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Il Mondo

Vino classifica del Mondo delle maggiori maggiori 52 cantine del mercato italiano Coop e Antinori al top Giv, Cavit e Caviro al comando. E tra i produttori i privati salgono ... Dal +23% registrato dal fatturato della Mps tenimenti, holding del gruppo bancario Montepaschi, che controlla le cantine Fontanafredda, Poggio Bonelli e Chigi Saraceni, al -24% della Bersano vini, rimasta orfana del brand Riccadonna: tra queste due punte, di segno contrapposto, si è snodato il mercato vitivinicolo 2005. Un settore in chiaroscuro per il terzo anno consecutivo: con aziende che tirano, grazie soprattutto all'attività sui mercati esteri, e altre che invece fanno fatica a ritrovare il ritmo, a seguito della battuta d'arresto accusata dal settore nel 2003, dopo un periodo di grande euforia. La classifica del Mondo delle maggiori imprese italiane del vino (con più di 10 milioni di fatturato), fotografa questa realtà. Delle 52 cantine in graduatoria (tre più del 2004 e dieci più del 2003), 17 espongono una flessione del loro giro d'affari più o meno significativa, sette hanno conseguito un risultato sostanzialmente stabile rispetto allo scorso esercizio, 28 hanno segnato tassi di crescita anche di rilievo.
Chi sono i corridori del mercato e chi invece segna il passo? Il Gruppo italiano vini (Giv) è primo assoluto, con un incremento del 9,5% e un consolidato di 258 milioni. La grande realtà cooperativa veneta che in linea con il suo graduale processo di trasformazione in società per azioni affronta il 2006 con il doppio abito di spa nell'area commerciale e di cooperativa nel comparto produttivo, si è mossa su due principali binari. «Abbiamo smesso di investire in vigneti e abbiamo puntato sulla struttura distributiva con una forte specializzazione per canale», dice al Mondo Emilio Pedron, ad del Giv «Inoltre, abbiamo curato il rapporto qualità-prezzo dei prodotti, ponendo l'accento sul controllo della qualità: specie nei mercati di monopolio di alcolici come la Svezia e il Canada, ma in genere in tutta Europa, l'affidabilità del produttore rappresenta ormai per le catene distributive un elemento chiave della scelta». A trainare la crescita del Giv sono stati i mercati esteri, ma il gruppo è stato tra i pochi a fare volumi anche in Italia.
Alle spalle del Giv altre due cooperative: Cavit in Trentino e Caviro in Romagna. Rispetto al 2004, però, si è accorciata la distanza tra le due aziende, con una progressione di Caviro (prima in Italia per volumi, con oltre 170 milioni di litri) e una flessione di Cavit, che allunga così anche la distanza dal Giv. Dopo le tre coop, ecco il primo grande gruppo privato, quello della plurisecolare casata toscana dei marchesi Antinori. Tra le più note griffe del vino, Antinori ha fatturato 115, 4 milioni, con un incremento del 6,8% che ribalta la flessione del 2004 e segna il sorpasso in classifica della cooperativa Mezzacorona.
Il gruppo fiorentino si è mosso discretamente in Italia e molto bene all'estero. «Quando il mercato è difficile, le aziende organizzate, con una storia alle spalle e una bella rete distributiva riescono ad acquisire quote di mercato», sostiene Renzo Cotarella, dg ed enologo della Antinori. «L'importante è sapersi confrontare con una forte competizione sul fronte qualitativo». Che cosa vuol dire in pratica? «Che oggi si vendono tra i 6 e i 10 euro vini che valgono da 12 a 20 euro. Gli stessi vini che nel momento della grande euforia si sarebbero venduti da 18 a 30 euro», spiega Cotarella, che scommette su una progressiva selezione del mercato. La Giordano (vendita per corrispondenza), entra per la prima volta in graduatoria con un fatturato di 115 milioni. Altra new entry è la Fratelli Martini, che si colloca all'ottavo posto con 99 milioni.
