“Il Vermouth di Torino è il vino aromatizzato ottenuto in Piemonte a partire da uno o più prodotti vitivinicoli italiani, aggiunto di alcol, aromatizzato prioritariamente da Artemisia unitamente ad altre erbe, spezie”. Così, con il decreto 1826 del 22 marzo 2017, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha riconosciuto ufficialmente l’indicazione geografica Vermouth di Torino / Vermut di Torino, inserito sin dal 1991 tra le denominazioni geografiche comunitarie, ma senza che ne venissero indicate caratteristiche e processi produttivi. Con il ritorno in auge del Vermouth, iniziato dai locali di Barcellona, in una sorta di “reconquista” al contrario guidata da barman e miscelatori di ogni angolo del mondo, ed arrivato fino all’Italia, l’esigenza di non perdere la possibilità di difenderne le origini, tutte piemontesi, è diventata stringente. “Non dimentichiamo cosa è successo al London Dry Gin, che oggi si produce dappertutto, persino in Toscana”, racconta a WineNews Roberto Bava, presidente del giovane Istituto del Vermouth di Torino, che parla senza troppi giri di parole di “un piccolo miracolo”, perché all’ombra della Mole la quadratura del cerchio tra produttori grandi e piccoli, storici e giovani, è arrivata in tempi relativamente rapidi.
“La nostra è una bella storia, quella di un mito tutto italiano che ha radici nella Torino del XVIII secolo, ma trasformarla in legge non è stato facile. Abbiamo dovuto fare i conti con il peso specifico degli altri Paesi, ma anche con le nostre diverse anime, riuscendoci al 99%, e trovando una linea condivisa per garantire la qualità del Vermouth Torino. Il nostro obiettivo - sottolinea Roberto Bava, alla guida di una delle griffe storiche del Vermouth, Cocchi - è quello di diventare il vertice qualitativo di una piramide produttiva gigantesca, alla cui base ci sono i volumi prodotti in tutto il mondo dai grandi marchi, ma che vive una grande vivacità soprattutto tra le produzioni artigianali”.
Ma cosa prevede, nello specifico, il decreto legge, ed a che punto è l’iter legislativo? “Delimitare la zona di produzione non è stato semplice, la legge comprende tutto il Piemonte, con una deroga per chi imbottiglia fuori Regione ma dimostri di avere alle spalle almeno 25 anni di storia, come Carpano e Cinzano, che non hanno certo bisogno di presentazioni. La legge è passata senza problemi sia a livello nazionale che a Bruxelles, dobbiamo solo soddisfare piccole richieste, ma la nostra documentazione si è rivelata solida ed aspettiamo solo l’ufficialità per andare sul mercato con le prime bottiglie a marchio “Vermouth di Torino”. In questo anno di latenza - ricorda Roberto Bava - abbiamo anche lavorato all’istituzione di un organo di controllo da nominare in via definitiva, senza il quale è impossibile far rispettare le regole che ci siamo dati. Innanzitutto, il vino per il base deve essere italiano, e tra le erbe in infusione sarà obbligatoria l’artemisia piemontese. Per la tipologia “Superiore”, invece, il 50% del vino utilizzato deve essere piemontese, e le erbe del territorio usate in infusione dovranno essere almeno tre”.
E a chi si chiedesse perché non sia stato esteso l’obbligo di provenienza delle uve al solo Piemonte a tutte le tipologie di Vermouth di Torino, il presidente dell’Istituto risponde ricordando le radici storiche dell’aperitivo: “tradizionalmente il Vermouth è sempre stato fatto perlopiù con il vino del Sud Italia, è un prodotto italiano, e poi, il Piemonte è la Regione italiana con la più alta concentrazione di Doc e Docg, sarebbe davvero difficile, oltre che antieconomico, produrre Vermouth solo con vini piemontesi”.
Di numeri, almeno per ora, neanche l’ombra. Se è vero che le 18 aziende fondatrici (Berto, Bordiga, Calissano, Carlo Alberto, Carpano, Casa Martelletti, Chazalettes, Cinzano, Cocchi, Del Professore, Drapò, Gancia, La Canellese, Martini Riserva Speciale, Peliti’s, Sperone, Tosti, Vergnano) dell’Istituto del Vermouth di Torino saranno protagoniste dall’8 al 10 marzo al Fico Eataly World, con un programma a cura di Clara e Gigi Padovani dedicato alla storia, agli ingredienti ed agli abbinamenti del Vermouth, ma anche masterclass sulle erbe officinali, degustazioni e libri sul più antico vino aromatizzato italiano, finché la produzione vera e propria non inizierà, “previsioni è impossibile farne - conclude il presidente dell’Istituto - ma ci sarà tempo per renderci conto, così come per darci una forma diversa: l’Istituto, che conta su pochi fondi e su una democrazia rappresentativa assoluta (un’azienda un voto, ndr) si trasformerà in un Consorzio, sempre senza preclusioni verso i nuovi associati”.
Focus - La storia del Vermouth di Torino
La sola città di Torino aveva nel 1840 almeno 30 produttori di Vermouth e liquori e 42 distillerie di brandy e grappa, senza contare il resto del Piemonte. Produttori che esportavano Vermouth in tutto il mondo, la gran maggioranza dei quali sono scomparsi per ragioni di mercato o scelte imprenditoriali o per gli alti e bassi dei consumi tra i secoli. A quelle case più note, floride e sopravvissute, si aggiungono in questi anni recenti nuovi produttori artigianali o nuove produzioni riprese dalle ricette storiche.
La produzione mondiale di Vermouth e prodotti affini si concentrava nella stragrande maggioranza sull’asse Torino - Pessione -Asti - Canelli, zona interessata dalla felice convivenza di vigneti e coltivazioni di altro genere, necessarie alla produzione migliore, ma a questa ed alle inoppugnabili prove storiche sedimentate di tre secoli di produzione si aggiunge il savoir faire piemontese e la passione, indispensabile ingrediente necessario alla trasmissione tra le generazioni di ricette originali e metodi di produzione.
Le aziende produttrici più antiche erano localizzate in prossimità di fiumi e strade ferrate, a testimoniare la necessità di spedire grandi quantità in tutti continenti: dal Venezuela all’Australia, erano già 150 i Paesi in cui, a metà Ottocento, veniva esportato il Vermouth di Torino. Il gusto veniva declinato in base alle esigenze dei consumatori delle varie zone del mondo.
Un avviso di passaggio informava i clienti della data e del luogo di arrivo del rappresentante, che annualmente o semestralmente si fermava in città per vendere il suo carico di Vermouth. Il vino aromatizzato veniva acquistato in barili o partite di bottiglie, che venivano poi riempite all’occorrenza. Il Vermouth è infatti il primo prodotto imbottigliato dagli stessi clienti, tanto che le bottiglie distribuite riportavano la dicitura nell’etichetta. Quest’abitudine venne poi vietata dal 1956, dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il successo del Vermouth ha portato all’intuizione dei bar monomarca, veri e propri negozi che vendevano esclusivamente i prodotti dell’azienda. Il grande interesse del pubblico nei confronti del Vermouth ha spinto le aziende a trovare nuove strategie promozionali, investendo fortemente in attività sportive come il calcio o le corse automobilistiche.
Il Vermouth di Torino sarà quindi l’unico prodotto alimentare a portare in bottiglia nei salotti di casa, nei bar e caffè del mondo la denominazione della città. Un potente mezzo promozionale per Torino e Piemonte che oggi guida il trend positivo del bere con l’adeguato contenuto alcolico rispetto agli spiriti ed in piena sintonia con lo stile mediterraneo alimentare.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024