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INTERVISTA A WINENEWS

Il vino come “medium” dei territori e della loro civiltà: a tu per tu con Aubert de Villaine

Il valore culturale del vino, il suo andare contro “gli standard”: le riflessioni di chi, per mezzo secolo, ha guidato Domaine de la Romanée-Conti
AUBERT DE VILLAINE, CIVILTÀ, CULTURA, TERRITORIO, vino, Italia
WineNews, a tu per tu, ancora una volta, con Aubert de Villaine

Il vino come “medium” dei territori e della loro civiltà, di cui i viticoltori sono custodi e innovatori al tempo stesso. Ma anche come un prodotto controcorrente, che va verso la “parcellizzazione” perchè espressione dei territori, in un mondo sempre più standardizzato. E la vite come pianta della resistenza e dell’adattamento, che ha sempre saputo convivere con il cambiamento climatico, nei secoli, e che saprà farlo ancora, grazie al lavoro e alla cura dei viticoltori. Messaggi e riflessioni profonde di monsieur Aubert De Villaine, co-proprietario (fino al 2022) di una delle cantine più prestigiose del mondo, Domaine de la Romanée-Conti, icona della Borgogna, e protagonista dell’ultimo mezzo secolo di uno dei territori del vino più importanti al mondo, che WineNews ha incontrato, ancora una volta, a tu per tu (il video nei prossimi giorni), nelle giornate di studio in memoria del “maestro del Sangiovese” Giulio Gambelli (di cui Aubert De Villaine è presidente onorario, ndr), promosse da Pasquale Forte a Podere Forte, immerso nella bellezza dei vigneti della Val d’Orcia, Patrimonio Unesco. Per parlare di vino, tra storia, cultura, attualità e futuro, con una delle personalità che più ha segnato in modo indelebile l’enologia mondiale, portandola al massimo livello qualitativo, a partire dal mercato dei “fine wines”, ma sempre restando un fedele difensore del concetto di terroir, del legame tra uomo e natura, e del prendersene cura con attenzioni da “buon padre di famiglia”, mettendo davanti all’aspetto economico, i valori umani, culturali e sostenibili che sono il vero patrimonio di ogni territorio.
Se ad Aubert De Villaine si chiede cosa rappresentano per lui oggi il vino, ed il suo mondo, la risposta è netta: “per un vigneron il mondo del vino è gia il suo mondo, la sua vigna è il suo mondo fin dal principio, quello in cui lui si sente in famiglia, e quella di oggi è per me una riunione di famiglia, tutti i vigneron che sono qui hanno una visione della viticoltura che è molto simile”.
Una visione simile che si inserisce, però, in un mondo enoico che è cambiato sotto molti aspetti, in questo ultimo mezzo secolo che Aubert De Villaine ha vissuto in prima persona. “Per me è molto difficile parlare del vino in generale, posso parlare dell’evoluzione del vino in Borgogna, per esempio, ed è stata veramente notevole. Il vino, in Borgogna, ma credo che questo valga ovunque, è passato da un’epoca “produttivista”, in cui si tendeva a produrre il più possibile, ad un’epoca in cui ci si è concentrati sulla qualità, come richiede il mercato. Ed oltre alla qualità - spiega De Villaine - il mercato ha visto aumentare la richiesta di vini di territorio, questo in un’epoca in cui in altri settori si è andati verso la standardizzazione, il vino, controcorrente, è andato verso la parcellizzazione, l’esatto contrario della standardizzazione”. Con un vino che, dunque, si può definire “medium” dei territori. “Sì, penso che lo si possa dire. C’è un detto in Francia che lo spiega molto bene: “non esiste una grande vigna predestinata, esistono solo ambizioni di civiltà”, e credo che sia una definizione esatta, che dica la verità. Il vino è guardiano della cultura: senza i vini di territorio, molti aspetti della nostra cultura sarebbero perduti”.
Di conseguenza, si può dire che i vigneron devono essere custodi dei loro territori, oltre l’aspetto economico e imprenditoriale della produzione di vino. “I due interessi combaciano. L’interesse economico patrimoniale che il vino produce - spiega De Villaine - e quello del vigneron, che produce vini di territorio. Questo è perché è il mercato a richiedere quei vini, quindi vi è una congiunzione tra i due interessi, e questo vale per tutte le denominazioni del mondo”. Secondo molti il vino che beviamo oggi è il migliore di tutti i tempi, per qualità, grazie ai progressi fatti in vigna ed in cantina, ma, secondo noi, anche per il suo valore culturale: è d’accordo? “La qualità di un vino è l’essere l’espressione culturale di un luogo. Cosa fa grande un vino? Mi ripeto, è il suo ambire alla civiltà, ed è quindi espressione della cultura, perciò c’è un forte legame tra qualità di un vino e la cultura che quel vino rappresenta”.
Un tema trasversale e tutti i territori e che riguarda non solo il vino è quello del climate change. Il riscaldamento climatico e la mancanza d’acqua sono questioni, che i viticoltori da anni toccano con mano. Ma tra chi prevede catastrofi e rivoluzioni totali in vigna e chi, invece, predica calma e punta su scienza e studio per lavorare ad un adattamento senza stravolgimento (come ha raccontato, nei giorni scorsi, Donato Lanati, tra i più affermati enologi italiani, fondatore del Laboratorio di ricerca “Enosis Meraviglia” e consulente dei più prestigiosi nomi del vino di Italia e di Francia, come riportato qui, ndr), Aubert De Villaine sta con i secondi. “La vigna è una pianta straordinaria, sta già cominciando ad adattarsi: l’uomo soffre, i giardini soffrono, le foreste soffrono, ma la vigna resiste. È incredibile: è dal quattordicesimo secolo che in Francia viviamo modificazioni del clima - dice De Villaine - e la vigna è passata attraverso tanti e diversi momenti difficili, di grande freddo e di grande caldo, e ha sempre resistito. Oggi, in questa fase di riscaldamento globale, sono convinto che la vigna, con l’aiuto del vigneron, ci dimostrerà che si saprà adattare ancora una volta. Ne sono convinto. Se prendo un vino del 2003, anno in cui la vigna ha molto sofferto il caldo, e lo paragono con un 2020 o un 2022, anni in cui il caldo è stato paragonabile a quello del 2003, la vigna ha sofferto molto meno, e ritengo che questa sia una dimostrazione della capacità di adattamento al cambiamento climatico. Naturalmente con l’aiuto del vigneron, con potature adeguate, con la scelta dei cloni che meglio si adattano al caldo, con la gestione del fogliame e della vegetazione: ci sono molte tecniche che sono state sperimentate per favorire l’adattamento della vigna al cambiamento climatico”. Parola di chi ha vissuto da protagonista oltre mezzo secolo di vita nel mondo dei grandi vini e della vigna, nell’azienda più prestigiosa della Borgogna e del mondo del vino.

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