Di spaghetti, fusilli e maccheroni siamo i più grandi consumatori (con 25 kg pro capite all’anno), produttori e esportatori al mondo, eppure, sulla pasta e le sue materie prime si fa ancora tanta confusione, tra disinformazione e falsi miti, su cui fa chiarezza il Dossier di Aidepi - Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane (www.aidepi.it), realizzato con il supporto di esperti di agronomia, nutrizione e pastificazione, che racconta agli italiani come stanno realmente le cose su pasta e grano duro. Innanzitutto, qualche dato: siamo, come detto, il primo produttore europeo di grano duro, ma i 4 milioni di tonnellate prodotti nel 2015, tutti acquistati dall’industria italiana, non coprono il fabbisogno dei nostri pastai, di 5,8 milioni di tonnellate, per una produzione complessiva, nel 2015, di 3,46 milioni di tonnellate di pasta. Del resto, il mito del nostro più celebre piatto nazionale poggia, dalla seconda metà dell’Ottocento, sul grano duro di alta qualità proveniente dall’estero: ieri dalla Russia, oggi, da Canada, Francia, Australia e Usa.
Di diverso c’è che un secolo fa il peso dell’import era del 70% sul totale, mentre oggi la percentuale è scesa al 30-40%, e al di là dei proclami, sfociati nell’eclatante protesta al porto di Bari di qualche settimana fa, non c’è alcuna evidenza che il grano che arriva dall’estero sia meno sicuro di quello prodotto in Italia. Inoltre, la superficie agricola dedicata al grano duro in Italia è rimasta praticamente la stessa da decenni (erano 1,2 milioni di ettari nel 1930, saliti a 1,3 milioni di ettari nel 2015), ma la produttività è aumentata sensibilmente: la produzione di pasta è aumentata di 6 volte negli ultimi 80 anni, nonostante le importazioni siano scese, in media, dai 2,5 milioni di tonnellate di fine ‘800 ai 2 milioni di tonnellate degli ultimi anni, e l’export, tra il 1955 ed il 2015, è passato dal 5% al 58% della produzione totale. Ed ancora, sempre più italiani (il 30%) pensano che una dieta senza glutine, e quindi senza pane e pasta, faccia dimagrire, 1 su 10 che sia più salutare. Ma eliminando il glutine si apportano più grassi nella dieta. E gli esperti sconsigliano di eliminare pane e pasta a meno di essere celiaco. “Abbiamo voluto fare chiarezza su alcuni argomenti controversi legati a grano duro e pasta - spiega Riccardo Felicetti, presidente dei pastai di Aidepi - perché la disinformazione non aiuta il consumatore a fare scelte consapevoli. Non bisogna perdere di vista il fatto che la pasta è la base della dieta mediterranea ed è un prodotto sano, gustoso e sicuro, sulla cui qualità garantiscono le aziende che la producono da secoli, trasmettendo il sapere del pastaio di padre in figlio”.
Focus - Senza grano estero, via dalla tavola 3 piatti di pasta su 10
Il nostro ruolo di leader mondiali del mercato della pasta ci ha posto, da sempre, tra i Paesi con maggiore fabbisogno di grano duro: attualmente, utilizziamo 5,8 milioni di tonnellate annui, 1/6 della produzione mondiale. Per raggiungere questa quantità mancano alla produzione nazionale circa 2 milioni di tonnellate di materia prima l’anno. Se venisse prodotta pasta di solo grano nazionale, gli italiani dovrebbero rinunciare a 3 piatti di pasta su 10 e perderemmo il primato di leader mondiale di produzione ed esportazione di pasta, con danni enormi al settore e agli altri comparti trainati dall’export di pasta, come olio, formaggio e pomodoro.
Focus - Oggi dipendiamo dall’estero meno di 100 anni fa, ma produciamo ed esportiamo sempre più pasta
Le navi cariche di grano che sbarcano in Italia non sono affatto una novità. Anzi, il mito della pasta italiana, anche quella di Torre Annunziata e di Gragnano, si è costruito anche grazie ai grani di altissima qualità russi e canadesi. L’attuale deficit strutturale di grano (circa il 30-40% a seconda dall’andamento climatico) è la metà rispetto al 70% registrato a fine Ottocento. Già allora, nei porti di Napoli, Genova e Bari arrivava un grano la cui provenienza era quasi sempre la stessa: per il 90%, dal Mar Nero, le cui varietà erano tra le più pregiate e costose disponibili sul mercato. Da allora, l’entità delle importazioni è rimasta stabile attorno ai 2-2,5 milioni di tonnellate di grano duro l’anno: in Italia la superficie dedicata a grano duro è rimasta più o meno la stessa, ma le rese sono almeno triplicate (da meno di 1 tonnellata a 3-4 per ettaro) e allo stesso tempo è cresciuto di molto il fabbisogno. Tanto che la produzione di pasta (3,46 milioni di tonnellate nel 2015, secondo Aidepi) è aumentata di 6 volte negli ultimi 80 anni. E l’export di pasta è passato in 60 anni dal 5% al 58% del totale produzione (1955-2015).
