Guardando indietro alla nascita delle denominazioni negli anni Sessanta e al futuro che aspetta il vino italiano, tra la numerosità eccessiva delle Doc e la specificazione sempre più diffusa di sottozone, o meglio “microzone”, che ne definiscono ulteriormente il dettaglio territoriale dell’origine, quello del vino è un mondo diviso in due parti, anche se con confini a tratti sfumati. Due parti che si muovono secondo logiche diverse e per le quali disegnare un futuro differente, come ha suggerito Alessandro Torcoli, direttore di “Civiltà del Bere” nella degustazione, di scena ieri, a Vinitaly 2024 a Verona, per celebrare i 50 anni della storica testata, fondata da suo nonno Pino Kail, ricostruendo le tappe del vino italiano e traguardando il futuro “oltre le Doc” che passa dalla valorizzazione dei micro territori nelle denominazioni storiche.
“Osservo due mondi che seguono logiche differenti e hanno prospettive diverse - ha raccontato Torcoli a WineNews - da una parte c’è il vino quotidiano, quello nella grande distribuzione che le persone non esperte a cui piace, ma che non hanno voglia di approfondire e studiarlo, comprano forse un po’ distrattamente al supermercato. Questo genere di consumatore ha bisogno di messaggi semplici, di marketing immediato, che credo possa essere valorizzato da una riduzione del numero delle denominazioni o comunque da un lavoro importante di aggregazione che si proponga su valori ampi, legati magari non tanto a terroir quanto a degli stili di vita, al territorio di origine, alla storia, all’arte, quindi a messaggi diversi che non abbiano a che vedere con le specificità dell’enologia e della viticoltura. Dall’altra parte c’è un altro mondo, quello dei vini di pregio, dei fine wine che vengono ricercati da persone appassionate di vino, che partecipano a corsi di degustazione organizzati da associazioni, che investono nell’acquisto di bottiglie più importanti. Quest’ultimo è un percorso che non teme la complessità e la polverizzazione delle microzone. Questo è ormai dimostrato. Pensiamo alla folle difficoltà della Borgogna, di divisione tra cru, premier cru, village, e poi ai nomi tutti simili delle famiglie perché nei secoli si sono imparentate. O anche al mondo complessissimo della Champagne dei vigneron. Ma chi ama il vino non è mai sazio di saperne più, quindi anche in Italia alcune denominazioni di prestigio che puntano anche ad aumentare i prezzi dei propri vini e il loro valore percepito non devono temere la complessità delle microzone”.
Per la degustazione - “Oltre le Doc. Nuove prospettive del vino italiano” - Torcoli ha scelto cinque denominazioni storiche e di notevole impatto sui mercati internazionali, e per ciascuna di esse due etichette interpreti particolarmente significative delle microzone di Soave (Pieropan - Calvarino, Soave Classico Doc 2021 e Suavia - Monte Carbonare, Soave Classico Carbonare Doc 2021), Etna (Tenuta delle Terre Nere - Etna bianco Calderara Sottana Doc 2022 e Planeta - Etna bianco Taccione Doc 2021), Romagna Sangiovese (Villa Papiano - Vigna Beccaccia, Romagna Sangiovese Modigliana Doc 2020 e Fattoria Nicolucci - Vigna del Generale, Romagna Sangiovese Predappio di Predappio Superiore Riserva Doc 2020), Chianti Classico (Riecine - Vigna Gittori, Chianti Classico Gaiole Gran Selezione Docg 2020, Fèlsina - Colonia, Chianti Classico Castelnuovo Berardenga Gran Selezione Docg 2020), Barolo (Pio Cesare - Barolo Mosconi Docg 2016 e Michele Chiarlo - Barolo Cerequio Docg 2016).
Da tutte le dieci voci dei produttori chiamati a raccontare la loro storia e i propri vini è emerso un denominatore comune. Le microzone poi sancite dai disciplinari di produzione - dalle Uga (Unità Geografiche Aggiuntive) per il Soave e il Chianti Classico, dalle Contrade per l’Etna, dalle Rocche per il Romagna Sangiovese, dalle Mga (Menzioni Geografiche Aggiuntive) per il Barolo - hanno riconosciuto aree di eccellenza già note che spesso includono già dei cru preesistenti. Una storia per tutte, quella raccontata da Cesare Benvenuto Pio, di Pio Cesare, storica realtà del Barolo e delle Langhe: ai tempi di suo nonno i produttori storici in Langa sceglievano e compravano le uve dai contadini che le portavano con i carri nella piazza di Alba, distinguendone la qualità per provenienza. E proprio così, selezionando le uve, suo nonno ha capito il valore di alcune vigne acquistandole all’inizio degli anni Settanta tra Barolo e Barbaresco. Secondo Stefano Chiarlo della Michele Chiarlo, tra i nomi top di Barolo, Barbaresco e Nizza, il riconoscimento delle Mga ha rappresentato una seconda giovinezza per il Barolo, sancendo lo sforzo dei produttori di far uscire l’anima dei vini dal territorio, complici anche le nuove tecnologie e la rivoluzione fatta in vigna. E ancora, tutti i produttori presenti hanno confermato che con la crescente adesione alle microzone aumenta la rilevanza e la riconoscibilità dei vini e che l’apoteosi è e sarà il riconoscimento dei cru nelle sottozone.
Tornando ai due mondi del vino, secondo Alessandro Torcoli, non ha senso non accettarne la differenza. Ci sono realtà molto diverse nella filiera. Grandi gruppi vinicoli da milioni di bottiglie che fanno un lavoro industriale molto importante, spesso anche agricolo, e artigiani da poche decine di migliaia di bottiglie, che possono permettersi voli pindarici, a condizione che alle loro spalle ci sia una denominazione importante a supporto per farsi conoscere dal grande appassionato, come dimostra il successo di progetti di nicchia nei Paesi viticoli avanzati dove si fa viticoltura di qualità già da parecchio tempo.
Clementina Palese
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