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“IN VINO VERITAS”: UN MONSIGNORE E UN RABBINO PARLANO DEL NETTARE DI BACCO NEL LIBRO “RELIGIONI, GLOBALIZZAZIONE E CULTURE DEL VINO” DI MAURO MARANESI

Elemento simbolico, liturgico e sacrale, il vino ha da sempre assunto nell’area del bacino del Mediterraneo una forte valenza culturale ed economica ed ora forse una nuova forma di dialogo interreligioso. Secondo Mauro Maranesi, esperto di settore e autore del volume “Religioni, globalizzazione e culture del vino” (Clueb) “la scelta deriva dal fatto che il ruolo simbolico della vite e del vino è molto importante nelle religioni monoteiste”. Proprio questo ruolo, aggiunge, “può essere esteso anche alle altre culture in cui è presente il vino e la vite per andare così a comprendere somiglianze e differenze”. Il vino, in sostanza, è come un albero da cui sono germogliati diversi rami: “nella religione cristiana - dice Monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura - il suo simbolismo è duplice. Il primo attinge proprio all’Antico Testamento ed è comune, dunque, con la tradizione ebraica”.

Qui il vino, simbolo per eccellenza di gioia e di festa “é molto importante - conferma il Rabbino Pino Arbib della Comunità ebraica di Roma - basti ricordare che tutte le consacrazioni vengono fatte attraverso il vino, dal matrimonio, allo shabbat, a tutte le feste e in ogni occasione lieta si raccomanda di bere vino”. Tuttavia, se usato in maniera eccessiva, il vino può essere causa di negatività: “nella Torà - aggiune Arbib - ci sono raccontati alcuni casi in tal senso e nel Talmud è scritto “entra yain”, vino, ed esce “sod”, segreto, generalmente tradotto “in vino veritas”, per insegnarci che questo può causare uno stato di euforia incontrollabile che porta a dire o a fare cose istintive. Tutto dipende dall’uso che se ne fa”. Anche il mondo cristiano eredita questa visione, ma l’arricchisce poi con il simbolo del calice eucaristico.

”Cristo - afferma Monsignor Ravasi - affida attraverso il vino la rappresentazione del suo sangue. Il vino e il pane sono dunque i due grandi segni cristiani del Cristo stesso ed è importante notare come siano due elementi propri della quotidianità. Il vino dunque, per la passione con cui è fatto, per la storia, ma anche per la semplicità, può essere visto come segno per eccellenza di convivialità, di fratellanza”. Anche per il Rabbino Arbib il vino può essere un mezzo comune per unire e avvicinare tutte le culture del Mediterraneo, fatte salve, però, le specifiche prescrizioni religiose dei diversi popoli. “Credo che, anche se un dialogo interreligioso e interculturale dovrebbe basarsi sul confronto delle idee e lo studio dei Testi Sacri, la tavola favorisca il dialogo e il confronto tra culture diverse, trovando elementi comuni tra tutti gli uomini e argomenti che permettono di instaurare un rapporto personale tra i commensali, lontano da interessi e giochi politici”.

Proprio la tavola, per la sua dimensione paritaria, dovrebbe, secondo Ravasi, “rappresentare l’incontro tra comunità. Pane e vino possono diventare allora simbolo universale della necessità di superare il problema delle risorse, della disparità d’accesso, della fame nel mondo”.

La riscoperta delle radici e delle molteplici valenze potrebbe essere anche un punto di forza economico e promozionale: “Il mercato vitivinicolo mondiale - sottolinea Maranesi - è oggi soggetto a profondi cambiamenti. Nuovi competitor con culture vitivinicole si stanno affacciando sul mercato con strategie aggressive. La globalizzazione spinge verso una omologazione del gusto e l’utilizzo di pochi vitigni, ma al contempo rende più impellente l’opposto: riscoprire il patrimonio ampelografico locale, immettendo sul mercato vini prodotti da vitigni autoctoni”.

Ed è qui che la cultura millenaria potrebbe correre in soccorso: per l’Italia, secondo Ravasi, “il vino potrebbe essere un modo per ritrovare la propria identità e cultura materiale”; per l’ebraismo, invece, un modo per essere scoperto.

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