“Fusse che fusse la vorta bbona”. Questo viene da sperare - ricorrendo al modo di dire reso tormentone da Nino Manfredi, uno dei più grandi attori italiani di sempre, poco dopo la metà del secolo scorso - pensando alle grandi potenzialità disattese dell’Oltrepò Pavese vitivinicolo, ed ai segnali positivi che vi si colgono. Da ultimo il rilancio di Terre D’Oltrepò, la più grande cooperativa della Lombardia, che pesa, nel bene e nel male, intorno al 50% sulle produzioni oltrepadane. Un rilancio che si somma alla diffusa determinazione dei produttori di rivendicare l’eccellenza di questo territorio, agli investimenti di brand importanti, al cambiamento del disciplinare del Metodo Classico e al progetto di “riordino” delle denominazioni.
Presupposti che possono cambiare il futuro della Doc Oltrepò Pavese, in totale di 26 milioni di bottiglie e parecchio sfuso, ottenute da diversi vitigni come Bonarda, Sangue di Giuda, Pinot Grigio, Pinot Nero vinificato in rosso, anche con la menzione riserva, e quello metodo classico (bianco e rosato) a cui, dalla vendemmia 2007, è stata riconosciuta la Docg. I 3.000 ettari a Pinot Nero fanno l’Oltrepò il terzo distretto mondiale per ettari vitati investiti con questa varietà che è tra le più amate nel mondo, e il primo in Italia, con il 75% della produzione nazionale. Molti sono quindi i punti di forza, ma grandi sono quelli di debolezza, come la scarsa rivendicazione del suo vino fiore all’occhiello, l’Oltrepò metodo classico Docg, per lo scarso appeal del marchio collettivo tra gli stessi produttori, il modesto prezzo delle uve e dei vini, quindi la bassa redditività, a cui si accompagna un valore fondiario irrisorio (8.000 euro ad ettaro) che sta però attraendo investitori provenienti da altre aree produttive, come Cordero, Tommasi, Berlucchi e Masi, tra gli altri, dai quali si attende un contributo sulla visibilità del territorio. Punti di debolezza da cui è partito Umberto Callegari, ceo di Terre d’Oltrepò nell’illustrare il “Piano strategico quinquennale della cooperativa”, in seno alla disamina generale del contesto di riferimento mondiale per il mercato del vino.
“La propensione all’export - ha sottolineato Callegari, che ha alle spalle l’esperienza di Worldwide Commercial Lead by Microsoft Customer Transformation - ha fatto lievitare la redditività media per ettaro del “Vigneto Italia” che ha toccato i 27.000 euro, al terzo posto tra i top player globali dietro a Francia e Nuova Zelanda, mentre in Oltrepò è intorno ai 5.000 euro. Il vino sta attraversando un periodo di notevole discontinuità, influenzato da fattori climatici, economici, geopolitici, generazionali e relativi alle regolamentazioni. Ritengo si tratti di un momento di passaggio e non di crisi come molti credono. In questo quadro ho accettato l’incarico, anzi la sfida, di rilanciare il Gruppo Terre d’Oltrepò, dopo la caduta dell’ennesimo Consiglio di amministrazione, e dopo essermi reso conto che l’azienda era sana in un territorio vocato e che il problema non era la mancanza di mercato, ma l’incapacità di gestione. Diversi i problemi: inefficienza e grave arretratezza industriale, scarsa competenza manageriale, assenza di contabilità industriale, mancanza di posizionamento in gdo e di export, modello operativo anacronistico e a marginalità negativa, sfiducia di banche e istituzioni, comportamento inaffidabile dei soci. La mia è stata una scelta di cuore: sono nato qui e per un manager l’aspirazione più grande è quella di risollevare un’azienda in crisi”.
Terre di Oltrepò è un gruppo nato nel 2008 dalla fusione tra la Cantina di Casteggio (fondata nel 1907) e la Cantina Sociale Intercomunale di Broni (nata nel 1960) a cui nel 2017 si è aggiunta La Versa, marchio storico risalente al 1905, acquisita insieme a Cavit e nel 2020 rilevata interamente da Terre d’Oltrepò. Il Gruppo conta su 660 soci, 5.000 ettari vitati, 100 dipendenti, 450.000 quintali di uve raccolte e un imbottigliato di 4 milioni di bottiglie. Per inciso, prima dell’acquisizione La Versa è stata al centro di scandali che non hanno giovato alla sua reputazione: nel 2015 un maxi sequestro di 16 milioni di litri di vino sfuso e 700.000 bottiglie di vino Doc, Igp e Igt Oltrepò Pavese, non compatibile con l’effettiva quantità e qualità di uva prodotta e conferita dai soci; nel 2016 un’ordinanza di custodia cautelare emessa per i reati di bancarotta e riciclaggio a carico dell’allora amministratore delegato.