Focus - Da dove arriva il grano estero, che spesso costa il 10-15% in più di quello nazionale?
Il principale fornitore di grano duro è l’Italia, da dove i pastai acquistano il 60-70% del fabbisogno (in pratica, tutto il grano duro nazionale, mantenendo di fatto in vita la filiera), l’origine del restante 30-40% varia in funzione della stagione e della qualità dei raccolti. I grani duri esteri più pregiati possono arrivare a costare anche il 10%-15% in più di quelli nazionali, perché solo i migliori frumenti disponibili sul mercato permettono di realizzare la giusta “miscela”, che è il segreto della nostra pasta. Alla materia prima nazionale vengono perciò aggiunti, in media, 1,8 milioni di tonnellate di grani di altissima qualità e grano di grado 3-4 “or better” (cioè tra il fino ed il buono mercantile) provenienti da Usa, Canada, Australia e Francia.
Focus - Sicurezza: italiano o straniero, i controlli sul grano duro non cambiano
Straniero o italiano che sia, il grano è sottoposto agli stessi, rigidi controlli da molte istituzioni pubbliche e dalle industrie molitorie e pastarie, prima di immetterlo nel ciclo produttivo. Ad esempio, secondo il rapporto dell’Arpa Puglia di Bari sulla presenza di micotossine negli alimenti tra il 2011 e il 2014, il grano entrato nel porto di Bari negli ultimi quattro anni non ha mai superato i limiti di legge. “Non esiste alcuna evidenza che i grani esteri siano risultati più spesso positivi ai controlli di quelli nazionali - spiega Emilio Ferrari, vicepresidente Unione Semolieri Europei - e che solo loro contengano micotossine. La soluzione per sostenere il grano duro italiano non è bloccare l’importazione, ma migliorare la produzione nazionale in collaborazione con tutta la filiera, dai genetisti agli agricoltori, agli industriali, col supporto degli enti pubblici”.
Focus - Grani antichi e moderni: nella pasta c’è posto per entrambi
L’industria pastaia italiana utilizza sia grani antichi che moderni, offrendo al consumatore la possibilità di scegliere la pasta in base ai suoi gusti e alle proprie convinzioni. Eppure il crescente interesse verso i grani antichi, ottimi per la salvaguardia della biodiversità e per linee produttive dedicate ad una nicchia attenta di consumatori, ha alimentato una contrapposizione del tutto priva di senso, perché da sempre la storia del grano è fatta di convivenza e commistione tra specie precedenti e nuove varietà. Tanto più che i grani moderni, grazie alla loro elevata produttività (oggi 3-4 tonnellate per ettaro contro meno di 1 tonnellata dell’Ottocento), hanno fatto diminuire in percentuale l’importazione dall’estero salvando la competitività del Granaio Italia, nonostante la strutturale carenza di superfici coltivate (rimasta pressoché invariata negli ultimi 115 anni a circa 1,2-1,3 milioni di ettari).
Focus - Grani moderni, glutine e celiachia, c’è del vero? La scienza dice no
Una tesi suggestiva, ma mai dimostrata scientificamente, collega l’aumento di celiachia (e disturbi ad essa correlati) al troppo glutine presente nei grani moderni. In realtà diverse ricerche dimostrano che non è vero che i grani di oggi hanno più glutine di quelli di ieri, evidenziando il ruolo di fattori ambientali e non genetici (la zona di coltivazione, l’uso di fertilizzanti azotati, il clima freddo o caldo dalla zona di coltivazione e, a parità di area produttiva, le variazioni meteoclimatiche stagionali) a determinare l’aumento della percentuale di glutine nel grano… e quindi nella pasta. Peraltro il glutine non andrebbe demonizzato, a meno di essere celiaci, ed anzi contribuisce alla qualità della pasta, trattenendo l’amido – e con esso le proprietà nutritive – e mantenendo la pasta al dente. In realtà consumare alimenti contenenti glutine non porta alla celiachia se non si è predisposti geneticamente. E anche la predisposizione genetica non attiva automaticamente la malattia.
