“Care delegate, cari delegati,
benvenuti a questa seconda edizione di Terra Madre. Se penso con quanta apprensione nel 2004 organizzammo la prima edizione di questo straordinario evento, e vedo oggi questa sala gremita dopo due anni di lavoro nel costruire questa fitta rete di comunità locali in tutto il pianeta, comunità produttrici del cibo, comunità agricole, ebbene, io penso a una metafora che fa giustizia rispetto al vostro lavoro.
Cosa abbiamo fatto con la prima edizione di Terra Madre? Cosa abbiamo fatto in questi due anni? Abbiamo preparato il terreno; l’abbiamo concimato con buon letame, lo abbiamo arato, abbiamo usato l’erpice e ora questo terreno è pronto per la semina. La semina che renderà credibile, fattibile la rete di Terra Madre. E allora c’è da chiedersi: quel è il seme? Qual è il segno distintivo di questa straordinaria assise, con persone, contadini, pastori, nomadi, pescatori che da 150 Paesi vengono a Torino? Qual è il seme che dobbiamo piantare? Io ci ho pensato e penso che il seme forte di Terra Madre è la pratica dell’economia locale.
L’economia locale che tutti voi realizzate nei villaggi e nelle campagne. Quell’economia locale che, badate bene, si basa su due principi: il principio di solidarietà, il principio di sussistenza.
Solidarietà e sussistenza sono la forza delle comunità locali; ecco allora che si produce il cibo. Nel produrre il cibo, si adottano certi comportamenti per accorciare le distanze tra il produttore e il consumatore, per dare benessere alle comunità, per dare prosperità a chi lavora nei campi, per dare salute, per dare bellezza per la propria terra. Questa economia locale è in perfetta armonia con la natura.Vedete, le comunità sono anzitutto un luogo, un luogo e della gente: gente del luogo. E l’economia locale è straordianariamente compatibile con una filosofia di sviluppo sostenibile. Per contro, voi sapete che la crisi ambientale sul pianeta oggi è un fatto assodato, sotto gli occhi di tutti. Ci informano quotidianamente della carenza di acqua, di un uso smodato dei fertilizzanti, della infertilità dei suoli, della perdita di biodiversità, del riscaldamento del pianeta, di interi ecosistemi minacciati. Qualcuno può ancora metterla sul ridicolo, ma ormai la cosa è così evidente, così forte che i media non possono più eludere questa realtà. Le comunità dei popoli, le comunità religiose, la comunità politica, la politica più sensibile ha ormai appurato che questa crisi ambientale è drammatica! drammatica.
Vedete, la terra è la nostra casa comune e la casa comune dovrebbe essere governata da un’economia onesta; dovrebbe essere governata da un’economia naturale. Quello che governa questa terra al contrario, con forza e spesso con prepotenza, è la ferrea logica dell’economia di mercato. Non confondete, non confondiamo, non dobbiamo confondere l’economia di mercato con l’economia locale. Le distorsioni dell’economia di mercato, che in un primo tempo avevano dato effetti benefici per le comunità, oggi sono sotto gli occhi di tutti. Le risorse della terra non sono infinite. Non si può applicare una legge di prelievo delle risorse in maniera esponenziale perché attualmente il mercato lo comanda favorendo l’iperproduttivismo. Esso però genera una situazione ambientale insostenibile oltre che una follia. I dati della Fao ci dicono che produciamo cibo per 12 miliardi di viventi, siamo 6 miliardi e 300 milioni. 800 milioni soffrono di mal nutrizione e di fame, un miliardo e 700 milioni soffrono di obesità e il diabete è in crescita esponenziale come le malattie cardiovascolari determinate dalla malnutrizione. È una follia! è una follia continuare a chiedere di più alla terra. Questa predazione delle risorse, questa logica per cui il consumo deve essere caratterizzato dalla velocità, dall’abbondanza e dallo spreco sta arrivando al suo punto terminale, sta arrivando al suo punto terminale!