“La missione odierna di Terre D’Oltrepò - ha illustrato Callegari - è quella di creare un polo vinicolo industriale integrato e sostenibile, in grado di catalizzare e valorizzare le risorse inespresse del territorio. Il rilancio del Gruppo si concentra principalmente sull’incremento della capacità produttiva e industriale, anche allargando a nuovi soci non solo in l’Oltrepò Pavese, ma anche nei Colli Piacentini, con un focus particolare sulla qualità del processo produttivo, che dovrà essere trasparente e certificato ad ogni passo”. Terre d’Oltrepò ha, infatti, recentemente ottenuto mandati ministeriali per le operazioni di vinificazione, che includono la seconda fermentazione, la rifermentazione sia in bottiglia che in grandi contenitori, l’invecchiamento, l’affinamento in bottiglia e l’imbottigliamento dei vini delle doc Colli Piacentini e Ortrugo dei Colli Piacentini.
“In economia difficilmente si inventa qualcosa, però ci sono molti modelli a cui ispirarsi - ha continuato il Ceo - per noi il modello di riferimento è quello dello Champagne, dove un singolo centro di pressatura concentra e incrementa la capacità produttiva di tutta l’area. O noi creiamo un polo industriale capace di catalizzare la nostra capacità produttiva e di generare un cambiamento culturale di modello operativo passando da logiche di puro prodotto a logiche di servizio end to end, da aggiungersi all’investimento in eccellenza operativa e branding, oppure il futuro non sarà roseo. Brand approdati in Oltrepò, come per esempio Berlucchi, ed altre realtà territoriali potranno trovare in Terre d’Oltrepò un service senza dover sopportare gli investimenti importanti che la spumantizzazione comporta e noi avremo un maggior presidio della catena del valore”.
Altra svolta riguarda l’aumento dell’imbottigliato “per uscire dalla dicotomia sfuso vs bottiglia (ndr oggi pari all’85% della produzione) e remunerare adeguatamente i soci trasformandoci in una piattaforma industriale end-to-end di vinificazione, assecondando le richieste degli importatori che sempre più cercano vini “integralmente prodotti”. La marginalità media di una bottiglia di vino di Terre d’Oltrepò è del 40%. Quindi un fatturato di 10 milioni di euro corrisponde a 4 milioni di margine, irraggiungibile con lo sfuso. Per le autoctone come Bonarda, Croatina, Sangue di Giuda, Riesling, a cui il mercato attribuisce scarso valore, e per le uve “tattiche”, come Pinot Grigio e Moscato, che con certificazioni internazionali e standard qualitativi indiscutibili hanno appeal sui mercati esteri e aprono all’internazionalizzazione, adotteremo la strategia della filiera integralmente prodotta per aumentare il valore della materia prima e del vino al massimo, sottraendolo agli imbottigliatori. Per il Pinot nero Metodo Classico, prodotto solo da La Versa, la marginalità è molto alta e lo esiteremo esclusivamente in catene premium a marchio La Versa, mentre gli spumanti da Metodo Martinotti usciranno con il marchio Rocca Versa”. Sono state già avviate con successo, tagliando fuori quindi gli imbottigliatori, collaborazioni strategiche a lungo termine con catene distributive adattando i prodotti alle richieste delle diverse insegne anche per segmenti di prezzo, come il contratto di filiera con Mack & Schühle Italia per una fornitura annua di 9-12 milioni di bottiglie commercializzate tra Italia ed estero.
Certamente non si tratta di passaggi facili, ma i risultati dall’insediamento nel luglio 2023 del nuovo team manageriale, con esperienza internazionale e medesima visione, sono già tangibili. A parità di litri venduti il fatturato è cresciuto di quasi 1 milione di euro da quando, nei primi mesi del nuovo anno fiscale, è iniziato il cambio di rotta: aumento dell’imbottigliato sullo sfuso (30/70 vs 21/79); crescita delle vendite dell’imbottigliato (+5,2%); prezzi medi di vendita totali aumentati del 20% grazie anche all’incremento delle vendite in horeca (+89% di cui il 55% per numero di bottiglie e il 22% per incremento del prezzo medio), canale in cui il Metodo Classico rappresenta il 49%, con un aumento del 250% sullo scorso anno fiscale; vendite in gdo in crescita, per numero di bottiglie (+22,6%) e adeguamento del prezzi, con buone performance in particolare in Esselunga ed Eurospin, e grazie alla stipula di un nuovo contratto con Autogrill per le bottiglie di 1905 spumante brut.
“Terre d’Oltrepò ha fatto la propria scelta - ha concluso Umberto Callegari - e ha deciso di stare al passo con la realtà. È necessario un approccio congiunto tra aziende, sindacati, associazioni e politica per realizzare la visione di Terre d’Oltrepò, certificando l’azienda come capofila della prima filiera enologica integrata e circolare della Lombardia. Siamo prossimi al rinnovo dei vertici del Consorzio e credo debba esserci un segno di discontinuità importante con il passato. Chiederemo posizioni decise dalla parte dei produttori e del territorio. Diversamente non siamo interessati a farne parte”. Cosa non da poco perché, considerando che Terre d’Oltrepò rappresenta la metà del vino prodotto in Oltrepò, verrebbe meno la rappresentatività erga omnes del Consorzio.
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