Tra i primi dieci, cresce Gancia (è anche entrata nel mercato cinese di alta gamma), flettono Cantine Riunite e Zonin. Tra le aziende che hanno marciato più veloci, dopo Mps (che ha galoppato sui mercati oltrefrontiera, soprattutto nord Europa), si piazza la veneta Sartori con un +19% dovuto a una forte espansione all'estero (l'azienda sta per aprire una sede a Singapore per rafforzare la distribuzione nell'area asiatica) e in Italia nella grande distribuzione. «Credo che tutto il mercato stia voltando pagina», sostiene Andrea Sartori, anche presidente dell'Uiv. «In Usa sta andando bene, il mercato inglese si è ripreso e così anche la Germania. La competizione è comunque molto forte, anche a causa della sovrapproduzione mondiale». In Lombardia il gruppo Terra Moretti che controlla Bellavista e Contadi Castaldi in Franciacorta, è cresciuto del 15,8% ed è sempre a due cifre lo sviluppo della siciliana Planeta che rappresenta uno dei più evidenti casi di successo del mercato. Il bello è che i tre cugini Planeta, che hanno base a Menfi, zona tra le più vocate della Sicilia, ci stanno prendendo gusto e hanno appena investito nella zona dell'Etna dove vogliono produrre vino bianco da invecchiamento. Incrementi sostenuti quelli della Carpené Malvolti di Conegliano, leader nella produzione del Prosecco (+10,5%); della campana Feudi di San Gregorio (+9,8%) che ha dato il là al rilancio dell'enologia campana; della Marchesi di Barolo (più 7,8%), in forte progresso all'estero; della Mastroberardino (più 6%) marchio storico, che rappresenta un riuscito modello di azienda familiare in cui manager esterni hanno trovati spazi di crescita professionale. Bene Valdo con più 6,5% e la Gioiosa con il 10%: guidata da Giancarlo Moretti Polegato è entrata in graduatoria con più di 41 milioni di fatturato.
Dopo il 2004 negativo, quasi tutte le cantine toscane hanno chiuso il 2005 con il segno più. Così è per Barone Ricasoli, Fattoria dei Barbi, Castello Banfi: «Si è chiuso bene un anno iniziato con molte incertezze», dice Enrico Viglierchio, dg di Banfi, che sottolinea come il mercato si stia confrontando con una nuova realtà: «Abbiamo considerato il vino un settore tradizionale a ciclo medio lungo. Il nostro consumatore è invece uno dei più dinamici e curiosi, ha davanti una scelta di 250 mila etichette, per contare solo quelle italiane, e si diverte a cambiare». Incremento del 4% per la Marchesi de' Frescobaldi. Si tratta della sola azienda agricola e non del gruppo che ha affrontato nel 2005 grossi investimenti per rilevare le quote dell'ex socio Mondavi nelle due aziende Luce e Ornellaia e sta riorganizzandosi con la consulenza di Mediobanca. Il consolidato sarà pronto a giugno ed è facile che entro quella data i Frescobaldi possano aprire la loro casa a partner finanziari. A proposito di partner, l'ingresso della Constellation nella Ruffino segna nel 2006 un incremento dell'attività della cantina toscana sul mercato Usa. Nelle Marche Umani Ronchi ha ripreso la marcia dopo la ripulitura del portafoglio che nel 2004 aveva penalizzato il fatturato, mentre in Trentino le cantine Ferrari stanno potenziando l'export e la presenza nel canale horeca (hotel, ristoranti, catering). La dinamica del fatturato è condizionata dalla vendita di vino sfuso, le cui quotazioni sono da tempo in picchiata (salvo in Piemonte per il Barolo). Ciò vale per esempio per il gruppo Cecchi e per la cooperativa Settesoli: il suo pareggio è il risultato di un meno 29% delle vendite di vino sfuso e di un più 13,2% dell'imbottigliato.
