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Il Sole 24 Ore

Vini low cost un tour di qualità ... Non è detto che il vino per essere di qualità debba avere un prezzo elevato: ci sono cantine che in catalogo, oltre alle etichette più note e costose, hanno altri prodotti eccellenti, ma dall’importo più accessibile, inferiore allo euro. Il gastronauta Davide Paolini guida i lettori alla scoperta dei vini low cost realizzati nel rispetto delle tradizioni, con attenti metodi di lavorazione e dalla qualità garantita.

Le uve di qualità “brindano” alla convenienza. Sotto i 10 euro “outsider” pregiati per i vitigni scelti e la lavorazione

É un interrogativo che prima o poi si pone di fronte a un vino: una bottiglia costosa è garante di un eccellente rosso o di un ottimo bianco o di interessanti bollicine? No, non lo è in assoluto, così come per un abito o un mobile. Però non è consigliabile farsi attrarre da etichette che offrono prezzi che non coprono o quasi i costi di bottiglia, tappo, etichetta e distribuzione. Ci sono limiti inferiori certi, oltre i quali i rischi di bufala sono assicurati, mentre il plafond superiore è dato soprattutto dal valore complessivo dell’azienda produttrice (storia, serietà, costanza nella qualità, considerazione delle guide, terreni, vitigni), insomma della griffe. Il consumatore deve rendersi conto che partecipa alla costruzione del prezzo, acquistando o meno questi vini. Chi dispone di un budget limitato dovrà prima individuare il vitigno gradito, il territorio desiderato e poi frugare tra i concorrenti della bottiglia must. Negli scaffali di enoteche, negozi, Gdo sempre più la scelta dei vini made in Italy è cresciuta, ormai non ci sono più territori Doc (Denominazione di origine controllata) e pure Docg (Denominazione controllata e garantita) con poche etichette. Dunque si può sperimentare e tener presente pure che molte cantine importanti hanno, nella loro offerta, vini di prezzo interessante che, prodotti in quantità, servono spesso per sostenere i rossi o i bianchi d’immagine (si vedano le liste in queste due pagine che riportano anche i prezzi indicativi), Comunque è sempre importante leggere con attenzione l’etichetta, la provenienza, le sigle (Igt, Doc, Docg), rendersi conto se il vino è imbottigliato all’origine dall’azienda che lo mette sul mercato. Infine si ricordi che fra gli outsider, magari fino agli 8 o 9 euro, si può nascondere quello pronto a salire nella hit parade della critica, aspetto che successivamente farà alzare il prezzo. Di conseguenza chi riesce a individuare questa etichetta paga meno e ha la soddisfazione di aver scoperto la chicca. Cosa che non succede acquistando vini già affermati, ma che fanno piangere il portafogli. Inoltre i vini di alto prezzo non sempre sono i più pregiati: succede che nei wine tasting vengano preceduti nelle graduatorie da etichette meno costose e conosciute al pubblico. Tanti sono i luoghi comuni che andrebbero sfatati. Oltre alle etichette superstar, ci sarebbe anche quello sulle modalità di consumo. Ad esempio, chi l’ha detto che perle bollicine serve la flute? E che il bianco va bevuto freddo? Si aggiunga che per anni si è diffusa la convinzione che il pesce non si possa abbinare alvino rosso, e il quadro mitologico del mondo vino è fatto. Allora voglio smentire, rischiando le saette di qualche Zeus delle degustazioni. Esistono rosè e rossi che si sposano perfettamente con piatti di mare dalle più svariate preparazioni. La loro acidità, paragonabile a quella di un bianco, conferisce sensazione di fresco e pulisce la bocca dai sentori forti tipici del pesce. Infine, la convinzione che il vino del contadino sia naturale perché fatto da un agricoltore, lascia il tempo che trova, in quanto nessuno può verificare l’igiene della cantina, il metodo di trattamento delle uve, l’aggiunta o meno di zucchero durante l’imbottigliamento. Si parla tanto di cultura del vino, ma poi si rischia di cadere nelle espressioni stereotipate legate all’odore di tappo o ai fantomatici tannini. Bisognerebbe allora indagare se chi dice di conoscere la materia sa qual è l’origine dei vitigni, conosce gli autoctoni e i luoghi di provenienza. La storia, la tradizione e il territorio sono importanti quasi quanto la degustazione nella comprensione di un calice. Poiché il vino è da sempre un alimento da ascoltare e apprezzare con il cibo. E non degustato, a parte, con un linguaggio che non gli appartiene, privilegio questo solo di enologi e addetti ai lavori.

