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Il Sole 24 Ore

“Ogni volta che vai sui mercati esteri impari qualcosa di nuovo” ... A tu per tu. Il presidente del Consorzio per la tutela dei vini di Franciacorta. Silvano Brescianini, è convinto che per superare la crisi occorre diversificare i canali distributivi e che, oltreconfine, “l’unione fa la forza”...“La natura non ha donato nulla di più utile del vino all'uomo”. In questa frase scritta nel 1570 dal medico bresciano Girolamo Conforti sta il senso della vita quotidiana e della filosofia professionale di Silvano Brescianini, ceo delle cantine Barone Pizzini e da metà dicembre 2018 presidente del Consorzio per la tutela dei vini di Franciacorta. Classe 1967, nato in casa a Erbusco - capitale di quel territorio bresciano reso così mite e adatto fin dal Medioevo alla coltivazione delle uve dagli influssi del lago di Iseo e dalle colline che lo proteggono - Silvano Brescianini vanta scherzosamente un Dna al 100% franciacortino, vale a dire terra, vigneti, botti e bottiglie. E ovviamente vino. Il primo timbro sul suo passaporto è l’aquila degli Stati Uniti, stampigliata quando nel 1988, fresco di diploma ottenuto alla scuola alberghiera di Iseo, vola a New York per partecipare all’inaugurazione di un tempio mondiale della gastronomia italiana: il San Domenico. Ed è proprio al San Domenico NY che il ventenne Silvano, dopo alcune esperienze da cameriere e assistente sommelier, muove i suoi classici primi passi da cuoco (“all'epoca la qualifica di chef non era così usata e abusata come oggi”, dice). “Sono stati i mesi più importanti per la mia formazione - spiega - un imprinting che mi ha guidato nel futuro. Il San Domenico era rigore in cucina come in sala, era jet set internazionale, era alta cucina, era vivere in un mondo che anticipava di molto le tendenze”. A Erbusco Silvano aveva lasciato il padre artigiano e la madre. Ma soprattutto il nonno Dino, contadino e produttore di vini sfusi. “Al rientro da New York - ricorda - tutta la famiglia venne ad accogliermi in torpedone a Malpensa. Sulla strada del rientro il nonno chiese: Silvano, ma fanno il vino anche là? È buono come il nostro?”. Oggi il San Domenico NY non esiste più. Al suo posto c’è il Marea, ristorante stellato frutto di un progetto gastrofinanziario dello chef Michael White. E il Marea - sorte o destino - è il primo cliente della Barone Pizzini di cui Silvano è socio e top manager, mentre l’imprenditore milanese Ugo Colombo ricopre la carica di presidente. “A New York - aggiunge - ho compreso che ogni volta che vai sui mercati internazionali, impari sempre qualche cosa di nuovo. La ristorazione, in particolare quella di alta classe, è in perenne evoluzione. Segue o crea nuove tendenze. Chi produce vino non può prescindere da ciò. Ricordo la lezione di quello che per me è il numero uno del vino in Italia, Angelo Gaja, padre nobile del Barbaresco: se non leggi almeno tre quotidiani di cui due esteri, un mensile e quattro riviste internazionali di settore come fai a sapere cosa succede nel mondo?”. Alta ristorazione e vini di pregio sono in simbiosi. Oggi anche questa unione matrimoniale è intaccata dalla pandemia causata dal virus cinese. Le restrizioni sanitarie hanno chiuso senza distinzione di classe i ristoranti nel mondo e le vendite di vino sono in difficoltà. La limi-tata ripresa delle attività non riesce a compensare il danno economico, ma è comunque una base per di ricominciare. “A causa del Covid - spiega Brescianini - il vino ha perso un 3o% circa di volumi di vendita. Gli importatori negli Stati Uniti, come in Cina e Giappone, hanno ridotto il portafoglio ordini e sarà così anche per i mesi a venire. Ma non siamo di quelli che piangono, cerchiamo di sopravvivere e di trovare nuove strade. Sono convinto che ne usciremo, magari con i cerotti ma ne usciremo”. Gli Stati Uniti sono il terzo mercato per la Franciacorta, con una quota del15% di export complessivo. “La lobby americana del vino è comunque molto solida e i segnali positivi da quel mercato non mancano”, dice Brescianini, che aggiunge: “È in situazioni come questa che va accelerata la diversificazione del mercato e dei canali di vendita. Oggi nel mercato italiano del vino tre bottiglie su quattro sono vendute dalle catene della Grande distribuzione. L’e-commerce è in fortissima crescita, ma è una formula di acquisto che va arricchita. La generazione Y, cioè quella nata dopo il 1981, ha una grande potenzialità di consumo consapevole, ma va coltivata ed educata. Dobbiamo offrire non solo il vino ma la conoscenza del vino e del territorio. Dobbiamo elevare il concetto di servizio. Un mio grande maestro purtroppo scomparso, Patrizio Cipollini (general manager del principesco Four Season di Firenze, ndr) diceva che il vero lusso è il servizio. E aveva ragione. Il servizio è tutto quello che ruota attorno al prodotto, che lo eleva e lo nobilita ancora di più. Ma bisogna anche saperlo raccontare”. E su questo tema Silvano Brescianini traccia un esempio fulminante. “Oltre