Stabilità o flessione del fatturato non necessariamente influenzano la redditività che può, anzi, risultare migliore. È per esempio il caso della Cavit e di Cecchi. Lungarotti ha sofferto la flessione in Giappone e Regno Unito (dove è in corso il cambio degli importatori) ma è andata molto bene in Germania e si è sviluppata in Italia. In progresso Santa Margherita. Il gruppo veneto guidato dal dg Ettore Nicoletto, conta anche su Cà del Bosco in Franciacorta, che fattura più di 11 milioni di fatturato, ha siglato accordi di distribuzione all'estero e punta sul progetto siciliano in joint venture con Mezzacorona (Terre Iliade e Feudo Zirtari).
Ma soprattutto vuole fare shopping: «Stiamo esplorando regioni che mancano nel nostro portafoglio, sia in zone tradizionali come il Piemonte sia in nuovi territori come la Puglia», afferma Nicoletto, per il quale è l'estero il futuro dell'industria nazionale del vino a patto di una forte rifocalizzazione sui prodotti rappresentativi del territorio. Nicoletto però non è l'unico pronto a comprare.
Sempre in Veneto il gruppo Masi guidato da Sandro Boscaini, in crescita di fatturato e di utili, dopo l'ingresso di soci esterni alla famiglia si pone come gruppo aggregante: «Il nostro è un marchio leader nel prodotto regionale», dice Boscaini «abbiamo aperto il nostro capitale per affrontare con altre forze il mercato globale. Adesso abbiamo i numeri per diventare interessanti agli occhi di aziende che hanno bei marchi, ma non le professionalità e le masse critiche necessarie».
Dove guarda Boscaini? «A zone che completano il nostro portafoglio e cioè nell'area del Prosecco e del Collio, mentre all'estero, dopo l'Argentina, puntiamo sull'Ungheria e la Romania». Mai come in questo periodo molte aziende chiedono di potersi appoggiare a gruppi più organizzati per la distribuzione. Difficile però che quelle stesse aziende accettino di passare la mano. Il più grande ostacolo al processo di concentrazione nel mondo del vino auspicato da molti, sta proprio nel fatto che molte cantine sono in mano a una famiglia che ha l'orgoglio del lavoro di cui vive e non vuole mollare. «Penso che si arriverà comunque a qualche formula che riunisca le aziende, per esempio con una rete unica distributiva», dice Pedron di Giv, che non crede che i grandi gruppi finanziari possano monopolizzare il mercato del vino in Italia come sta succedendo all'estero: «La finanza si sposa poco con il vino che ha invece bisogno di gruppi vitivinicoli puri», afferma il capitano del Giv, che è stato anche tra i grandi sponsor della alleanza siglata tra l'Uiv, la Federvini e Veronafiere attraverso Vinitaly: «Abbiamo bisogno di una filiera del vino unita anche per riuscire a ottenere modifiche a un impianto legislativo vecchio che ci mette in difficoltà nei confronti dei concorrenti esteri», sostiene Pedron.
Anche Gianni Zonin sollecita l'armonia normativa dei mercati (e finanziamenti dell'Ue per il rinnovamento dei vigneti), mentre potenzia la sua rete distributiva con la creazione di presenze dirette in Usa e Uk. Insomma, anche in un mondo individualista come quello del vino qualcosa si sta muovendo. A dare il buon esempio sono le grandi cantine sociali. Nel luglio dello scorso anno sono convolate a nozze in Veneto la cantina di Soave con quella di Illasi e, sempre nella regione, circolano voci di un possibile rendez vous tra la cantina di Colognola e quella di Lonigo.

Dove l'export pesa di più: ecco i cinque campioni
Primo per fatturato, il Giv è anche primo per il valore delle esportazioni che ammontano a più di 175 milioni di euro. Supera i 158 milioni l'export della Cavit che pesa per l'80% sul fatturato della cooperativa diretta da Giacinto Giacomini. Principale sbocco di Cavit sono gli Usa, dove l'azienda rappresenta il primo marchio italiano nella ristorazione. Se si considera il peso dell'export sul giro d'affari, Fratelli Martini in Piemonte e Bolla in Veneto si dividono il primato con una quota del 92%. Fratelli Martini, condotta dai cugini Gianni e Piero, spedisce una larga fetta della sua produzione in Germania, Regno Unito e Usa, mentre i mercati di riferimento della cantina Bolla guidata dall'ad Maurizio Ferri sono Usa e Canada. Sempre sostenuto l'export di Mezzacorona: la cooperativa presieduta da Guido Conci e diretta da Fabio Rizzoli raccoglie all'estero 73,6 milioni, pari al 70% del suo fatturato. I tre principali mercati sono Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna.