Nord - Ovest, vince la tradizione. Cantine ricche di sapori locali

Il viaggio nell’Italia low cost del vino parte da Aosta in località Cossan: a 620 metri c’è un vigneto dove nasce il Petite Arvine Doc dell’Institut agricole regional. Sa di fiori e agrumi con un sapore intenso. Un bianco interessante in Liguria, nella valle Arroscia: nel cuore della Doc Riviera ligure di Ponente nel 1970 ha deciso di vivere e vinificare Riccardo Bruna, lavorando quasi esclusivamente con il Pigato, vitigno dei vermentini. Il suo Le Russeghine ha riflessi verdi, profumo ampio, sentori fruttati ed elegante mineralità. Freschezza e sapidità lo rendono un compagno ideale per i piatti liguri. Il legame con la tradizione è una costante anche in Piemonte, dove nelle Langhe un’azienda storica, Chionetti, ha saputo reinterpretare il vitigno Dolcetto: di solito va in commercio pochi mesi dopo la vendemmia, ma Quinto Chionetti ha deciso di farlo a un anno di distanza. Così una volta aperto, il San Luigi sprigiona note calde di frutta rossa, leggermente speziate. Nel Monferrato si è fatta la storia della Barbera, grazie al contributo di Giacomo Bologna, che fondò nel 1961 l’azienda Braida ed ebbe il coraggio di credere nelle potenzialità di un vitigno considerato rustico come la Barbera e decise di maturare il vino in barrique, non più frizzante, ma fermo, pronto per invecchiare. Cara al suo cuore era la Monella, una barbera vivace, dal vivo color porpora e dai profumi fruttati, notevole su una pizza lievitata ad arte. Stefano Bellotti è invece l’anima della Cascina degli ulivi, azienda agricola biodinamica di Novi Ligure. Da sempre produce vini naturali, senza additivi né anidride solforosa Il suo Gavi Docg nasce da uve Cortese maturate in vigneti del comune di Tassarolo ed è un vino robusto, corposo, bevibile a tutto pasto. Per chi ama il Lambrusco, uno antico dalla spuma scura e copiosa nel mantovano, il Viadanese e Sabbionetano Doc dell’azienda biologica Cote Pagliare Verdieri. Frutto delle radici contadine, non ha i difetti del vino del contadino. A Domaso, sul lago di Como, una sorpresa è la Sorsasso, che si impegna nella salvaguardia della tradizione vitivinicola locale, coltivando la Verdesa bianca e la Rosseia. Il Domasino bianco è un vino elegante che si sposa perfettamente con il pesce di lago.

NordEst, Tra monti e colline. Frizzanti “convenienti”

Vigneti che crescono a elevate altitudini con oltre o annidi età ci aspettano in Alto Adige. A Velturno, la Radoar applica la lavorazione biodinamica e in cantina usa fermenti naturali. Il risultato è un Weiss-Mùller Thurgau fruttato, minerale e dalla bella struttura. Nel Trentino troviamo Mezzacorona, cantina moderna e all’avanguardia. Qui tutte le operazioni si svolgono nel massimo rispetto dell’ambiente, a partire dalla drastica riduzione di fertilizzanti e pesticidi. Da oltre un secolo l’azienda valorizza i vitigni del Trentino, dal Marzemino al Teroldego: quest’ultimo da Mezzacorona è un rosso intenso con profumi di frutti di bosco che sposa bene arrosti e formaggi stagionati. Storia del vino importante anche in Friuli, dove nel 1967 aprì i battenti Puiatti. Prodotti di punta sono i bianchi e gli spumanti metodo classico, anche se l’azienda vanta buoni rossi, la cui unicità deriva da scelte tecniche rigorose che non prevedono la macerazione sulle bucce e il riposo sui lieviti. Lo Zuccole Sauvignon di Puiatti ha un colore paglierino con riflessi verdognoli, note di sambuco, salvia e pesca al naso. Nel Carso ecco l’Azienda agricola Castelvecchio, della famiglia Terraneo. La Malvasia istriana che produce ha un profumo caratterizzato da una leggera nota aromatica. Altra friulana da sperimentare è Piera Martellozzo che propone per un aperitivo o con pietanze delicate il Prosecco frizzante Giade. Non possono mancare i vini del Veneto, a partire dalla Valpolicella, dove Serego Alighieri fa un rosso del Veronese Igt, Possessioni Rosso di buona intensità e dall’aroma di ciliegia che va bene a tutto pasto. A Montevecchio Maggiore (Vicenza) l’Azienda agricola Bellaguardia produce esclusivamente spumanti con il metodo classico, con uva autoctona Durella e Pinot bianco. Il Bellaguardia Extrabrut matura sui lieviti 30 mesi, tutto nelle grotte del castello. La zona collinare di Sono di Gambellara è invece la dimora de La Biancara. Qui nei primi anni 80 Angiolino Maule sceglie la via della vinificazione naturale. La prima etichetta prodotta dal 1988 è il Sassaia, un bianco che esprime al meglio le qualità del vitigno Garganega, presente qui da più di 1.300 anni.