vent’anni fa - racconta - andai in Sicilia per il viaggio di nozze. Lì vidi la forza e la bellezza dei vigneti abbarbicati sull’Etna. Vidi questa terra nera, vidi panorami unici al mondo costruiti dal vulcano, dal mare sullo sfondo e dall’uomo. Vigneti che generano vini eccellenti. Vini con una storia da raccontare e spiegare. Ma nessuno lo faceva con efficacia. Oggi per fortuna molto è cambiato. Invece in Francia, da un paesaggio e da un territorio certamente bello come la Champagne ma non così unico come quello dell’Etna, ne hanno ricavato un mito che dura da secoli. Ecco, questa è la differenza. Dobbiamo non dico imparare, ma certamente migliorare la nostra proposta. La qualità dei vini italiani è fantastica, ma viaggia da sola. L’Italia ha una storia, arte e bellezza, i territori hanno una storia, ogni vino italiano ha una storia irripetibile legata al territorio da cui proviene. Se riusciremo a giocare bene questa carta, il prodotto non ci basterà per soddisfare la crescita della domanda”. Un concetto su cui Silvano ama insistere è la capacità evocativa che l’Italia riesce ad avere sui consumatori di tutto il mondo. È una forma di promozione del tutto gratuita su cui fare leva, una miniera di opportunità da raccontare “anche con i linguaggi nuovi dei social network, così efficaci nel catturare milioni di persone. Il fascino del vino - spiega ancora il presidente del Consorzio di Franciacorta - è innegabile e lo è ancora di più se coniugato con il made in Italy. E non solo per il cibo. Il cliente che entra in un ristorante italiano a Hong Kong, a Singapore o a Tokyo come a Londra, New York o Los Angeles apprezza anche le tovaglie in fiandra lavorate in Italia, la finezza delle posate e l’eleganza e il gusto dell’arredamento italiano. Senza dimenticare la musica e la pittura. Il made in Italy ha una cifra di stile inimitabile. Mi è capitato di partecipare ad alcune serate all’ambasciata italiana a Tokyo per la promozione della cultura italiana. Quegli eventi avevano il vino come protagonista, ma era comunque significativa la presenza di altri prodotti italiani di arredo e design ammirati con occhio brillante dagli invitati giapponesi. Rammento un evento dove ad accogliere gli ospiti c’erano due automobili Maserati all’ingresso. Non è difficile comprendere il significato di tutto ciò. Eppure sono ancora troppe le occasioni nel mondo dove nelle cerimonie ufficiali non si valorizzano tutti i patrimoni enograstronomici tricolori”. Chi ha compreso - forse perché intrinseco nella sua genealogia – la valenza del concetto “si vince tutti assieme” è il settore della moda. Infatti da sei anni la Fashion Week di Milano è celebrata nei suoi eventi ufficiali con la Franciacorta, grazie a un accordo lungimirante con la Camera della Moda. Ma promozione e organizzazione in altri casi non si coniugano con il fare gioco di squadra. E questo per Brescianini è il punto debole dell’Italia. “Come Barone Pizzini abbiamo partecipato al salone BioFach di Norimberga, in Germania. Camminando lungo i corridoi dell’esposizione ho visto lo stand dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, della Campania e altri. Poi arrivavi sotto un grande arco con la scritta Francia. E lì sotto il visitatore trovava tutto il meglio che quel Paese può proporre nel campo dell’agroalimentare biologico. Questa è l’unione che fa la forza”. Le cantine Barone Pizzini, sotto la spinta di Brescianini, sono state antesignana nel 1998 nell’avviare un progetto per la produzione prima di uve e poi di vini biologici. Tecniche agronomiche e trattamenti dei vigneti con prodotti naturali come rame e zolfo, grazie alla stretta collaborazione con lo studio Sata di agronomia capitanato da Pierlugi Donna e con l’Università di Milano ed il prof. Leonardo Valenti, fanno ormai parte del vissuto di Barone Pizzini. Sul sito internet della cantina, nel segno della trasparenza, sono leggibili tutte le analisi condotte da enti certificatori terzi. Una battaglia, quella del rispetto per l’ambiente ed il consumatore che Brescianini ha condotto anche nelle altre tenute di proprietà della Barone Pizzini nelle quali si fanno vini bio come a Ghiaccioforte (Toscana) e Cascina Colombaroli (Lombardia), mentre a Pievalta (Marche) si è addirittura abbracciato la coltura biodinamica. “Quando vent’anni fa cominciammo a parlare di biologico in azienda e nelle riunioni con gli altri viticoltori ed esperti, eravamo visti con diffidenza. Più di una volta ho cercato di coinvolgere i produttori più vicini e gli amici. Nulla da fare. Siamo partiti soli e siamo rimasti soli per qualche anno. Poi, piano piano, la strada aperta è stata intrapresa anche da altri, fino a oggi dove in Franciacorta il suffisso bio è diventato un must”. Su 3mila ettari di vigneti, ben due terzi sono coltivati con criteri biologici. Da questo territorio lo scorso anno sono state spedite nel mondo quasi 18 milioni di bottiglie. Di queste più di 3oomila portavano l’etichetta Barone Pizzini.

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