C’è una malattia delle piante che non fa dormire sonni tranquilli ai viticoltori. E’ il mal dell’esca. E’ presente indistintamente sull’intero territorio nazionale, così come in ogni altra area vocata alla coltura della vite in tutto il mondo. E’ praticamente impossibile individuarla, almeno fin quando la pianta non viene a perdere la sua vitalità, e, quel che è peggio, non ci sono rimedi se non con il ricorso ad un potentissimo veleno, comunque vietato in Italia, sull’uso del quale gli stessi agricoltori sono divisi. L’arsenito di sodio infatti (è questo il nome del prodotto in grado di bloccare la diffusione del fungo nocivo nei vigneti) è vietato in Italia, proprio a causa degli effetti collaterali che potrebbero causare danni all’ambiente e quindi all’uomo. E’ però consentito in altri paesi dell’Unione Europea ritenuti “più avanti” di noi in questo settore, come la Francia. Fatto che pone delle riflessioni ai nostri vignaioli: corre troppi rischi la salute dei cugini d’oltralpe o il legislatore italiano è troppo prudente prudente mettendo a repentaglio il lavoro in campagna?
“L’arsenito è un veleno troppo potente, è vero, ma è l’unico presidio che abbiamo contro il mal dell’esca – spiega Gianni Zonin – e non usarlo è come non somministrare ad un malato grave un farmaco in grado di salvargli la vita, seppure con delle forti controindicazioni”. Il problema è particolarmente sentito dal presidente della Casa vinicola di Gambellara. I tecnici della Zonin infatti hanno riscontrato la presenza del mal dell’esca un po’ in tutte le aziende di proprietà, dislocate dal Friuli alla Sicilia. Segno che il fungo resiste a qualsiasi clima e si diffonde con qualsiasi caratteristica pedologica. “Purtroppo in agricoltura stiamo vivendo un periodo difficile che ci porta a dover lottare su troppi fronti – è sempre l’analisi di Gianni Zonin –. Il già non facile lavoro agronomico ed enologico è gravato da mille incombenze burocratiche che, con un po’ di buon senso, potrebbero essere in parte alleggerite”. Zonin si riferisce soprattutto a quelle legate a normative sanitarie che non danno agli agricoltori gli strumenti per combattere alcune malattie zootecniche e vegetali nella loro fase acuta. Il problema dei divieti di alcuni prodotti non è esclusivamente vitivinicolo infatti. Anche l’influenza aviare, ad esempio, potrebbe essere debellata, ma alcuni vaccini in grado di bloccare l’epidemia sono vietati e, ciclicamente, assistiamo alla distruzione degli allevamenti e quindi del lavoro di tanti imprenditori.
“Restando in campo viticolo – continua Zonin – al flagello del fungo del mal dell’esca si aggiuge la flavescenza, un virus altrettanto nocivo che ho rilevato soprattutto nelle mie aziende nell’Oltrepò pavese e in Veneto. Nel breve periodo la soluzione trovata dai ricercatori, che la Banca Popolare di Vicenza ha messo in condizione di lavorare con un’apposito finanziamento, è la pastorizzazione delle barbatelle che uccide il virus nelle marze. Ma nel lungo periodo è necessario trovare piante più resistenti agli attacchi di agenti patogeni. Ovvero andare avanti con la ricerca”. Nel frattempo gli imprenditori chiedono di adeguare la normativa italiana a quella francese, consentendo l’uso dell’arsenito di sodio.
Non tutti però. Tra le voci contrarie c’è quella di Ezio Rivella, ex patron di Castello Banfi, oggi impegnato in una nuova avventura in Maremma. “L’arsenito è un veleno troppo potente per essere utilizzato – sostiene Rivella –. Provocherebbe effetti negativi sul vino e quindi delle conseguenze di natura economica. Purtroppo per ora non c’è soluzione”. Da anni nei vigneti di Castello Banfi si disinfettano gli attrezzi ed i tagli nelle piante, senza alcun effetto. I vigneti più vecchi sono soggetti al fungo. E inesorabilmente vanno sostituiti con aggravio dei costi aziendali. “In attesa che la ricerca trovi qualche soluzione – spiega ancora Rivella – è necessario analizzarne le cause. Dobbiamo studiare perché una malattia così antica è ricomparsa proprio ora con tanta virulenza e quali sono i mutamenti di condizione che ne favoriscono la ripresa”.
Difende invece l’ipotesi di ricorrere all’arsenito di sodio Franco Biondi Santi, memoria storica di tante vendemmie a Montalcino e non solo. “Quello che sta accadendo ai nostri vigneti - dice - è una catastrofe che nei prossimi anni potrebbe eguagliare la fillossera che nel Novecento mise in ginocchio la vitivinicoltura italiana”. Biondi Santi invoca da anni interventi del mondo scientifico e del legislatore per contrastare il problema. “Se in Francia e Germania l’arsenito è usato regolarmente perché non possiamo farlo noi? E’ l’unico prodotto che salva le viti in attesa che la ricerca debelli il fungo. Cerchiamo, per rispettare l’ambiente, soluzioni tecniche affinchè se ne disperda il meno possibile nel terreno. Ma cambiamo la legge che ci costringe a stare a guardare la lenta e inesorabile morte dei nostri vigneti e, con essa, veder sparire tanti soldi e lavoro investiti”.
Roberto Rossi
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