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PENSIERI INTORNO AL CALICE

“Il vino è entrato in una nuova era dei consumi”: l’intervento, a WineNews, di Gianni Moriani

Le riflessioni dello storico italiano della cucina e del paesaggio, su “come affrontare la crisi colturale e culturale del vino”

Il calo dei consumi di vino, in Italia ed in gran parte del mondo, è sotto gli occhi di tutti. Per tanti motivi. C’è il grande tema del salutismo, che comprende anche l’effetto dei messaggi allarmistici non solo contro l’abuso, ma anche contro il semplice consumo moderato. C’è l’aspetto del ricambio generazionale, con i Millennials non fedeli al vino come i Boomers, e con i più giovani, come la “Gen Z”, che non solo non bevono più come i loro predecessori, ma non approcciano allo stesso modo neanche “la tavola”, puntando sempre più spesso su apericene e altri momenti di convivio e di consumo, dove bevono con frequenza crescente bevande diverse dal vino, come cocktails, ready to drink e non solo. C’è il tema economico, ovviamente, con un potere d’acquisto diminuito per molti, e che si scontra sovente anche con i ricarichi enormi, ormai anche del +500%, che alcuni ristoranti fanno sui prezzi dei vini, facendone diventare l’acquisto ed il consumo quasi proibitivo in un periodo in cui, inoltre, per molte persone cene e pranzi fuori casa sono in riduzione per questioni di budget. C’è l’aspetto climatico, non secondario, che, da un lato, spinge il consumo verso vini più leggeri, in termini di gradazione alcolica, e più freschi, come testimonia anche la grande crescita dei vini bianchi che hanno superato in produzione e consumo i rossi, e, dall’altro, crea le condizioni per le quali, con la viticoltura e l’enologia di oggi, i vini, all’opposto, hanno gradazioni alcoliche sempre più elevate. Tutti pezzi di un problema complesso, quello del calo dei consumi di vino, che per essere gestito richiederà interventi importanti dal punto di vista culturale, comunicativo, ma anche agronomico ed enologico, con un ripensamento profondo di tutta la filiera, dalla vigna allo scaffale. Una sintesi estrema dei contenuti dell’intervento, a WineNews, di Gianni Moriani, storico della cucina e del paesaggio agrario italiani, già docente all’Università Cattolica di Roma e all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha ideato il Master in Cultura del Cibo e del Vino, all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove ha tenuto il Corso di “Costruzione dell’identità italiana in cucina” nel Master in Filosofia del Cibo e del Vino, nonché autore di diversi libri, tra cui “L’uomo è ciò che beve. Una storia del bere, dagli alcolici ai caffeinati” (Cierre Edizioni), e curatore del libro del grande filosofo Tullio Gregory, l’“Eros Gastronomico. Elogio dell’identitaria cucina tradizionale, contro l’anonima cucina creativa” (Editori Laterza). Un intervento che riceviamo e ben volentieri pubblichiamo ...

Il vino è entrato in una nuova era dei consumi. Che fare? (Come affrontare la crisi colturale e culturale del vino) di Gianni Moriani
Da alcuni mesi la stampa specializzata di enogastronomia sta ripetendo che il vino è in crisi. Come siamo arrivati a questo? Com’è stato possibile che il vino, da bevanda storicamente consumata in quasi ogni famiglia italiana, oggi venga assunta occasionalmente? Una tendenza peraltro che si sta affermando anche in molti altri paesi. Premesso che le modalità di consumo del vino sono influenzate dalla cultura, pesa da un lato la consapevolezza dei rischi per salute, che ha portato a sviluppare bevande alternative meno alcoliche o addirittura analcoliche, dall’altro lato il fatto che il vino sta facendo i conti con nuovi modelli di organizzazione e convivenza sociale.

