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IL PUNTO SULLA VITIENOLOGIA ITALIANA E SULLE SUE PROSPETTIVE: INTERVISTA AL DIRETTORE DELL'ASSOENOLOGI, GIUSEPPE MARTELLI

“Le statistiche continuano a confermare che, mentre il vino dozzinale, senza caratteristiche perde terreno, il prodotto di qualità, nelle diverse fasce, fa registrare un interessante incremento. Ovviamente, quando si parla di vino di qualità, non si deve intendere solo la bottiglia delle occasioni o quella di costo elevato, ma il prodotto di tutte le fasce e quindi anche di quelle riferite al vino da tavola, quello di tutti i giorni. Dunque, di fronte ad una costante flessione del consumo, alla forte aggressività di alcuni nuovi Paesi produttori e alla ricerca sempre più spinta del meglio, la produzione di domani dovrà sempre più orientarsi verso forme che soddisfino pienamente il rapporto qualità/prezzo, per i vini comuni e, qualità/prezzo/immagine, per quelli di maggior pregio”. Inizia così l'intervista a WineNews di Giuseppe Martelli, direttore dell'Associazione Enologi Italiani - che, agli inizi di luglio, ha perfettamente condotto il congresso nazionale di categoria - sull’analisi della vitienologia italiana e delle sue prospettive.

Quale tipologia di prodotto sarà richiesta nei prossimi anni ? “Credo che nessuno possa dare una risposta e che, qualunque essa sia, possa essere positiva o negativa a seconda di un’innumerevole quantità di variabili. Una cosa è comunque è certa: tutte le zone vitivinicole del mondo producono Cabernet e Chardonnay e, pertanto, ritengo che il confronto su questi prodotti sarà inesorabile, mentre un vino legato al territorio ovviamente sempre richiesto dal mercato, resta un patrimonio esclusivo”.

Ma qual è il vino di territorio che ha caratteristiche di successo? “Domanda da un miliardo di dollari. Una cosa su questo fronte ritengo sia comunque certa: fino ad oggi è stato il produttore a scegliere, con il terzo millennio ritengo che sarà il mercato”.

Altro aspetto, di grande attualità ed importanza, è l’evoluzione degli impianti: l'età media dei vigneti italiani è di circa 30 anni e che la superficie per produttore non arriva all’ettaro, contro i 4 della Francia. Le ore lavorative anno/uomo/ettaro sono mediamente oltre 400: c'è insomma la necessità di un cambiamento di rotta ? E negli anni futuri si assisterà o ad una maggiore concentrazione o ad un ulteriore abbandono delle superfici vitate ? “E’ inevitabile i segnali ci dicono che, nell’arco di 15 anni, quasi il 70% delle aziende viticole con più di 20 ettari dovranno essere meccanizzate, le ore anno/uomo/ettaro scendere al di sotto delle 200. In pratica, nei prossimi 20 anni, si assisterà ad una metamorfosi in vigneto pari a quella che è avvenuta a partire dagli anni Ottanta in cantina. Non a caso la nuova Ocm vino destina alla ristrutturazione dei vigneti centinaia di miliardi con contributi che arrivano fino al 75%”.

E quali saranno i prossimi scenari di mercato ? “E’ difficile pensare ad un sensibile incremento dei consumi interni, ritengo pertanto che, nei prossimi anni, lo sviluppo giocherà principalmente sulla capacità di individuare nuovi mercati e di conquistarli, quindi sulle esportazioni. A questo proposito, non va dimenticato che i concorrenti sulle principali piazze aumentano costantemente. Venti anni fa, per esempio, le realtà che esportavano in Inghilterra erano dieci, oggi sono oltre cinquanta”.

L'ultima domanda è soprattutto dettata dalla curiosità (dati i balletti di cifre sull'argomento): quanto è grande il “vigneto Italia” ? “Iniziamo dalla produzione, dove la media è diversa a seconda dei periodi considerati. Dall’elaborazione dei dati risulta che è di 74.600.000 ettolitri, se riferita al decennio 1979/1988, e cala a 58.800.000 ettolitri, se rapportata al periodo 1990/2000. Questo dato conferma che anche nel nostro Paese è in atto una graduale diminuzione della superficie vitata, che trova ampio riscontro nell’abbattimento del suo valore che, nel 1980, era di 1.227.000 ettari. Oggi è invece stimato dall’Assoenologi in meno di 830.000 ettari di superficie di uva da vino”.

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