Il “Krimisa” (o Cremissa), antenato dell’attuale Cirò, emergente vino di Calabria (migliori etichette: la Tenuta San Francesco e Librandi), era il “vino ufficiale” delle Olimpiadi: Milone di Crotone, vincitore delle gare di lotta in sei giochi olimpici, infatti, secondo alcuni storici, pare fosse un grande estimatore di questo nettare, offerto per tradizione agli atleti tornati vincitori dall’impresa sportiva, ai quali venivano tributati onori divini. Tale tradizione è stata poi riportata in auge in tempi più moderni: nel 1968, alle Olimpiadi di Città del Messico, tutti gli atleti partecipanti hanno avuto la possibilità di degustare il Cirò come vino ufficiale dell’evento.
Questa notizia, che capita giusto in tempo con le Olimpiadi 2000 che si apriranno tra qualche giorno a Sydney, è anche l’occasione per ripercorrere la storia di questo grande vino di Calabria, nato su ispirazione dei coloni greci sbarcati sulle coste calabresi nell’ottavo secolo a.C., che rimasero impressionati dalla fertilità di questo suolo, ricco di vigneti. E subito fu grande il valore che gli antichi greci attribuirono a questo territorio da vino: dalle tavole di Eraclea, risalenti al 300 a.C., risulta che un appezzamento di terra coltivata a vite valeva circa 6 volte quanto un campo coltivato a cereali. I contadini ellenici portarono tecniche nuove di vinificazione e impiantarono anche nuovi vigneti: sono di probabile origine greca, infatti, alcuni tipi di vite ancora presenti sia sul suolo calabrese che in altre parti d’Italia, cioè il Gaglioppo, il Greco Bianco, il Mantonico. Il vino più apprezzato era però il Krimisa, antenato dell’attuale Cirò (tra l’altro, Cremiss era anche il nome della colonia greca, sede di un imponente tempio dedicato a Bacco, situata più o meno dove oggi sorge Cirò Marina). La produzione vinicola aveva assunto una tale importanza nella zona che furono costruiti, con tubi di terracotta, dei veri e propri “enodotti” i quali, partendo dalle colline circostanti Sibari, arrivavano direttamente ai punti di imbarco, e tramite navi anforee permettevano al vino di raggiungere le località del Mediterraneo, fino ai paesi nordici. Con la decadenza della Magna Grecia, la coltivazione della vite subì un tracollo e perse l’importanza che aveva raggiunto. Per il Cirò, comunque, il periodo di maggior crisi è stato nell’Ottocento: l’attacco della filossera, che provocò la decimazione dei vigneti e la quasi scomparsa delle coltivazioni. La rinascita parte, in questi anni, con il Cirò, che sta riacquistando la sua antica grandezza per merito di alcune aziende che hanno saputo rinnovarsi, pur non rinnegando la tradizione: “lo stesso Tancredi Biondi Santi di Montalcino operava attivamente nel Dopoguerra come consulente in questi vigneti - spiega Francesco Siciliani della Fattoria San Francesco - portando insieme alle sue capacità tecniche una cultura e una esperienza non comuni. Oggi, in Calabria, la superficie del terreno coltivato a vigna è di oltre 65000 ettari; solo il 3% della produzione è a doc; il 90% del vino a doc è prodotto nella zona del Cirò”.
La Fattoria San Francesco, di sicuro l’azienda di Cirò più importante e rappresentativa nonché una delle realtà emergenti nel panorama enologico italiano, sorge su un terreno detto “dopo San Francesco” in Cirò, dove nel 1578 Domenico di Paola fondò un convento, intorno al quale furono poi impiantati vigneti e uliveti. Già in quei tempi il vino veniva dedicato a San Francesco di Paola: il convento fu poi soppresso con decreto di Ferdinando IV nel 1770 e fu aggiudicato all’asta a Benedetto Siciliani (ed, ancora oggi, col nome di Casale San Francesco, rappresenta il cuore dell’attività agricola e la residenza della famiglia). L’azienda agricola nasce poi ad opera dell’ultimo discendente di questo storico casato del vino, Francesco Siciliani: “nell’’84, ho scelto - spiega Francesco Siciliani - senza indugi di dedicarmi con entusiasmo all’azienda di famiglia, rispettando la tradizione enologica locale, ma puntando sull’innovazione. Nel 1988, primo in Calabria, ho voluto anche sperimentare l’affinamento del Gaglioppo in piccoli carati francesi: il risultato è il “Ronco dei Quattroventi”, vino principe dell’azienda, tra l’altro primo esempio di cru a Cirò. La nuova cantina è stata invece inaugurata nel settembre ‘97 dall’allora presidente di Confindustria Giorgio Fossa: una struttura che vanta una superficie di 2000 metri quadrati, di cui 600 interrati dedicati alla bottaia, con modernissimi macchinari e vasche di vinificazione in acciaio. La nostra produzione è di 500.000 bottiglie all’anno ed è esportata in Svizzera, Germania, Francia, Belgio, Danimarca, Regno Unito, Norvegia, Stati Uniti, Canada, Brasile e Giappone”. “Siamo soddisfatti dei risultati di questi anni - continua Siciliani - ma non intendiamo affatto fermarci: in un panorama di selvaggia competizione commerciale, abbiamo scelto la strada della qualità e su questa intendiamo proseguire. Adesso il nostro lavoro (che vede anche le consulenze di Antonio Scalise, docente all’Istituto Agrario di Cirò per la parte agronomica, e dell’enologo Fabrizio Ciufoli, che lavora anche altre realtà toscane e marchigiane) si sta concentrando su un passito da uve Greco, che presenteremo nel 2001: un ennesimo recupero della tradizione, in una terra difficile ma ricca di vitigni autoctoni. Vogliamo coniugare passato e presente, perché siamo sicuri che solo questa è la strada del futuro”. La Tenuta San Francesco, nel ‘98, si è anche lanciata, dopo alcune aziende toscane e piemontesi, nella sperimentazione dei futures su uno dei suoi vini più rappresentativi, il “Ronco del Quattroventi ‘97” (la consegna è stata effettuata nel gennaio 2000) ed ha, di recente, creato un sito aziendale www.fattoriasanfrancesco.it , con percorsi in lingua italiana e inglese e con link alle “Tradizioni di Calabria”, punto d’incontro del vino di Calabria con gli altri prodotti agroalimentari (illustrato con l’aiuto di complete schede informative, il visitatore potrà trovare ricche notizie su territorio, tradizioni, artigianato, storia e cultura calabresi, nonché molte ghiotte ricette tipiche).
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