L’irruzione delle nuove generazioni nel mercato del vino
È assodato che le nuove generazioni hanno la tendenza a bere più leggero (ossia a bere vini meno alcolici, meno strutturati, più freschi) e a esplorare alternative come birre, cocktail e ready to drink (Rtd), low e no alcohol. Gli stessi Millennial non sono più dei fedelissimi al prodotto vino, essendo perlopiù guidati da mode del momento diffuse attraverso i social. Lo schema è a grandi linee il seguente: si esce dalla solitudine domestica per incontrare qualcuno/a o semplicemente per esistere nello sguardo di qualcuno/a. Il luogo prediletto per questi avventurieri del quotidiano è il bar. Qui si ritualizza l’apericena, a base di stuzzichini/tapas/cicheti che vengono prevalentemente abbinati alla bibita diventata di moda: lo Spritz. Con questa modalità, bevendo e mangiando più o meno bene, si sostituisce quella che una volta si chiamava cena, col risultato di vivere momenti di convivialità. Quando poi si torna a casa, non ci si deve occupare/perdere tempo a cucinare e a rassettare. È un approccio che inizialmente ha stregato soprattutto i giovani single e gli studenti, per estendersi successivamente anche ad altre classi di età. Non solo, lo Spritz viene sempre più spesso bevuto anche pasteggiando. Vedere al ristorante gente mangiare bevendo vino è diventato sempre più raro. Molti bar hanno trasformato questa modalità di bere/mangiare in format, alimentandolo con la creazione di sempre nuovi cocktail e stuzzichini. In questo contesto sono nati dei locali che praticano la “ristorazione”, pur essendo privi di cucina. Dal ristorante stellato all’osteria, il bere miscelato (che ha decretato il successo dello degli Spritz) sta progressivamente guadagnando terreno, puntando a un coinvolgimento sempre maggiore, godendo della sua connaturata versatilità capace di portare novità e divertimento nell’esperienza di consumo, configurandosi come un “lusso” accessibile. Questo fenomeno ha innescato anche l’ascesa dei ready to drink (Rtd), ossia dei cocktail premiscelati pronti da consumare, versandoli in un bicchiere con ghiaccio. Ciò ha fatto entrare la miscelazione anche nell’ambiente domestico. Inoltre, ha permesso di servire discreti aperitivi ai clienti di quei bar e ristoranti privi della figura di bartender. Di conseguenza, per i cocktail premiscelati si prevede una crescita dei consumi del 12% entro il 2027. In questo contesto, negli ultimi tempi si è aggiunta la categoria delle bevande low e no alcohol, da vino e birra, che continuano a conquistare mercato, consolidando un trend che le sta facendo uscire dalla loro nicchia iniziale. Uno studio condotto dalla Iwsr (International Wine & Spirits Research) Drinks Market Analysis, su 10 tra i principali mercati del mondo (Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Giappone, Sudafrica, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti), ha evidenziato che sotto la spinta crescente della domanda, la categoria delle bevande low e no alcohol ha raggiunto un giro d’affari di 12 miliardi di dollari, con una crescita aggregata del 5% all’anno tra il 2018 ed il 2022, e una tasso di aumento previsto di un ulteriore +7%, fino al 2026. Sono previsioni che mostrano quanto sia insensato restare fuori dal mercato delle bevande low e no alcohol.

La crisi del vino in cifre
Dov’è finito il vino? Dalle nuove generazioni il vino è prevalentemente inteso come occasionale bevanda di ricreazione, restando invece importante protagonista solamente nelle occasioni speciali, dove trovano spazio i vini premium (i cui consumi non casualmente sono in aumento), che rappresentano un minuscolo 0,5% dell’intera produzione vinicola. A ciò va aggiunto che prendere una bottiglia di vino al ristorante può voler dire spendere il 500% in più sul prezzo di produzione. Questi ricarichi eccessivi nelle carte dei ristoranti, assolutamente ingiustificati, riducono i consumi e rischiano di tagliare fuori una fetta di pubblico. Siamo di fronte al paradosso che la voce “vino” è diventata così sproporzionata nel totale del pasto consumato, da assumere la connotazione di bene di lusso. Va inoltre sottolineato che i mutamenti climatici incidono non poco sulle modalità di consumo dei vini. Come si può bere, ad esempio, un vino di 15-16 gradi alcolici, quando per mesi e mesi veniamo afflitti da temperature che oscillano tra i 35 e i 40°C?.

In Italia scendono i consumatori quotidiani, salgono quelli saltuari
I consumatori quotidiani risultano ormai una minoranza: il 41% del totale, contro il 55% che rappresentavano nel 2008. In tutte le fasce d’età si constata una flessione dei consumatori abituali, con picchi negativi per la classe 35-44 anni (-50%) e per quella 25-34 anni (-38%). Al contrario sono aumentati i consumatori saltuari in tutti i cluster d’età (a eccezione dei 35-44enni), con picchi di +85% nella fascia 55-64 anni e +70% in quella dei più anziani.

L’ascesa degli aperitivi
In crescita è il segmento degli aperitivi alcolici, giunto a contare quasi 22 milioni di consumatori (+41% negli ultimi 15 anni), grazie in particolare proprio al boom al femminile dei consumi fuori casa (+79%). Si tratta di abitudini ormai non più appannaggio solo dei giovani della cosiddetta Generazione Z (fino a 26 anni) e dei Millennial (27-42 anni); in crescita anche la fascia dei 45-54enni.

La produzione di vino nel mondo
Complessivamente, nel 2023, il totale di 221 milioni di ettolitri di vino consumati nel mondo indica, secondo le stime dell’Oiv, una discesa ulteriore del 2,6%, ovvero il peggiore dato dal 1996.

I paesi grandi consumatori: chi sale e chi scende
Considerando i vari mercati, gli Stati Uniti restano il primo e più importante sul fronte dei consumi (33,3 milioni di ettolitri con -3%), seguiti da Francia (primo in Europa, con 24,4 milioni di ettolitri e -2,4%) e da Italia (21,8 milioni di ettolitri con -2,5%) . Tutti in calo, quindi, come la Germania (-1,6%) e il Regno Unito (mercato extra Ue a 12,8 milioni di ettolitri con -2,9%), rispettivamente a quota 19 milioni di ettolitri e 12,8 milioni di ettolitri. Tra gli altri Paesi in classifica, si attestano la Spagna ( con una lieve crescita del +1,7%) e la Russia (che ritorna ai livelli pre-pandemia con un +3% a 8,6 milioni di ettolitri), mentre un vero crollo ha investito il mercato cinese (-25%).

