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A ERICE, DA DOMANI AL 1 MAGGIO

Isola plurale e continente enoico, la complessità della Sicilia si svela nelle nuove annate dei vini

“Sicilia en primeur” - Sempre più “brand”, il vino siciliano guarda al futuro: tra viticoltura sostenibile e custodia nel tempo della biodiversità

“Vero è che le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava. Vi è una Sicilia “babba”, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio”. Sono le parole di Gesualdo Bufalino, ad accompagnarci in un nuovo viaggio in Sicilia, da domani al 2 maggio, per “Sicilia en Primeur 2022”, ad Erice, con la solita perfetta regia di Assovini Sicilia, dove tutta la complessità di quest’“isola al plurale”, come la descriveva lo scrittore siciliano “Premio Strega”, e vero e proprio “continente enoico”, come da sempre la racconta WineNews, si svela al mondo nelle nuove annate dei suoi grandi vini.
“Una, nessuna, centomila”, parafrasando Luigi Pirandello, la Sicilia è un’isola tra le isole, dalle Eolie alle Egadi, da Pantelleria a Mozia, dove la vite si coltiva da millenni, e dalla quale il mare si vede ovunque e “bagna” anche i vigneti, oltre le coste rocciose e quelle sabbiose, quasi africane. Ma dall’Etna, oggi tra i territori del vino italiano sulla cresta dell’onda, a Stromboli e Vulcano, è anche l’isola dei vulcani, “luce di cenere” come la chiamava Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in un’espressione che evoca i quadri di Antonello da Messina. E che sono il simbolo di una natura ancestrale a volte rigogliosa a volte austera, ma ricca di riserve e parchi naturali protetti costellati di templi e teatri antichi, tra le meraviglie, con duomi e cattedrali barocche, di una Regione assolutamente immutabile, come la definiva Giovanni Verga, e che con 111 siti culturali rappresenta il 26% del patrimonio culturale italiano e molto anche di quello dell’Umanità per l’Unesco.
Una Regione che non sarebbe quello che è anche senza le sue contraddizioni ed i suoi “mali”, raccontate in uno spettacolo di pupi e nei capolavori della letteratura ma anche del cinema, e che sono il frutto di una stratificazione storica e culturale, che va dalla Magna Grecia all’abusivismo edilizio. Ma che appare in bella mostra anche nei mercati colorati e rumorosi come in un quadro di Renato Guttuso, trionfo di materie prime naturali e di qualità, che dal campo arrivano direttamente sulla tavola, e che sono l’eredità dei tanti popoli di cui la Sicilia è stata crocevia tra Europa, Africa e Medio Oriente, e che si sono succeduti nella sua lunga storia di dominazioni. Un “mosaico” di cultura, natura e sapori che si assaporano nelle ricette tramandate nei secoli nelle famiglie in cui le vecchie e le nuove generazioni fanno ancora le cose insieme, e da un popolo aperto ospitale, sempre pronto a far festa, a riunirsi in comunità e a condividere, ma anche abituato a lavorare sodo, a lottare e sacrificarsi, e che guardando al suo passato vede sempre il suo futuro.