Chi compra uve e chi no
Marchesi Antinori con 1.838 ettari e Zonin con 1.800 sono le due aziende private con la maggiore estensione di vigneti di prorietà. Questi però non bastano a soddisfare l'intera produzione: Antinori acquista infatti un piccolo quantitativo di uve, pari al 5% del totale, mentre Zonin compra sul mercato il 40% del lavorato. In effetti solo 14 cantine su 52 lavorano esclusivamente uve proprie. E tra queste (per lo più cooperative o cantine sociali che ricevono l'uva dai soci), solo cinque sono aziende a controllo familiare: Masi, Fattoria dei Barbi, Tasca d'Almerita, Donnafugata, Planeta. La stragrande maggioranza delle cantine, invece, acquista una parte di uva (in alcuni casi di vino) che per Giordano, Fratelli Martini, Valdo spumanti, Carpené Malvolti, La Gioiosa, raggiunge il 100%. In molti casi il prodotto arriva da piccoli contadini legati alla grande cantina con contratti pluriennali tramandati da padre in figlio, cui spesso l'azienda fornisce il supporto tecnico dei propri agronomi.
Le aziende che hanno ottenuto più utili rispetto al fatturato: Antinori, Masi e Santa Margherita vincono in redditività
Sempre pronte a disquisire sulla bontà dei loro vini, le aziende vitivinicole, anche quelle più grandi, si dimostrano spesso restie a entrare nel dettaglio dei loro conti. Questa chiusura può dipendere dal consuntivo di un anno difficile, ma la dice comunque lunga su quanta strada debba ancora fare questo mercato per raggiungere una maggiore trasparenza sui suoi risultati gestionali, non solo per quanto riguarda la botton line del bilancio. Tra le 20 (su 52) che hanno fornito il dato, si fanno notare per la più alta redditività il gruppo Marchesi Antinori e il gruppo Masi: entrambi sfoggiano un brillante rapporto tra utile e fatturato che tocca e supera il 20%. La casata toscana degli Antinori stima un utile di 24 milioni su un giro d'affari consolidato di 115 (comprende la controllata Tormaresca). Più piccoli i numeri del gruppo Masi, ma non inferiore la redditività della cantina veneta di Sant'Ambrogio di Valpolicella, guidata da Sandro Boscaini, che totalizza 9,3 milioni di utile su un fatturato di 46,5 milioni. Il positivo e costante andamento del gruppo Masi, ha sicuramente favorito l'importante riassetto societario di cui è stata protagonista la Masi agricola, holding di controllo del gruppo. Questa ha appena aperto il suo capitale alla sgr Alcedo di Treviso (ex gruppo Sanpaolo Imi oggi dei finanzieri Giovanni Gajo e Maurizio Masetti) che ha rilevato il 28,5% da componenti in uscita della famiglia Boscaini: un'operazione che apre una nuova fase di sviluppo aziendale. Tornando all'utile, molto interessante il risultato del gruppo Santa Margherita, che ha totalizzato 11,1 milioni di utili su un totale di 68 milioni di ricavi, pari a un rapporto del 16,41%. La cantina veneta Bolla e la toscana Cecchi completano la rosa dei primi della classe: entrambe si segnalano per un indice di produttività che supera largamente il 14%. Raggiunge il 9% il rapporto utile fatturato di Mastroberardino. Va oltre il 7% quello della siciliana Pellegrino.