Primeggiano i vini bianchi e il Prosecco
La domanda e l’offerta di vino bianco (più leggero e fresco dei rossi) a livello mondiale sono cresciute dal 2000. La produzione di vino bianco è aumentata del 13% nel 2021 rispetto al livello più basso registrato nel 2002, e a partire dal 2013 ha superato la produzione di vino rosso. All’inizio del 3° millennio, il vino bianco rappresentava in media il 46% del totale mondiale, mentre negli ultimi anni la percentuale è salita al 49%. A trascinare questo aumento è stato il boom del vino spumante, Prosecco in primis. Il declino del vino rosso va attribuito al fatto che in questa categoria troviamo prodotti molto strutturati, fortemente alcolici (anche di 16 gradi, come l’Amarone, che nelle esportazioni del 2023 segna un -12%), i quali non incontrano più i favori conosciuti negli ultimi lustri. In questo contesto si deve constatare come lo spumante Prosecco, irriso da non pochi in passato, è invece il vino che ben si adatta ai gusti del nostro tempo, per le sue caratteristiche di effervescenza, relativamente bassa gradazione alcolica, freschezza; un vino adatto a essere stappato in occasionali momenti di festa da consumatori fin dall’infanzia cresciuti al gusto di bevande gasate (Coca Cola e simili). Si spiega così perché il Prosecco risulta essere la denominazione più consumata al mondo, con i suoi 736 milioni di bottiglie vendute nel 2023. Questa evoluzione dei consumi del vino rende sensato l’avvio di una ponderata politica di estirpazione dei vigneti finiti fuori mercato.

Cosa fare?
Abbiamo visto come la filiera vitivinicola mondiale stia attraversando un momento non facile, sia a causa della crisi climatica, sia per la richiesta di vini leggeri, che per la concorrenza di nuove bevande. Il climate change costringerà le aziende vitivinicole ad adottare pratiche innovative, con una forte attenzione alla sostenibilità, che attualmente per due terzi dei più rilevanti mercati del vino è percepita come un valore importante.Introdurre cambiamenti nei vigneti
I nuovi gusti dei consumatori richiedono di orientare la produzione verso vini naturalmente leggeri. L’Italia ha vitigni, non adeguatamente valorizzati o in passato abbandonati, che ora possono rispondere al gusto dei non pochi consumatori che vanno alla ricerca di un vino quotidiano con basso tenore alcolico, conservando al tempo stesso identità e carattere propri di un vero vino. Imboccare questa strada richiede importanti investimenti, per sviluppare vigneti e cantine sulla base di un’ adeguata conoscenza. L’altro problema dei viticoltori è come reagire all’aumento delle temperature medie che hanno l’effetto di incrementare gli zuccheri nelle uve, con la conseguenza di aumentare il contenuto alcolico dei vini, cioè proprio quello che il mercato non desidera. Inoltre, il calore influenza negativamente anche quelle note aromatiche, che si percepiscono quando si degusta un vino. Contemporaneamente è necessario affrontare le conseguenze della siccità sui vigneti. Vediamo come.
Aridocoltura. Le attuali condizioni climatiche spingono a riscoprire i precetti dell’aridocoltura, che richiede coltivazioni a bassa densità, cioè piantare “rado” (riducendo il numero di viti per ettaro), per contenere i consumi idrici. Invece, all’opposto, gran parte della viticoltura italiana, negli anni, ha fatto proprio l’approccio francese all’infittimento dei vigneti, in non pochi casi anche stoltamente esasperato. Qui, le soluzioni andrebbero ricercate anche nella scelta di portainnesti più efficienti nell’assorbimento idrico, in sintonia con i principi dello sviluppo sostenibile. In aggiunta, quando possibile, vanno adottate strategie irrigue di precisione che acconsentono di non sprecare neanche una goccia d’acqua;
Schermatura. Le foglie della vite costituiscono uno schermo naturale dei grappoli, riducendone la temperatura, evitando il rischio della mancata sintesi o degenerazione dei polifenoli. Ho sentito più di un viticoltore anziano rimpiangere le forme di allevamento a pergola: tendone, bellussera ecc.;
Salire di quota. In Trentino, in Valpolicella, nelle Langhe ci sono interessanti esempi di viticoltori che hanno spostato i vigneti a quote superiori, per avere temperature più basse. È un approccio da implementare con cautela per evitare di compromettere ambienti naturali di pregio e spesso fragili.
Sono queste alcune indicazioni atte a contrastare l’impatto del climate change, che richiede cambiamenti nella scelta varietale e/o di tecnica colturale. Tuttavia, non si può che concordare con Gregory V. Jones quando scriveva che “con ogni probabilità, la sfida più ardua in termini di adattamento sarà come i viticoltori risponderanno “culturalmente” ai cambiamenti di “identità” di un certo territorio, imposti da mutamenti della piattaforma ampelografica o dello stile dei vini”.

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