Al Centro delle sorprese in bottiglia. Dal Lambrusco al Trebbiano un tour a prezzi bassi tra i vigneti simbolo del territorio

Nel Centro Italia ci sono vini che sono legati indissolubilmente all’immaginario collettivo di una particolare regione. Prendi l’Emilia Romagna: difficile pensare alla sua cucina senza automaticamente abbinarla a un Lambrusco. A Modena, ad esempio, nella Trattoria dell’artigliere, Cleto Chiarli ne produceva uno che commercializzava solamente all’interno del suo locale. Con il passare del tempo il suo vino fu sempre più apprezzato e fu così che si convinse. a mettere su un’azienda vera e propria. Della linea Cleto Chiarli fa parte il Nivola, Lambrusco scuro. L’invitante spuma violacea nasconde un vino rosso rubino dai profumi vivaci e fruttati. Fresco al palato, non si può resistere alla tentazione di provarlo con un buon salame. Recandosi nelle Terre matildiche se ne potrà degustare un altro, quello de Le Barbaterre, i cui vitigni sono irrigati solo dalla pioggia e trattati naturalmente seguendo le procedure della coltura biologica. Le Barba- terre vinificano utilizzando come strumenti solo temperature controllate e tempi lunghi. I vini non sono filtrati e vengono imbottigliati dopo un’adeguata maturazione e una lenta sedimentazione.
Sempre di impronta naturale è il Gutturnio Tournesol di Lusenti, il cui motto è “una cantina senza finzioni”. Da loro il lavoro dell’uomo interviene il meno possibile sull’uva, in modo da non accelerare i processi naturali di trasformazione in vino. Come nella più tipica tradizione della Vai Tidone, la Lusenti continua a vendere anche il vino in damigiana. Altra regione che si vede unita simbolicamente a un vino è la Toscana, culla del Chianti Classico. Quello della Fattoria Sant’Appiano, situata nella valle dell’Elsa, è il Domenico Cappelli che profuma di viola e ha un sapore rotondo e sapido. Quello della Fattoria di Poggiopiano, a qualche chilometro da Firenze, proviene da agricoltura biologica e non è soggetto a operazioni di filtrazione eccessivamente stretta. Ma c’è anche chi con le migliori uve Sangiovese ha deciso di farci un Rosato, il Castello di Ama. E un vino la cui grande beva, tipica dei vini ottenuti da questo vitigno ben maturo, e l’eleganza dei profumi gli permettono di essere apprezzato fin dai primi mesi di bottiglia.
Nella più selvaggia Maremma ci si può imbattere in un gioiello enologico dalle grandi vetrate e dall’affascinante copertura a forma di vela progettato dalla designer Cini Boeri e dall’architetto Enrico Sartori: la Cantina Pieve Vecchia di Campagnatico. I suoi vini sono figli di un territorio affascinante e introverso, come quello della Doc Montecucco, una denominazione nata nel 1998, che qui porta il nome di Albatrello. Fresco al palato, fruttato e con una leggera nota di tannini è adatto a primi piatti di carne e con la brace. Se si parla di vino in Lazio è d’obbligo farsi un giro ai Castelli Romani, il cui microclima favorevole e un territorio di origine vulcanica hanno permesso alla Colle Picchioni di creare prodotti dalla forte personalità. Il Marino Donna Paola è ottenuto dalla vinificazione di Malvasia Puntinata, Trebbiano e Semmilon e ha una profumazione fresca di mela.
Sempre nella zona dei Castelli, ma anche nella zona di Aprilia, opera l’azienda Donato Giangirolami che, con il suo Propizio (di buon auspicio), ci propone un Grechetto di Todi da agricoltura biologica. In Abruzzo, terra stretta tra il mare e le montagne, la tradizione vitivinicola non è mai venuta meno, le sorprese a costi accessibili sono molte. Ne sanno qualcosa alla Cantina Tollo dove il clima è particolarmente favorevole e le montagne tengono le viti al riparo dai venti. Un ruolo d’eccezione lo ricoprono i vitigni autoctoni come Montepulciano, Pecorino e Trebbiano d’Abruzzo. Anche se io preferisco menzionare la Cococciola, un bianco, da vitigno omonimo, sapido, di buon equilibrio e finale ammandorlato. Anche a La Valentina, posta sulle colline di Pescara, la voglia di valorizzare le Doc abruzzesi ha preso il sopravvento. Da tale passione nasce un Trebbiano d’Abruzzo capace di prolungare sul palato piacevoli sensazioni mediterranee. Per concludere un salto nelle Marche, alla Collepaglia, per parlare di Verdicchio. Negli anni o Francesco Angelini, nonno dell’attuale proprietario dell’azienda, svolse un ruolo fondamentale nel successo di questo vino sui mercati internazionali. Il suo Classico superiore dei Castelli di Jesi è da assaporare con piatti a base di funghi e tartufi.