Merito anche dell’incrocio dei climi, dal mediterraneo a quello di montagna, che rende l’isola perfetta per viverci tutto l’anno, nel feudo antico come nel resort più moderno, così come per coltivare la vite in ogni angolo, da Marsala a Trapani, da Alcamo a Palermo, da Menfi a Sciacca, da Agrigento a Vittoria, da Ragusa a Siracusa, da Vittoria a Noto, dall’isola di Pantelleria al vulcano Etna, passando per le Eolie. Oltre 70 varietà di vitigni autoctoni - dal Nero d’Avola al Nerello Mascalese, dal Frappato al Catarratto, dal Grillo all’Inzolia, dallo Zibibbo al Moscato, dal Carricante alla Malvasia - che, accanto a quelli internazionali, ne fanno un “continente enoico” custode di una tradizione vinicola millenaria che, introdotta dai Fenici nei secoli a. C., è tra le più antiche al mondo, ma con una continua voglia di innovare. Grazie alle sue tante Doc - dalla Doc Sicilia all’Etna Doc, da quelle di Marsala e Menfi a quella di Monreale, da Alcamo a Contea di Sclafani, da Contessa Entellina ad Erice, da Faro al Mamertino di Milazzo, dai Moscati di Noto e Siracusa al Salaparuta Doc, da quelle di Sambuca e Santa Margherita del Belice a quelle di Sciacca e Vittoria, dalla Malvasia delle Eolie al Passito di Pantelleria, accanto all’unica Docg, il Cerasuolo di Vittoria, e senza dimenticare Igt come Salina e Terre Siciliane, e non solo - il vigneto siciliano è il più grande d’Italia (e il primo per superficie biologica, il 30% del totale italiano): quasi 100.000 ettari dove le aziende “pioniere” e consolidate che hanno fatto da apripista sui mercati e quelle più piccole ed emergenti ma di assoluta eccellenza, collaborano in un “laboratorio” di soggetti privati e pubblici, studiosi ed importanti università, in cui si riscoprono antichi vitigni e si fanno rinascere con successo interi territori. Il risultato è una biodiversità nel calice che accanto alla sostenibilità ne fa una Regione capofila in Italia anche nel promuoverle.
Una contaminazione magica ed eclettica come in una canzone di Franco Battiato, e che fa della Sicilia una metafora del mondo secondo Leonardo Sciascia, ma che, diceva Andrea Camilleri, solo un siciliano può capire. O può aiutarci a capire, magari di fronte ad un calice di vino.

Focus - Sostenibile per natura e dell’anima molteplice, il vino siciliano è sempre più un brand dalla forte identità. Il futuro? Custodire nel tempo la biodiversità del “Vigneto Sicilia”
Il 74,8% degli appassionati conosce il vino siciliano, e la percentuale sale al 79,4% tra i giovani di età compresa tra 24 e 29 anni, e, guardando al consumo, tra coloro che lo conoscono, l’83% lo beve anche, confermando la Sicilia tra i territori del vino più amati e famosi, in grado di rappresentare l’Italia nel mondo. Perché il vino siciliano è sempre più capace di emergere come un “brand” dalla forte identità, ambasciatore, allo stesso tempo, dell’anima eterogenea del viticoltura dell’isola, anche con tutti i suoi contrasti, e “sostenibile per natura”. Tanto che la comparazione con altri territori italiani, vede il vino siciliano posizionato tra i segmenti di consumatori più protesi all’innovazione e alla modernità, a differenza di vini di aree a maggior diffusione che hanno un posizionamento più tradizionale. A dirlo è “Immagine, percepito e prospettive del Doc Sicilia in Italia”, una recente analisi di Gpf Inspiring Research per il Consorzio Vini Doc Sicilia, sul percepito d’immagine, di brand e del vissuto dei vini Sicilia Doc, su un campione nazionale di consumatori regolari, con orizzonti rivolti al 2030, che li vedono sempre più attenti, selettivi, orientati alla piacevolezza e all’innovazione. E se rispetto al passato il “brand Doc Sicilia” ha acquisito la percezione di maggior garanzia e sicurezza, più affidabilità, lo scenario futuro lo vedrà predisporsi sempre più incline a un mercato internazionale.
