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L'espresso

Puro come vino ... Per vinificare si usano 600 sostanze. Molte indispensabili anche nel Doc e nel biologico. Ma spesso dannose. Ecco come bere senza pericoli... Tutto fuorché una spremuta di uva invecchiata e profumata. Il vino, tra sostanze presenti naturalmente e sostanze aggiunte per ottimizzare la produzione, contiene più di 600 specie chimiche, in parte non del tutto note. Per ottenere un buon vino ci vogliono infatti lieviti, enzimi, antischiumogeni, sostanze che stabilizzano e conservano, altre che esaltano aroma e colore, altre che filtrano e così via, moltissime delle quali indispensabili anche nel migliore dei Doc e persino nel vino biologico. Ma, come tutte le sostanze chimiche, anche quelle contenute nel vino possono avere effetti sulla nostra salute. Per questo serve imparare a distinguere un vino non solo buono ma anche salutare, da uno che sarebbe meglio non bevessimo. Una prima regola la fornisce uno dei massimi esperti mondiali in materia di vite e vino, Mario Fregoni, già ordinario di viticoltura all’Università Cattolica di Piacenza: “Il vino migliore è quello naturale, ossia quello cui non si aggiunge nulla che non sia già presente”, In altre parole, meglio puntare sui vini in cui gli ingredienti Sono già presenti nel succo d’uva lasciato fermentare come i tannini e che vengono rinforzati, aggiunti (sempre entro limiti ben precisi), e dove le sostanze di sintesi, assenti nell’uva, non entrano se non in minima parte, e in quel caso vengono indicate in etichetta. Perché è ovvio che, con 600 sostanze chimiche in hallo, l’etichetta diventa un vero salvavita. E sarebbe bene che il consumatore potesse leggere tutti i componenti del prodotto che sta acquistando. L’ottenimento di un buon vino, infatti, non può prescindere da una serie di passaggi che prevedono l’impiego di sostanze di vario tipo, alcune delle quali potenzialmente pericolose e quindi da segnalare. La più nota e discussa delle sostanze che i consumatori ritrovano nel vino, è l’anidride solforosa (502), gas somministrato in varie torme insieme ai suoi sali solidi, i solfiti. Anidride e solfiti sono di norma aggiunte perché svolgono molteplici azioni antisettiche e antiossidanti necessarie a mantenere il vino integro e, soprattutto a evitare che, una volta terminata la prima fermentazione, se ne avvii una seconda, che lo danneggerebbe irrimediabilmente, I produttori insomma li usano. Anche se oggi sarebbe possibile evitare di aggiungerne. Il fatto interessante è che, aggiunti o no, il vino i solfiti se li genera da sé perché si formano durante alcune reazioni chimiche indotte da lieviti e batteri. E da qui nascono problemi. Spiega Cinzia Le Donne, nutrizionista dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione (Inran): “ I solfiti sono stati riconosciuti come responsabili di possibili reazioni pseudo-allergiche, che danno sintomi sovrapponibili a quelli che si osservano nelle allergie, ma senza che vi sia un coinvolgimento del sistema immunitario. Gli asmatici sono particolarmente sensibili nei confronti dei solfiti, e possono manifestare crisi respiratorie dopo l’assunzione più o meno gravi fino allo shock anafilattico. Nelle persone non asmatiche i sintomi possono essere soprattutto cutanei e gastrointestinali”. Perciò queste sostanze sono gli unici additivi inseriti nella Direttiva Allergeni della Ue, e se la loro concentrazione supera i 10 milligrammi per litro, la bottiglia deve recare la dicitura Contiene solfiti. Ma non deve essere detto nulla di più, e il consumatore resta nell’impossibilità di capire se di solfiti ce ne sono pochi grammi o dieci volte tanti. La buona notizia è che i solfiti nei vini normali si sono più che dimezzati negli ultimi anni”, aggiunge Le Donne. Non solo, per chi vuole livelli ancora più bassi, resta il vino biologico che può definirsi tale se ha livelli inferiori di solfiti dei vini tradizionali. Resta però il fatto che si tratta di sostanze presenti in molti altri cibi e bevande: birra, succo di limone, frutta essiccata, come in prodotti a base di carne o pesce e nei crostacei. Di conseguenza, la quantità di sostanza che possiamo assumere tutti i giorni