Focus - 2 milioni di famiglie italiane acquistano prodotti gluten free: il mercato vale 101 milioni di euro
Oggi il gluten free è un fenomeno di grande portata anche tra i non celiaci e, da prodotti medicali, i cibi senza glutine si sono trasformati in scelta dettata dalle ultime tendenze “salutiste” in fatto di alimentazione. Secondo l’ultimo censimento del Ministero della Salute, che ha evidenziato i rischi di autodiagnosi ed eliminazione preventiva del glutine dalla dieta, in Italia sono circa 170.000 i celiaci diagnosticati eppure ben 2 milioni di famiglie acquistano prodotti senza glutine, per un mercato che muove 101 milioni di euro ed è cresciuto del +31% in un anno. “È preoccupante che la glutenfobia si sta diffondendo senza fondamento. Il glutine - spiega Luca Piretta, nutrizionista, specialista in gastroenterologia e docente presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma - è dannoso solo per i celiaci e gli ipersensibili, quindi l’1% della popolazione mondiale. Gli altri possono mangiarlo senza problemi”. Anche la Dichiarazione di Consenso scientifico “Healthy Pasta Meals” firmata a ottobre da 20 medici e nutrizionisti di tutto il mondo, afferma che se non si è affetti da un disturbo glutine-correlato correttamente diagnosticato non c’è alcun motivo di rinunciare alla pasta.
Focus - Glutenofobia: per 3 italiani su 10 il gluten free fa dimagrire. Per gli esperti è vero il contrario
Eppure, dati Doxa-Aidepi, 3 italiani su 10 pensano che una dieta senza glutine faccia dimagrire (e 1 su 10 che sia più salutare). Convinzione smentita dagli esperti, che sottolineano i rischi di una dieta gluten free in assenza di una patologia o allergia al glutine. Secondo Luca Piretta, “non esiste alcun fondamento scientifico sul ruolo di una dieta senza glutine nel calo ponderale. Anzi, nei cereali gluten free l’apporto calorico può essere addirittura superiore, dato che il glutine rappresenta una parte della componente proteica dei cereali che lo contengono. La quota proteica dei cereali contenenti glutine si aggira intorno al 10-12%, mentre è presente tra l’8 e il 10% nei cereali gluten free, che sono peraltro più ricchi di carboidrati (riso) o grassi (miglio e mais). Il rischio di una dieta senza glutine, inoltre, è di compensare l’adeguato e necessario apporto di carboidrati complessi con un’alimentazione eccessivamente ricca di grassi”.
Focus - La Dichiarazione di Consenso scientifico “Healthy Pasta Meal”
1 La ricerca scientifica sostiene sempre più l’importanza di una dieta completa, anziché il consumo di singoli alimenti.
2 La pasta è un componente chiave di molti modelli alimentari tradizionali, come la dieta mediterranea, la cui validità è scientificamente provata. La maggior parte dei modelli alimentari basati su alimenti di origine vegetale contribuisce a prevenire e a rallentare lo sviluppo di gravi malattie croniche, apportando maggiori benefici per la salute rispetto agli attuali modelli occidentali.
3 Molti studi clinici confermano che sono le calorie in eccesso, non i carboidrati, a causare l’obesità. Diete che promettono il calo ponderale possono demonizzare un’ampia gamma di grassi, proteine e carboidrati sani. Tuttavia tutti e tre questi macronutrienti sono necessari, nel giusto equilibrio, per conseguire una dieta personale sana che chiunque può seguire nel corso di tutta la propria vita. Inoltre diete molto povere di carboidrati possono non essere sane, soprattutto nel lungo periodo.
4 La pasta dà un maggiore senso di sazietà più a lungo. Se la porzione è corretta e il condimento non è troppo calorico, un piatto di pasta può avere un contenuto di calorie moderato.
5 In un’epoca in cui il diabete e l’obesità fanno la parte del leone in tutto il mondo, i piatti a base di pasta e altri alimenti a basso contenuto glicemico contribuiscono a tenere sotto controllo i livelli di glucosio nel sangue e il peso, soprattutto nelle persone sovrappeso. L’indice glicemico è un fattore che incide sulla salubrità dei cibi ricchi di carboidrati. Il modo in cui la pasta viene prodotta ha effetti benefici, in quanto il processo produttivo ne riduce la risposta glicemica. Anche la pasta integrale, con un maggiore contenuto di fibre, rappresenta una buona soluzione.