“Back to the roots, la Sicilia che vive il futuro”, in un messaggio pioniere e attuale di futuribilità della vitivinicoltura dell’isola, dal “Rinascimento” del vino siciliano ad oggi, che guarda al cambiamento climatico e alla sostenibilità della produzione di vino, è il tema del convegno (30 aprile, con gli interventi, tra gli altri, di Antonio Zoccoli, presidente Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, e del professore Marco Moriondo dell’Istituto di Bioeconomia del Cnr di Firenze) di “Sicilia en Primeur” n. 18, che è tornata in presenza ad Erice, accogliendo sull’isola opinion leader italiani e internazionali nell’Anteprima di oltre 500 vini, grazie ad Assovini Sicilia (con gli enotur ancora in questi giorni sul territorio). “La capacità dei produttori e del territorio siciliano di adattarsi negli anni a determinate condizioni estreme, dalla scarsità idrica alle elevate temperature, hanno permesso di acquisire un know how che oggi è alla base di un modello siciliano di vitivinicoltura sostenibile, oltre che la chiave del successo - sottolinea il presidente Laurent Bernard de la Gatinais ed a capo della Tenuta Rapitalà - a giocare un ruolo fondamentale nel futuro sono le variabili come la biodiversità, le buone pratiche tradizionali, le tecniche agronomiche attuali e sostenibili, e le varietà autoctone. Tutti elementi che insieme alla ricerca, lo studio, le sperimentazioni, la qualità della produzione, fanno della Sicilia un laboratorio vitivinicolo unico e una guida nella gestione sostenibile dei cambiamenti climatici”.
Un futuro al quale la Sicilia del vino guarda forte di case history di successo sui mercati nazionali e internazionali come il Grillo che si distingue tra le oltre 70 varietà autoctone della Regione per aver conosciuto la maggiore crescita negli ultimi anni, in virtù di caratteristiche qualitative e di versatilità uniche. E per il quale il 2021 è stata un’ottima annata, in qualità e quantità, con la vendemmia 2021 che ha prodotto 20.941.260 milioni di bottiglie (+25% sul 2020). Ma tra i vini che hanno contribuito a far conoscere la Sicilia nel mondo c’è soprattutto il Nero d’Avola, il vitigno a bacca nera più importante della Sicilia (oltre 14.700 ettari di superficie vitata), e la cui annata 2020, considerata ottima, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, ha prodotto 50 milioni di bottiglie, stabili anche nel 2021. “Felici di tornare finalmente in presenza nella nostra isola tutti trovano nel calice una Sicilia più green, grazie al lavoro incessante dei produttori - dice, a WineNews, dal suo osservatorio, Alessio Planeta, alla guida di Planeta, una delle cantine che ha segnato la rinascita della Sicilia del vino (come non ricordare Diego Planeta e la sua forte azione, con i migliori consulenti, enologi, agronomi e ricercatori, su tutti Giacomo Tachis, uno dei maestri della moderna enologia italiana, ndr) - tra i territori, continua il momento di grazia per l’Etna che è sempre più importante, ma con i riflettori che, nei prossimi anni, si accenderanno su tante altre realtà che stanno emergendo come il Sud-Est della Sicilia. Una Sicilia del vino in buone condizioni di mercato, a partire dagli Usa e dall’Asia, fatta eccezione in questo momento per la Cina, ma anche in mercati classici come Germania e Uk e con un bel ritorno anche sul mercato interno, grazie alla congiuntura positiva per il vino italiano in generale e ad un momento particolarmente brillante per il turismo siciliano”.
Nel futuro del vino siciliano ci sono proprio la volontà di custodire nel tempo il “Vigneto Sicilia”, produrre viti siciliane dotate di certificazione che ne attesti l’integrità sanitaria e l’identità varietale, e dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani, con il progetto “Valorizzazione del germoplasma viticolo” promosso e sostenuto dal Consorzio della Doc Sicilia (che vale più di 96 milioni di bottiglie prodotte nel 2021, negli oltre 26.000 ettari della Denominazione, ndr), in partnership con il Dipartimento regionale dell’Agricoltura della Regione Siciliana, l’Università degli Studi di Palermo e il Centro regionale per la conservazione della biodiversità viticola ed agraria “F. Paulsen”. Obbiettivo, conservare la biodiversità generata dai 3.000 anni di viticoltura nell’isola e le sue varietà autoctone e di intervenire a monte della filiera vitivinicola, dotando i vivaisti di materiale di base da cui ottenere un prodotto certificato da vendere alle aziende. Lavorando con viti di cui è certa l’identità varietale el’integrità sanitaria, è possibile dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani. Grazie al progetto è in corso la verifica fitopatologica dei campi di piante iniziali esistenti e la ricostituzione di nuovi campi con materiali virus esenti, da cui ottenere il materiale di propagazione per la produzione di barbatelle innestate e certificate.