della nostra vita senza avere alcun effetto negativo sulla salute (la cosiddetta Dose giornaliera ammissibile, Dga ) può essere facilmente superata anche con un vino che ne contiene livelli bassi. Le conseguenze allora si possono manifestare anche nelle persone che non hanno particolari problemi di allergie gravi, ma che, quindi, possono lamentare cerchi alla testa, nausea, vomito, senso di pesantezza. Ma nel vino, come detto, c’è molto altro. Spiega ancora Le Donne: “il vino contiene additivi e residui di contaminanti che possono essere nocivi per la salute”. Sono utilizzati acidificanti, stabilizzanti, regolatori dell’acidità, attivatori della fermentazione, agenti antischiumogeni, conservanti, antiossidanti, vari coadiuvanti e solventi, enzimi, solo per citare le classi di composti più diffuse. Per molte di queste sostanze la legge indica un livello massimo di impiego, altre non hanno effetti sulla salute documentati (per esempio l’acido ascorbico) e quindi possono essere usati a seconda del bisogno del vinificatore. Non indispensabili ma quasi sempre presenti, sono le proteine delle uova e del latte, usate per la chiarificazione. Un tempo questo passaggio si taceva solo sul bianco, ma oggi viene tatto sempre, per evitare opacità e depositi, Aggiungendo i chiarificanti si forma una gelatina che funziona da filtro e che poi viene rimossa. Proprio per questo alcuni specialisti ritengono che l’obbligo dell’indicazione in etichetta sia uno scrupolo eccessivo (in teoria dovrebbero rimanere solo tracce di uova e latte), ma altri sottolineano che le persone allergiche possono risentirne comunque. anche se le dosi usate non sono in grado di scatenare reazioni anafilattiche. Come per tutti gli alimenti, poi, nel vino è possibile trovare contaminanti naturali come il piombo del terreno o l’ocratossina A, tossina prodotta da vari funghi, che possono costituire un rischio grave per la salute pubblica per questo l’Unione europea ne stabilisce i livelli massimi, al fine di ridurne la presenza nei prodotti alimentari a quantitativi minimi. Oltre a ciò, sono sempre possibili residui di fitofarmaci, oggi sottoposti a stretto controllo lungo tutta la filiera produttiva ma molto usati. Il 1 marzo 1986 una partita di vino adulterato con metanolo causa l’avvelenamento di decine di persone in nord Italia, con danni neurologici e cecità, e i1 decesso di ben 23 persone. Ancora oggi tutti ricordano il caso del vino al metanolo, che ha rappresentato forse il punto più basso delle adulterazioni italiane ma, purtroppo, non certo l’unico. Più di recente, infatti, il pregiato Brunello di Montalcino è stato al centro di indagini e sequestri in tutta la Toscana (42 le aziende coinvolte), perché al posto del Brunello le aziende avrebbero venduto mix fantasiosi di altri vini di qualità inferiore. Scorrendo le cronache poi si trovano sequestri frequenti di vini con gradazioni alcoliche diverse da quelle previste, aggiunte di zuccheri diversi da quelli presenti nell’uva (pratica del tutto vietata in Italia ma usata quando si vuole fare del vino partendo da vinacce scadenti,
quasi sempre importate da paesi lontani), che hanno bisogno di robuste lavorazioni
per diventare commerciabili, ingredienti di sintesi quali liquidi di refrigerazione molto altro (coloranti, conservano, aromi e additivi non permessi), proprio perché le sostanze presenti sono così tante clic la fantasia dei truffatori si può scatenare. Si tratta però sempre, appunto, di truffe, contro le quali il consumatore può poco. Diverso è il caso del vino di bassa qualità. Come individuarlo? “Il consumatore può affidarsi ai marchi certificati come i Doc, sui quali i controlli sono severi lungo tutta la filiera, perché nessun produttore oggi può permettersi il danno derivante da frodi, truffe, intossicazioni”, spiega Fregoni: Infine il prezzo: è meglio diffidare di quelli troppo bassi. Oggi si trovano in commercio bottiglie di vino che costano meno di due euro, ma di fatto è impossibile arrivare a prezzi così e il rischio che si tratti di vini ottenuti da vinacce comprate chissà dove e poi trattate anche con procedimenti illegali come l’aggiunta di zucchero è concreto. Meglio bere meno ma puntare sul sicuro”.