6 La pasta è una scelta sana ed economica, disponibile in quasi tutte le società. La promozione dell’economicità e dell’accessibilità dei piatti a base di pasta può contribuire a superare il pregiudizio secondo cui i cibi sani sono troppo costosi.
7 Salutari piatti di pasta sono un metodo gustoso per mangiare più verdure, legumi e altri alimenti sani spesso trascurati. La pasta è anche uno strumento per introdurre altri alimenti della dieta mediterranea (ovvero altre tradizioni culturali), soprattutto nel caso dei bambini e degli adolescenti.
8 Le pietanze a base di pasta figurano nelle tradizioni culinarie di tutto il mondo, in quanto sono come la tela di un artista: sono versatili e si adattano facilmente agli ingredienti stagionali locali e nazionali.
9 La maggior parte della gente può mangiare la pasta e non deve scegliere un prodotto senza glutine se non è affetta da un disturbo glutine-correlato correttamente diagnosticato. Per chi è intollerante o allergico al glutine o soffre di celiachia esistono alternative senza glutine.
10 La pasta è un alimento vegetale semplice, con un basso impatto ambientale.
11 Il consumo di pasta è indicato per chi fa attività fisica e in particolare pratica sport. La pasta, come altri cereali, fornisce carboidrati ed è anche una fonte di proteine. Per avere una migliore prestazione fisica, la pasta può essere consumata scondita o con poco condimento prima di un allenamento oppure insieme ad altri cibi dopo aver praticato attività sportiva. Diete ad alto contenuto proteico e con pochi carboidrati sono sconsigliate per le persone attive.
12 I medici, nutrizionisti e altri professionisti della salute dovrebbero educare i consumatori a prediligere piatti vari e bilanciati a base di pasta per una buona salute.
Focus - Taganrog, il grano “straniero” che ha fatto conoscere la pasta italiana nel mondo
Se oggi l’arrivo di grano dall’estero per arricchire la miscela di grani duri che dà vita alla pasta Made in Italy viene contestato e considerato un “tradimento” della nostra storia, i documenti d’archivio ci dicono che è vero esattamente il contrario. La tradizione pastaia italiana si è fondata, da sempre, anche sull’utilizzo di grani esteri di qualità, miscelati in percentuali tra l’altro molto superiori a quelle attuali. Si stima infatti che la dipendenza dall’estero, tra fine Ottocento e primi Novecento, ammontasse a circa il 70% del totale grano duro utilizzato.
Focus - Treccani: la pasta italiana nell’ottocento era fatta con il 50% di grano ucraino
Nella Treccani viene spiegato, con dovizia di particolari, che “le buone paste dell’Italia meridionale sono fabbricate soltanto con semolino di grano duro. Però, mentre un tempo, insieme con i grani duri di produzione locale, si usava il Taganrog russo e questo entrava per una forte percentuale nelle migliori paste (fino al 50% in quelle di Termini Imerese), dopo la guerra mondiale si è data la preferenza ai grani duri e semiduri nazionali - compreso fra i primi il Taganrog coltivato in Italia - e al grano duro russo si sono sostituiti quelli dell’America Settentrionale (Hard Winter, Durum, Manitoba)“. Molti marchi centenari della zona di Torre Annunziata e Gragnano, raccontando la loro storia ricordano con orgoglio l’utilizzo di questa varietà di grano, già a partire dalla fine dell’Ottocento, spiegando che veniva miscelata, per ottenere una pasta di altissima qualità, con la qualità di grano proveniente dalla regione della Capitanata (Foggia). Vittorio Ferrandino e Maria Rosaria Napolitano, nel loro Storia d’impresa e d’imprese storiche (Franco Angeli), spiegano che “il grano Taganrog di alta qualità… era alla base del successo della pasta in Italia prima della grande guerra”.