Nuovi business: chi farà bere gli indiani
È l'India il mercato che nei prossimi anni offrirà più opportunità di business ai vignaioli italiani. Lo rivela uno studio della Confagricoltura che, dopo aver analizzato le caratteristiche dei nuovi mercati, ha messo a fuoco le coordinate della piazza indiana, fornendo alle imprese una sorta di guida pratica con tanto di identificazione dei principali buyer. L'organizzazione agricola presieduta da Federico Vecchioni ha registrato una realtà che sta importando alimenti e bevande a un ritmo che cresce più del 25% l'anno. Limitato, per ora, il consumo di vino, ma è previsto un incremento dei consumi, soprattutto di etichette internazionali, del 25% l'anno (equivalente a più di 7 milioni di litri). Protagonisti 300 milioni di consumatori del ceto medio, con potere d'acquisto in crescita.
Verona Fiere con Vinitaly collante di un'alleanza strategica per il settore: Uiv e Federvini per la prima volta a braccetto
Nel 2003 era data per perdente, sotto l'attacco di nuove iniziative fieristiche, promosse in particolare a Milano. Nel 2006 Vinitaly sbugiarda i pronostici: a 40 anni appena compiuti si conferma il maggiore salone internazionale del vino, ha esteso la sua azione in sei Paesi del mondo, ed è coprotagonista della neonata grande alleanza con l'Unione italiana vini (Uiv) e Federvini: le due principali organizzazioni del settore, che, dopo un secolo di strade parallele, hanno deciso di sedersi attorno a un tavolo assieme a Verona fiere, mamma del Vinitaly, per siglare un'intesa strategica a 360°. «L'iniziativa dimostra che il settore ha deciso di fare sistema e sul piano strategico determina una massa critica che ci permette di superare gli aspetti di debolezza della nostra filiera ed è utile alla comunicazione internazionale», dice al Mondo Piero Mastroberardino, presidente Federvini. «È questa la chiave per affrontare uniti le sfide sui mercati mondiali, sollecitando quella politica di promozione del made in Italy enologico, chiara e di peso, che non c'è mai stata», ribadisce Andrea Sartori, presidente Uiv. Collante dell'intesa e strumento di servizio è appunto Vinitaly, l'ammiraglia sul fronte agroalimentare di Verona fiere, leader del settore. L'ente presieduto da Luigi Castelletti organizza otto manifestazione in questo comparto, verso il quale destinerà una larga fetta dei 140 milioni di investimenti previsti dal business plan da qui al 2010. E intende rafforzare questa leadership puntando anche sulla nuova importante joint venture con Fiera di Parma, organizzatrice di Cibus, la maggiore rassegna del fine food europeo.
Rapporto Mediobanca 2005: La grande distribuzione traina le vendite. Ma i grandi vini si stappano al ristorante
Giganti internazionali come l'americana Constellation (più di 3 miliardi di euro di fatturato nel 2005) o l'australiana Foster (2,3 miliardi nel 2004) rappresentano un modello lontano per un mercato, come quello italiano, la cui ossatura è fatta da imprese a controllo familiare. L'ultima indagine dell'ufficio studi di Mediobanca sul settore vinicolo nazionale rivela, tra l'altro, che questa tipologia di aziende rappresenta il 62% del totale (in termini di capitale netto). Seguono le cooperative che pesano per il 23% (e si aggiudicano il 37,5% del giro d'affari complessivo), mentre le altre imprese fanno capo ad azionisti esteri e altri soggetti. In fatto di margini e di roi (return on investment) le cantine cooperative realizzano almeno 5 punti in meno rispetto a una spa o a una srl. Interessante anche il focus sui canali di vendita, riepilogato nella tabella qui accanto. In sintesi, si registra un grosso avanzamento della grande distribuzione che assorbe il 42% delle vendite nazionali. Il cosiddetto canale horeca (hotel, ristoranti e catering) che riguarda i prodotti di gamma più elevata, è il secondo principale sbocco ( 23% del totale); è quindi la volta delle enoteche e wine bar che assieme al canale horeca accolgono soprattutto i vini di pregio e rappresentano una quota dell'11,5%, mentre le vendite dirette non superano il 7,5%. In particolare le cooperative si servono per il 49% della grande distribuzione che assorbe invece poco più di un terzo delle vendite delle altre cantine. (arretrato de Il Mondo del 14 aprile 2006)

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