Montalcino Riserva 2012 Conti Costanti ed al Brunello di Montalcino 2013 Le Chiuse) e, a fine 2018, è stata al centro delle degustazioni tematiche della New York Wine Experience di “Wine Spectator”, uno degli eventi del vino più importanti in Usa, insieme al nome che rappresenta la storia del territorio, la Tenuta Greppo di Biondi Santi, ed al mito Sassicaia, solo per citarne alcuni tra i più importanti.
Una realtà capace, negli anni, di coniugare costanza qualitativa e dimensioni produttive, e che conta oggi su 42 ettari vitati a Brunello, in alcune delle zone più prestigiose e vocate del territorio, come Cerretalto e Tenuta Nuova, anche grazie all’acquisizione, ad inizio 2017, di 7 ettari, divisi tra Sesta, Fiesole, il vigneto che circonda la cantina, Poderuccio, tra le querce di fronte alla cantina, Podernuovo, il più alto dell’azienda, Le Cetine, su una collina a schiena d’asino immersa nella macchia mediterranea, Pietradonice, vigna piantata su una antica cava di onice, Cerretalto, una vecchia vigna in un anfiteatro naturale sul torrente Asso, e Spereta. E proprio al produttore, Giacomo Neri, abbiamo chiesto una visione di questo fenomeno, pensando soprattutto alla crescita dei valori fondiari.
“Montalcino è un territorio unico, bellissimo - spiega Giacomo Neri a WineNews - dove ci sono vigneti che danno vini unici dal Sangiovese. Certo ci sono delle differenze, ci sono vigneti bellissimi, che danno origine a vini grandissimi, a Sangiovese unici, di grandissima qualità, e non hanno prezzo, ed è difficile stabilirne un valore, per me. Poi ci sono ottimi vigneti che danno vini buoni, e che quindi hanno prezzi di mercato. Ma io ora sono davanti alla mia cantina, e guardo Montalcino: è un quadro, sembra il Buongoverno di Lorenzetti, è un insieme che fa si che i valori fondiari aumentino”. E se andando su certi valori si può pensare anche a quotazioni che vanno oltre gli investimenti di impresa, quasi con dinamiche speculative, secondo Neri, non è così. “Se si guarda alle più grandi zone del mondo, la Borgogna, Bordeaux, Champagne o Barolo, noi siamo sempre il territorio più a “buon mercato” - sottolinea il produttore - e, quindi, è naturale che i grandi gruppi guardino qui. Noi dobbiamo continuare a parlare di vigne, di terroir e di vino, e rimanere con i piedi sporchi di fango, dobbiamo rimanere veri, essere autentici, e se teniamo questa filosofia, seguita da tanti anni, il futuro sarà molto positivo”. Di certo, nel Brunello di Montalcino, negli anni, hanno investito tanti produttori arrivati da fuori dal territorio, dall’Italia ma anche dal mondo, dalla famiglia Mariani, con Castello Banfi, negli anni ‘70, ai francesi di Epi, della famiglia Descours, che ha acquisito di recente la culla del Brunello, Tenuta Greppo Biondi Santi, per citare i casi più emblematici.
“Il fatto che siano arrivati e arrivino investimento da fuori dal territorio è un fatto positivo, conferma l’interesse mondiale che c’è per questo luogo e per questo vino, che esporta l’80% della sua produzione. Ma, detto questo, non dobbiamo perdere le nostre radici ed il nostro attaccamento a questo territorio”, chiosa Neri, che aggiunge: “la nostra filosofia, come territori, deve essere quella quella di fare qualità, non quantità, di pensare a grandi bottiglie, non grandi numeri. E, a livello di mercati, gli Usa rimangono importantissimi, ma dobbiamo far si che il Brunello sia una denominazione leader anche in altri Paesi del mondo, anche in Asia. Dobbiamo imparare e seguire chi ha più storia di noi, come la Borgogna, o Bordeaux, o la Champagne, pensando, però, che noi in 30 anni abbiamo fatto quello che altri, magari, hanno fatto in 150 anni”.
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