Il giro di boa del 2019 è ancora lontano, ma il primo parziale, o meglio il primo quadrimestre, è già alle spalle, e per il mondo del vino italiano è il momento di un primo bilancio. Che al netto delle difficoltà che l’economia si porta dietro dallo scorso anno, a partire dalla frenata della Cina e dalla stagnazione degli acquisti degli Stati Uniti, lascia sensazioni positive ai produttori del Belpaese, intercettati da WineNews al Vinexpo di Bordeaux, perché anche la Francia è un mercato importante, di cui prendersi cura. “Il dato dell’Iwsr (che parla di un giro d’affari, per il vino, di 207 miliardi di euro nel 2022) è confortante, e la tendenza alla premiumisation è confermata anche dal nostro osservatorio - racconta Ettore Nicoletto, ad del Gruppo Santa Margherita - si sta consolidando ormai da un decennio e come gruppo ci coinvolge direttamente. L’Italia deve scommettere sull’Asia, dove abbiamo un grandissimo potenziale inespresso, si parla da tanto di Cina, ed è la realtà, il laboratorio del futuro per il sistema Paese. In Usa siamo leader, ma c’è molto lavoro da fare, specie per le nostre varietà autoctone, che non hanno trovato poi moltissimo spazio: si parla da decenni di Pinot Grigio e da anni di Prosecco, ma l’Italia è molto di più - conclude Nicoletto - è venuto il momento di far scoprire profili sensoriali e gusti nuovi ad un pubblico che cerca la novità e ama esplorare”.
Positivo, ma con cautela il bilancio che fa Rodolfo Maralli, sales and marketing director di Banfi, secondo cui “il primo quadrimestre dell’anno si è chiuso positivamente. Sta rispondendo molto bene il mercato asiatico, come non accadeva da anni, Cina in testa ma anche Giappone e Corea del Sud, mentre i mercati storici europei mostrano segni di stanchezza, Germania e Gran Bretagna su tutti, con il Nord America stazionario. La sensazione è quella di un trend in miglioramento, e lo vedremo nella seconda parte dell’anno. L’Asia, anche alla luce dei risultati di questa prima parte dell’anno, è forse il mercato su cui vale la pena di concentrare i maggiori sforzi, specie in Corea del Sud. Ma con i prodotti giusti anche i Paesi del Nord Europa potrebbero mostrare evoluzioni importanti. In Usa giochiamo in casa, o quasi, ma non ci aspettiamo grosse evoluzioni, quanto una crescita costante. La novità più grande - ricorda Maralli - in questo senso è interna, con la nostra casa madre Oltreoceano, la Banfi Vintners, che ha impresso una svolta importante alla propria azione, puntando maggiormente sul canale premium, e poi tra un mese sarà ufficiale il divorzio da Giv - Cantine Riunite, che libererà forze nuove da focalizzare sulla categoria Premium, che Castello Banfi rappresenta più che degnamente”.
Decisamente più complessa, proprio come la galassia produttiva che rappresenta, l’analisi del momento del vino italiano che fa Giampaolo Gavioli, direttore commerciale di Caviro. “I numeri sono positivi, ma c’è qualche nuvola da diradare. La redditività, nell’ultimo anno, non è stata ottimale: i prezzi sono in tensione, nel mondo si vuole pagare sempre di meno. Anche gli Usa, storicamente al top in quanto a redditività, stanno vivendo un momento di enorme cambiamento. Per certi versi - spiega Gavioli - il bicchiere è mezzo pieno, perché il settore funziona, ma ci sono dei segnali da cogliere, che ci dicono ad esempio che bisogna puntare ad aggregazioni e fusioni per fare massa critica e affrontare meglio i mercati del mondo”. Andando sui numeri, “l’Italia fa l’80% del proprio fatturato estero in 12 Paesi, ma la vera grande frontiera è la Cina, senza però sottovalutare l’importanza di Germania, Austria e Svizzera, così come Gran Bretagna e Stati Uniti, che sono un mercato a parte. Abbiamo visto cose positive anche in Russia, Brasile e Africa, altra frontiera interessante. I volumi - ricorda il direttore commerciale di Caviro - arrivano sempre dai soliti 12 mercati, ma se si punta sul marchio tante sono le mete in cui è diventato importante essere presenti, come i Caraibi. Gli Usa, come detto, meritano una riflessione: è il mercato su cui abbiamo fatto i margini maggiori per anni esportando volumi enormi, ma va colto il messaggio che lancia il disinvestimento di Constellation Brands dai marchi entry level, ceduti a Gallo, a fronte di un investimento da 4 miliardi di dollari sulla cannabis. Dall’Europa - spiega Gavioli - abbiamo una visione distorta, ma ciò che sta succedendo intorno alla cannabis in Usa e Canada cambierà completamente l’approccio al vino: sono entrambi fonte di piacevolezza, sono consumi in un certo senso concorrenziali, e sono sempre di più i distributori di vino che investono sulla cannabis. Il consumatore, che ha sempre gli stessi soldi a disposizione, dovrà decidere dove spenderli, e molti distributori vedono molta più marginalità nel breve e medio periodo nella cannabis piuttosto che negli spirits o nel vino e nella birra. Si presume - conclude il direttore commerciale di Caviro - che nel 2025 la cannabis avrà lo stesso valore di mercato in termini di fatturato sul mercato americano del vino”.