Mezzogiorno, tra vitigni autoctoni e tecniche moderne. Stelle enologiche dal Mouse alla Calabria

Sanniti e Romani sono stati i primi a coltivare la vite nel piccolo Molise. Nel rispetto di questa antica tradizione, a nord del Gargano, la Di Majo Norante e dal 1963 si è votata al recupero dei vitigni autoctoni che rischiano di estinguersi. Il Ramitello, cm delle migliori uve Montepulciano e Aglianico dell’azienda, è un esempio di qualità a prezzi contenuti. Rosso dal gusto elegante, morbido, ha sapori ben equilibrati di prugna e note di cuoio. Famose per aver recuperato la Tintilia, un vitigno diffusissimo da queste parti fino alla seconda guerra mondiale, le Cantine Cipressi hanno altri vini meritevoli di assaggio, come il Mekan - Molise Rosso Doc, ottenuto da uve Montepulciano. Deve il nome a un termine del dialetto croato, lingua degli antenati di questo angolo di mondo, e a ragione significa morbido. Tante le stelle nel panorama enologico pugliese, ma uno dei punti di riferimento è di certo l’Azienda vinicola Rivera ad Adria, che ha l’ambizione di produrre vini che siano testimoni dei colori, dei profumi e dei sapori del tacco d’Italia. Il suo Violante Castel del Monte Doc, 100% nero di Troia, soddisfa chi ama i rossi di facile abbinamento con quel tocco dato da un lungo finale fruttato. Non sono da meno, nel cuore della Valle d’Itria (la valle dei trulli), I Pastini di Locorotondo che miscelano antiche tradizioni viticole e tecniche enologiche moderne, cercando di esprimere un nuovo volto della vitivinicoltura locale. Provare il Faraone Valle d’Itria Bianco Igt, un Verdeca dal gusto asciutto e pieno. Se invece penso agli autoctoni di Campania, la mente mi porta subito alle pendici del Taburno, in provincia di Benevento, dove cresce la Falanghina. Si tratta di una varietà sopravvissuta alla fillossera e negli anni 6o era rimasta l’unica enclave coltivata. Proprio da questo importante patrimonio, la Masseria Frattasi, anno di fondazione 1779, produce il Taburno. Nettare dai profumi di pera matura, gelsomino e ginestra, è pieno e succoso con persistenza lunga. Altra Falanghina a un prezzo interessante è quella dell’Agricola San Teodoro, un’azienda giovane, ma che ha saputo creare con la Res Capuae un vino con un vago sentore tropicale. Grandi nomi anche più giù, nella profonda Calabria, dove i Librandi si confermano una delle realtà più produttive del meridione. La vicinanza con il mare e l’influenza dei Monti della Sila influiscono positivamente sulle viti che, grazie alle forti escursioni termiche tra giorno e notte, portano alla giusta maturazione le uve che conservano i loro profumi varietali. Da annotare il Cirò Rosso ottenuto da uve Gaglioppo in purezza. Nella vicina Marina di Strongoli, Ceraudo lavora secondo i criteri dell’agricoltura biologica. Una produzione non certo ampia, ma di alta qualità e dedicata agli autoctoni, che vede nella Petelia un bianco elegante e delicato. Terminiamo l’excursus nel Mezzogiorno in Basilicata con un buon Aglianico del Vulture firmato dalla Cantina Bonifacio: il Certamen, vinificato in acciaio e affinato in bottiglia 12 mesi.

