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IL CONSORZIO DELL’ASTI CONTINUA A PERDERE I PEZZI: DOPO GANCIA E MARTINI & ROSSI … FUORI ANCHE LA CANTINA SOCIALE VALLEBELBO DI SANTO STEFANO BELBO

Il Consorzio di tutela dell’Asti continua a perdere pezzi, acuendo una crisi aperta nel dicembre 2008 con l’uscita di Gancia e Martini & Rossi. E, questa volta, è il turno di una cantina sociale, la cooperativa Vallebelbo di Santo Stefano Belbo: alla base della decisione ci sarebbero divergenze sulla gestione, in particolare sulle risorse per la promozione dell’Asti. Il presidente dell’enopolio, Romano Scagliola, avrebbe criticato apertamente la politica consortile e le scelte in campo promozionale.
Ora per l’ente di Isola d’Asti, anche se per contratto la cantina sociale rimarrà iscritta per tutto il 2010, la situazione si complica ulteriormente. E non è improbabile che altre aziende seguano le orme delle tre cantine, che hanno già deciso di lasciare il Consorzio di tutela dell’Asti. Malumori, del restoi, si registrano da tempo.
Intanto, per verso il 20 gennaio, dovrebbe riunirsi il vertice del Consorzio dell’Asti: in agenda nuove regole e politica per controbattere lo svilimento del prodotto (anche quest’anno ci sono stati Asti e Moscato Docg, venduti a prezzi di saldo). L’obiettivo è anche di ricucire lo strappo con Gancia e Martini &Rossi.

Focus - I motivi che hanno spinto Gancia e Martini & Rossi ad uscire dal Consorzio dell’Asti
Gancia e Martini & Rossi, le due aziende che, a fine 2009, hanno fatto scoppiare la “bomba” uscendo clamorosamente dal Consorzio dell’Asti che loro stesse hanno contribuito a fondare 77 anni fa, spiegano i perché del loro gesto. Lo fanno attraverso lettere inviate nel bel mezzo delle festività di fine anno ai propri conferitori, che portano entrambe le firme dei due amministratori delegati, Paolo Fontana, per la Gancia, e Stefano Leonangeli, per Martini &Rossi.
A parte qualche variazione di poco conto, i due testi sono grosso modo identici: sia Gancia che Martini & Rossi ricordano le proprie radici e il contributo che hanno fornito alla crescita dell’Asti e dello stesso ente consortile. Poi spiegano all’unisono: “nella nostra visione è fondamentale promuovere, non soltanto un prodotto, ma un insieme di valori di cui fanno parte integrante la storia, il territorio, le persone che con passione producono le uve. La marca è l’unico ambasciatore e garante in grado di veicolare l’immagine dell’Asti nel mondo. Intendiamo qui confermarvi che il nostro rapporto non viene a modificarsi in alcun modo”.
Siamo di fronte ad un’azione congiunta, messa in atto per gettare acqua sul fuoco delle polemiche che questa drastica decisione ha inevitabilmente fatto divampare, ma c’è anche l’intenzione di smentire la tesi, sostenuta da alcuni, secondo la quale la decisione delle due maison potrebbe rimettere in discussione l’accordo interprofessionale che fissa rese e prezzo delle uve e aprire la porta al mercato libero, cioè a contrattazioni tra aziende e contadini fuori da ogni intesa.
Se questo dovesse accadere (e non è affatto detto che accada) per alcuni osservatori sarebbe una iattura, per altri un modo per azzerare una situazione incancrenita e rilanciare un comparto che, a scanso di tante parole, non ha mai fatto della valorizzazione del prodotto una vera bandiera.
Fonte: www.saporidelpiemonte.it

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