Altra realtà assai ben strutturata è quella del Gruppo Italiano Vini, che come ricorda l’export manager Paolo Oliviero, “è già presente in 83 Paesi nel mondo, su alcuni mercati operiamo attraverso nostre strutture dirette, come a Shanghai o in Giappone, o in Germania, dove siamo da molti anni, ma stiamo rivedendo e potenziando la nostra presenza in Cina, perché nonostante il momento di stasi crediamo che il futuro passi da qui. Il mercato Usa sta andando molto bene, abbiamo cambiato qualcosa, insieme al nostro importatore diretto, allargando l’offerta dei nostri marchi e siamo molto positivi per il futuro, così come in Canada, dove siamo ben strutturati già da diversi anni. Il 2019 è cominciato, generalmente, bene, siamo fiduciosi di poter migliorare le posizioni acquisite, soprattutto con l’apertura dei nuovi mercati in Estremo Oriente”.
Per Anna Abbona, a capo della griffe del Barolo Marchesi di Barolo, “nonostante i momenti di incertezza, da un punto di vista economico, le cosa stanno andando bene, con l’Italia che ci dà grandi soddisfazioni e l’America che continua ad essere il mercato più importante, mentre all’Asia guardiamo con prudenza. I mercati più strutturati invece sono sempre più consapevoli e consci di cosa sia il vino italiano, diverso dagli altri per la ricchezza del suo patrimonio ampelografico e per l’esclusività delle sue produzioni”.
Il vento del mercato continua invece a soffiare ed a gonfiare le vele delle bollicine del Prosecco che, infatti, nonostante la situazione internazionale e le tensioni che ci sono su tanti assi commerciali, “non possiamo certo lamentarci - dice il presidente del Prosecco Doc Stefano Zanette - perché i primi quattro mesi ci hanno dato delle belle soddisfazioni, con una crescita del 7%, in linea con le previsioni. Anche in Francia, dove non abbiamo mai investito troppo, anche nel rispetto di un totem come lo Champagne, ci facciamo apprezzare, tanto da diventare il quarto mercato del nostro export, con 15 milioni di bottiglie nel 2018. Il primo mercato continua invece ad essere la Gran Bretagna, nonostante la Brexit, dove finisce il 35% delle spedizioni, poi gli Stati Uniti, che ha ancora enormi potenzialità, davanti alla Germania, mercato storico che sta valorizzando il prodotto”.
Un altro sguardo praticamente onnisciente sul mercato mondiale del vino italiano è quelli di Sandro Bottega, che con i suoi vini è presente praticamente in ogni angolo del globo, anche il più impensabile. “Noi esportiamo in tutto il mondo, e le cose vanno bene ovunque, meglio ovviamente nei Paesi che conoscono da tempo il vino italiano, come gli Stati Uniti e l’Europa, ma anche i Paesi emergenti stanno riconoscendo all’Italia quel plus che prima facevano fatica a riconoscerle. Mi riferisco - continua Sandro Bottega - alla Cina, ma anche a Paesi impensabili come il Myanmar, la Polinesia, l’Australia, le Isole Fiji, dove sponsorizzeremo, nel 2019, sia il “Fiji Wine Festival” che il “Fiji Fashion Festival”. Ci avviciniamo al mercato con un approccio nuovo e diverso, molto fashion. Il mestiere non è cambiato, per promuovere il vino bisogna viaggiare, essere presenti, divulgare la conoscenza, far assaggiare, le nuove tecnologie di comunicazione aiutano ma non bastano”.
Infine, il punto di vista di Mario Piccini, alla guida di Tenute Piccini, che ricorda come, per prima cosa, si debba “difendere quanto fatto sin qui, presidiando mercati importanti come la Germania, l’Inghilterra, la stessa Francia ed il Nord Europa, mercati molto attaccati al prodotto Italia, in declinazioni sempre più importanti da un punto di vista qualitativo. Presidiare questi mercati, e investirci, con prodotti di qualità sempre più alta, sta portando dei frutti importanti. Per quanto riguarda i mercati emergenti - riprende Piccini - Asia, Sud America, che cresce bene nonostante le difficoltà economiche, è importante notare come l’Italia sia molto sentita in termini di qualità, cultura e valori. Questo è ciò che dobbiamo vendere, la nostra cultura, i nostri territori, sono la nostra forza da tutelare insieme. L’economia del vino in Italia è positiva, e lo sarà ancora di più in futuro, perché le aziende hanno capito che bisogna vendere non solo il vino ma la nostra storia, come la Francia fa da sempre: stiamo diventando una nicchia - conclude Mario Piccini - e in tal senso dobbiamo lavorare sul valore aggiunto, a differenza di come siamo stati abituati a fare”.
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