Isole, produzioni eccellenti. Profumi intensi di leggende e Mediterraneo

L’Ogliastra è una zona della Sardegna caratterizzata da verdeggianti colline digradanti su bianche spiagge e calette silenziose. Qui il Cannonau e il Vermentino danno risultati eccellenti. Lo dimostra l’azienda Jerzu, il cui Cannonau di Sardegna Marghìa ha un intenso color rubino e profumi legati alla macchia mediterranea con ricordi di amarena, mirto e sfumature minerali. Ma parlando di Vermentino bisogna trasferirsi in Gallura, dove ha sede l’omonima Cantina nata nel 1956 e che oggi rappresenta una delle realtà più significative dell’intera regione. Il Vermentino di Gallura Canayli si conferma ogni anno un grande prodotto, dal prezzo commovente per la qualità garantita. Nel calice brilla nella sua veste giallo paglierino, emergono esuberanti profumi salmastri che si mescolano ad un ricco potpourri di erbe aromatiche e fiori gialli. In bocca è snello, fresco, equilibrato, intenso. All’estremo opposto dell’isola si trova il Sulcis, terra legata alla leggenda secondo la quale fu uno sconosciuto navigatore fenicio a portare la tipica pianta di Carignano. La presenza della sabbia impedì alla devastante fillossera di penetrare in quest’area e contagiare le viti. Per questo all’Azienda Sardus Pater esistono ancora dei vigneti che risalgono al periodo antecedente la fillossera. Il Carignano del Sulcis Is Solus emana caratteristici sentori minerali e fruttati di prugna secca con folate balsamiche e speziate. L’impatto gustativo è subito fresco e chiude con un finale sapido e fruttato. Nell’altra grande isola - la Sicilia - ci aspetta una storia altrettanto affascinante, quella di una donna in fuga, Maria Carolina, regnante asburgica che si rifugiò nella campagna del Principe di Salma in Sicilia, agli inizi dell’800, per sfuggire alle truppe napoleoniche. La campagna fu successivamente battezzata Donnafugata ne “Il Gattopardo” e infine diede il nome alla celebre azienda vinicola, espressione fedele del territorio siciliano. Per capirlo basta un assaggio di Anthilia, bianco da uve Ansonica e Catarratto, dalla forte personalità. Altra storia toccante è quella dei 100 passi che dividevano la casa dell’attivista Peppino Impastato da quella del boss mafioso Tano Badalamenti. Passi una cantina impegnata su terreni confiscati a Cosa Nostra. Oltre all’impegno sociale, a Centopassi si riesce anche a fare vino di qualità, come Il Placido Rizzotto, rosso che nasce da uve Nero d’Avola, Syrah e Perricone attraverso viticoltura biologica. Undici invece sono i vini di Feudo Arancio, azienda vitivinicola di circa 300 ettari nel comune di Sambuca di Sicilia (Agrigento). L’azienda vitivinicoltura la è realizzata sullo schema del baglio, tipica struttura rurale caratteristica della Sicilia, e al suo interno ha delle monumentali cave di tufo di eccezionale pregio e valore storico-artistico. Uno fra gli autoctoni siciliani più rappresentativi della cantina è il Grillo Sicilia Igt Feudo Arancio dall’aroma fruttato che ricorda il gelsomino e dal finale agrumato.


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