Fattori ambientali come fumo, condizioni di vita e status socio-economico sono determinanti per la longevità, superando di gran lunga l’influenza genetica. La risposta, quindi, non è nei geni ma nell’ambiente. Questo significa che strategie di prevenzione basate sull’ambiente e sugli stili di vita potrebbero avere un impatto molto più significativo sulla salute pubblica rispetto a interventi focalizzati esclusivamente sulla genetica. A dirlo è lo studio “Integrating the environmental and genetic architectures of aging and mortality” - (“Integrazione delle architetture ambientali e genetiche dell’invecchiamento e della mortalità”), pubblicato sulla rivista specializzata “Nature Medicine”, condotto da Uk BioBank su 492.567 partecipanti tramite questionari, dati sanitari e tassi di mortalità, e guidato da M. Austin Argentieri, ricercatore di genetica all’Università di Oxford ed al Broad Institute. In particolare, gli esperti della ricerca evidenziano l’importanza dell’esposoma, cioè l’insieme delle esposizioni ambientali affrontate nel corso della vita, come le condizioni di vita, l’inquinamento, l’alimentazione e il fumo. Secondo lo studio, questi fattori influenzano non solo la salute generale, ma anche il processo di invecchiamento e lo sviluppo di malattie croniche.
Analizzando 164 fattori ambientali, tra cui dieta, relazioni sociali e condizioni abitative, lo studio ha individuato quelli maggiormente legati al rischio di morte precoce. Dopo aver escluso fattori associati a malattie preesistenti o elementi confondenti, i ricercatori hanno identificato 85 esposizioni ambientali correlate direttamente alla mortalità precoce. Un ulteriore approfondimento ha esaminato l’effetto di questi fattori sul processo di invecchiamento biologico, utilizzando biomarcatori presenti nel sangue. Ben 25 di queste esposizioni accelerano l’invecchiamento e aumentano il rischio di malattie croniche.
Tra i fattori ambientali più significativi emersi dallo studio si trovano il fumo materno durante la gravidanza, la statura infantile, lo stato occupazionale e il reddito familiare. Il consumo di alcol e alcuni aspetti della dieta non sono risultati tra i principali elementi di rischio, probabilmente a causa della difficoltà di misurare con precisione tali abitudini attraverso i questionari. Inoltre, lo studio ha messo in evidenza che fattori come il livello di istruzione, il tipo di abitazione e la quantità e qualità del sonno giocano un ruolo cruciale nella determinazione della salute a lungo termine. Ad esempio, lo studio afferma che le persone che vivono in alloggi popolari o in condizioni di forte deprivazione economica hanno un rischio maggiore di sviluppare malattie croniche e una minore aspettativa di vita.
I ricercatori hanno inoltre sottolineato che 23 di queste 25 esposizioni sono modificabili, il che significa che intervenire su di esse potrebbe migliorare la salute generale e ridurre il rischio di morte precoce. In conclusione, lo studio afferma che tra gli interventi più efficaci suggeriti dagli esperti figurano politiche per ridurre l’inquinamento atmosferico, programmi di supporto per migliorare le condizioni socio-economiche e iniziative per promuovere uno stile di vita sano, come l’incremento dell’attività fisica e la riduzione dell’esposizione a fattori di stress cronico. È quindi necessario investire in politiche sanitarie che tengano conto dell’esposoma, contribuendo così a migliorare la longevità e la qualità della vita della popolazione, riducendo le disuguaglianze sanitarie e promuovendo ambienti più salubri.
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