Metà ottocento: inizia il mito del Taganrog, che prende il nome dal porto del Mar d’Azov
Tutto ebbe inizio a metà dell’Ottocento, quando nel porto di Taganrog, base della Marina imperiale russa, fondata da Pietro il Grande circa 1 secolo e mezzo prima, iniziano i commerci con i bastimenti che partono, alla volta di Napoli o d’Imperia, carichi di una pregevole qualità di grano (che prende il nome dal porto di provenienza) che tutti i pastai italiani volevano accaparrarsi. I commerci iniziano nel 1860 con 300.000 tonnellate, che diventano 1,6 milioni di tonnellate nel 1885 e 2,2 milioni di tonnellate nel 1890 . Esistono molti documenti che testimoniano questo flusso, uno, curioso, è il diario di bordo del Brigantino Gottemberg che, il 1860, finisce per incagliarsi con il suo prezioso carico di grano: “Partito da Taganrog il giorno 3 Settembre alle ore 6 A.M. Col mio pieno carico di grano duro in Cetvert (unità di misura pari a 210 litri circa) milletrecentosettanta ricevuto da quel Sig. F. Klissanich col vento da Est aria bella, mare moderato, e navigando con tutte le vele rombo SW correndo sopra un fondo fangoso il giorno 5 alle ore 2 A.M. In un istante ci trovammo investiti sopra il Banco Dolga in piedi 10.1/2 francesi d’acqua”. Il grano Taganrog copriva allora il 90% circa del nostro import, che ammontava dunque già a circa 2,5 milioni di tonnellate di grano duro. In quei decenni i commerci si fanno così stretti che alcuni italiani impiantano delle fabbriche di pasta (una decina in tutto), proprio nei dintorni del porto di Taganrog, in società con imprenditori locali.
Anche Garibaldi sul brigantino Clorinda, che trasporta grano da Taganrog a Marsiglia
Una curiosità su Taganrog. Anche Giuseppe Garibaldi, Primo ufficiale (scrivano) di bordo del brigantino Clorinda, tra il 1831 e il 1833 viaggio ripetutamente tra il porto del Mar d’Azov e quello di Marsiglia , trasportando grano duro. E fu proprio in un’osteria di quel porto che conobbe le persone giuste (l’esule Giovanni Battista Cuneo di Oneglia) con le quali maturò il progetto (la spedizione del Mille) che avrebbe reso possibile l’unificazione italiana.
Torre Annunziata e Oneglia: il grano russo fa nascere il mito della pasta italiana
Nel primo decennio del Novecento la produzione della pasta nella zona di Torre Annunziata comincia a diventare una vera e propria attività “industriale”, dando lavoro a migliaia di persone. Un articolo pubblicato sull’Avanti! in quegli anni a firma di Oddino Morgari, spiega il ruolo della materia prima estera sulla nascita di questo business: “Torre Annunziata vive dell’industria della pasta. I grani le giungono dalla Russia su dei piroscafi; 300 lavoratori del porto, scaricanti, legatori, barcaioli, facchini, misuratori, mettono quei grani a riva; 500 mugnai li riducono in semola, in 14 grandi molini a vapore; 800 pastai trasformano questa semola in paste, in 54 pastifici…”. Stessa cosa accadeva, già da alcuni decenni, anche ad Oneglia, in Liguria, dove addirittura un’azienda si dota di propri velieri che 4 volte l’anno partono per andare a prendere, nel Mar d’Azov, il grano Taganrog, come anche documentato in una bella stampa di fine Ottocento, che di fatto racconta la stessa scena descritta nell’articolo dell’Avanti!: con sacchi di grano scaricati da facchini, barcaioli che li portano a terra e carri che li trasportano verso la fabbrica.
Lievita l’export di pasta italiana, e sulle confezioni si scrive “fatta con grano Taganrog”
Solo che allora sui pacchi di pasta che veniva spediti all’estero (soprattutto in America), veniva scritto, con orgoglio, “fatta con pregiato grano Taganrog”. Utilizzando in chiave marketing quello che era considerato evidentemente un plus. Se a fine Ottocento si esportavano appena 70.000 quintali di pasta italiana, nel 1913 si arriva a 700.000 quintali, proprio grazie alla spinta data dal grano di qualità estero scelto dai migliori pastai italiani. La produzione complessiva negli anni Trenta (data del primo censimento dell’industria della pasta in Italia) arriva a circa 6 milioni di quintali, anche sulla spinta della crescente quota destinata all’export. Nel frattempo, però, la Storia ci mette il suo zampino. I flussi commerciali con la Russia s’interrompono. La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e la Grande Guerra che sta devastando l’Europa, chiudono una pagina della storia della pasta che pochi, oggi, conoscono. E molti, forse, non vogliono ricordare.
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