Bio sì. Ma certificato ... Una terra di nessuno in cui c’era spazio per tutti. Gli integralisti che, rifiutando anche il più sicuro degli additivi, hanno lanciato sul mercato prodotti di bassa qualità, minando alla base l’idea che il vino biologico potesse essere buono come quello tradizionale. I furbi che, autocertificando prodotti che di bio avevano assai poco, hanno screditato tutto il settore. Gli ultrà della biodinamica intenzionati a sfruttare solo le difese naturali della vite e i difensori delle colture nazionali. Il risultato è stato paradossale, e il vino biologico non è mai decollato davvero. Ma ora si cambia. Nelle scorse settimane, dopo anni di discussioni e polemiche, l’Unione europea ha varato il nuovo regolamento per il vino biologico che entrerà definitivamente in vigore nel prossimo mese di agosto; chi desidera produrre con queste modalità avrà finalmente un riferimento certo, e potrà godere del marchio europeo su tutti i mercati. Anche se, spiega Alessandro Pulga, direttore dell’Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale: “L’approvazione del nuovo regolamento è un compromesso che può essere giudicato al ribasso perché per certe sostanze i limiti consentiti sono ancora piuttosto alti, ma che è pur sempre fondamentale per i produttori e i consumatori”. Ciononostante - è bene sottolinearlo - dalla vigna alla bottiglia, vino bio non significa affatto prodotto senza fitofarmaci e additivi, anche se alcuni processi fisici come l’eliminazione dell’anidride solforosa con mezzi fisici o la concentrazione parziale a freddo sono stati esplicitamente vietati, e altri come l’aggiunta di gelatina, ovoalbumina, gomma arabica, colla di pesce e tannini sono stati autorizzati.

Sempre meno farmaci per la vite ... Sul loro “Quaderno di campagna”, il registro obbligatorio di scarico che tutti devono avere. viticoltori italiani hanno segnato ben 2,7 milioni di trattamenti in difesa delta vite nella stagione 2009-2010. Vale a dire che, in media. sono stati effettuati 12,3 trattamenti per ettaro, con 26,6 chili di fitofarmaci per ettaro. In totale, sulle viti d’Italia sono state sparse 19,1 milioni di tonnellate di sostanze. Perché, stando all’ultimo rapporto lstat. ‘89,6 per cento delle aziende usa fitofarmaci per trattare I 94,3 per cento delle superfici coltivate a vite. Numeri imponenti. Ma in diminuzione: i trattamenti chimici per la vite sono calati dell’8,6 per cento rispetto al 1998 1999, rivolti in gran parte (per 188 per cento del totale) a combattere i funghi, a debellare gli insetti (7 per cento), le erbe infestanti (3 per cento) o diversi nemici (il 2 per cento). E la tendenza è a un’ulteriore diminuzione, Anche grazie alle normative europee che impongono l’adozione di tecniche di lotta integrata, ossia basata sull’alternanza e la complementarietà di metodi chimici, fisici e biologici. Come spiega Tiziano Calassi, del Servizio Fitosanitario della Regione Emilia Romagna: “ogni settimana il Servizio Fitosanitario regionale, in base al meteo. all’andamento delle colture, alle segnalazioni dai campi e a molti altri dati elaborati tramite modelli matematici, consiglia tecniche e trattamenti da utilizzare nei campi, L’obiettivo è adottare strategie scientifiche per ridurre al massimo l’impiego non necessario di fitofarmaci’. In futuro, poi, la quantità di prodotti chimici necessari scenderà ancora, come spiega Stefano Poni, ordinario di viticoltura dell’Università. Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza: “La ricerca si sta concentrando su tre filoni fondamentali: la selezione di specie più resistenti, la conversione delle macchine che irrorano (per esempio già oggi le piu moderne raccolgono quanto non va sulle foglie. evitando la dispersione nel terreno) e l’uso di modelli matematici che tengano conto di tutte le variabili (meteo. patogeni presenti, stato di maturazione, eccetera) per non “ricorrere a trattamenti preventivi, ma usare i fitofarmaci solo quando sono indispensabili”. Della chimica nella vigna insomma, per ora, non si può fare a meno, ma l’uva da cui si fa il vino oggi ha ben poco a che vedere con quella piena zeppa di fitofarmaci che si usava fino a pochi anni fa.

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