“La missione del Consorzio Doc Sicilia è rafforzare l’identità dei vini siciliani, migliorandone la qualità, l’immagine e il posizionamento sul mercato - spiega il presidente Antonio Rallo, alla guida del Consorzio e di Donnafugata, uno dei marchi del vino siciliani più famosi (inventato dal padre Giaocmo Rallo, un altro nome tutelare della Sicilia del Vino, ndr) - il progetto a sostegno del “Vigneto Sicilia” diventa quindi per noi centrale per lo sviluppo dell’enologia siciliana. Ogni giorno lavoriamo per comunicare al meglio il sistema “Sicilia Doc” come produttore di eccellenza dei vini contemporanei, a fianco dei nostri produttori e delle nostre aziende così che possano essere sempre più competitive sui mercati di riferimento”.
Promuovere lo sviluppo sostenibile nel settore vitivinicolo siciliano e facilitare la condivisione di buone pratiche per garantire il rispetto dell’ecosistema, sono gli obiettivi della Fondazione SOStain Sicilia, creata insieme da Assovini e Consorzio Doc Sicilia per promuovere la sostenibilità del vino siciliano, oltre la semplice certificazione (e che ha, da poco, lanciato anche il progetto “100% Made in Sicily”, portato avanti da OI per la produzione di una bottiglia leggera, in grado di abbattere le emissioni di CO2 derivanti dal trasporto del vetro, e prodotto interamente in Sicilia con vetro riciclato proveniente dalla Regione). E soprattutto, il 2 maggio, a fare da autorevole corollario, sarà “Interazioni Sostenibili”, il Simposio n. 1 della Fondazione SOStain al Regio Teatro Santa Cecilia a Palermo, con tra gli altri, il presidente della Fondazione SOStain e produttore con uno dei marchi storici di Sicilia Tasca d’Almerita, Alberto Tasca, insieme ad Alessio Planeta, Arianna Occhipinti, Letizia Russo (Feudo Arancio - Mezzacorona) e Giuseppe Bursi (Settesoli), e ancora cantine come Donnafugata, Alessandro di Camporeale e Colomba Bianca, accademici come Ettore Capri, professore del Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari per una filiera agroalimentare sostenibile dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Attilio Scienza, professore dell’Università degli Studi di Milano, tra i massimi esperti di viticoltura al mondo, il professor Francesco Sottile dell’Università degli Studi di Palermo e il professor Carlo Alberto Pratesi del Dipartimento di Economia aziendale, Marketing, innovazione e sostenibilità e Monica Larner, firma dall’Italia per il prestigioso “Robert Parker - The Wine Advocate”.
“Al centro ci sarà un tema importante e attuale come la sostenibilità, che ha avuto delle accelerazioni negli ultimi anni, ma sul quale vorremo fare chiarezza, allontanandosi dal greenwashing per definirla come metodo di lavoro e conduzione aziendale e lo faremmo con interventi multidisciplinari su argomenti ambientali, economici e sociali - sottolinea, a WineNews, Alberto Tasca, che è il principale protagonista del lavoro della Fondazione SOStain - e spiegheremo perché si è deciso di fare un progetto Sicilia, che non vuole essere in competizione con altri, ma inclusivo di tutti i metodi e le tecniche sostenibili sviluppate nel mondo e nella comunità scientifica all’interno del disciplinare SOStain applicabili alle esigenze del nostro territorio e al “Sistema Sicilia”. Che, negli ultimi 30 anni, ha sempre agito per il bene comune, inteso come “patrimonio vino”, oggi a questo si aggiunge il “patrimonio territoriale”, per un miglioramento continuo che nasce seduti allo stesso tavolo”.

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