Però, vedete, che questa economia sia insostenibile comincia a diventare abbastanza chiaro. Quello che non è chiaro è la portata della nostra complicità, della nostra responsabilità come consumatori singoli, in questo mondo cosiddetto sviluppato. In che misura noi siamo responsabili, siamo complici in questo mondo così detto sviluppato, di un consumo senza freni? Per questo io trovo molto difficile che noi del mondo cosiddetto sviluppato possiamo diventare gli alfieri per combattere l’economia di mercato. Noi siamo complici, noi siamo partecipi, voi, voi contadini abitanti del mondo cosiddetto sottosviluppato ci dovete indicare la via, la via dell’economia per la rilocalizzazione dei consumi e la rilocalizzazione delle produzioni agricole.
Tornare a produrre agricoltura in ogni singolo Stato: e allora, anziché contrapposizioni noi dobbiamo lavorare per costruire una prospettiva, un’ottica di sostegno vero, franco, sincero all’economia locale. Le comunità qui presenti rivendicano il diritto all’esistenza di questa economia. Però, vedete, il danno che causano molti artefici e soloni dell’economia di mercato non è solo realizzare il disastro così come si viene a creare. C’è anche quello di ridicolizzare, schernire, dileggiare, dichiarare che l’economia locale non è scientifica. Cosa vi interessate voi a queste economie di sussistenza? non hanno futuro! non hanno prospettive!
Qui c’è un grande lavoro da fare perché la nostra non è una visione arcaica, è una visione di estrema modernità. La dignità dell’economia locale è l’unica che ci consentirà di realizzare quello che sta diventando un ossimoro: sviluppo sostenibile. Se vogliamo realizzare lo sviluppo sostenibile dobbiamo rafforzare gli elementi di economia locale, e badate che c’è tanta creatività in questo modo di fare economia locale. Voi delegati americani della verde California, voi realizzate l’economia locale agricola: costruendo i farmer’s markets, avvicinando i produttori ai consumatori; ridando energia all’agricoltura biologica. Voi contadini dell’India realizzate l’economia combattendo il predominio delle sementi e rafforzando l’economia agricola. L’economia locale si plasma ed è creativa per ogni singolo Stato. La stessa nostra Italia, nel momento in cui ha scelto di sostenere le produzioni tipiche, nel momento in cui ha scelto di sostenere le produzioni che fanno sistema e che rafforzano anche il tessuto di turismo identitario di questo nostro bel Paese, realizza, consciamente o inconsciamente, un’economia locale forte al tal punto che l’economia di mercato viene a copiare le buone idee dei prodotti tipici e cerca anche di portarceli via.
Noi dobbiamo avere la forza di riconsegnare questa economia ai contadini, perché il cibo deve essere buono, pulito e giusto. Buono pulito e giusto. Buono, assolutamente buono, non è detto che siamo condannati a mangiar male! Anche nella storica miseria di questo Paese. Molti miei amici gastronomi dicono della “memoria italiana”. La memoria gastronomica italiana aveva un nome: la fame. In questa memoria la sapienzialità di tante donne realizzava con l’economia di sussistenza dei capolavori molto semplici, però buoni. Pulito, perché non si può produrre il cibo stressando ecosistemi, rovinando l’ambiente, distruggendo la biodiversità. Giusto, perché il contadino dev’essere remunerato; se noi vogliamo che i giovani rimangano, ritornino alla terra, qui, nei nostri Paesi, devono avere dignità, gratificazione, devono essere valorizzati. Non è possibile che un Paese civile renda in schiavitù lavoratori di altri Paesi per produrre pomodori.
Non è possibile che un Paese civile porti avanti agricolture biologiche, come la verde California, riducendo in schiavitù tanti coltivatori messicani.
Allora, buono pulito e giusto sono i tre aggettivi, molto contadini, ai quali i consumatori, che io vorrei definire coproduttori, dovranno contribuire per cambiare profondamente questo sistema che ci porta alla follia. Ecco il senso della rete internazionale, ecco il senso di una globalizzazione virtuosa. Noi stiamo mettendo il seme di una globalizzazione virtuosa e questa globalizzazione virtuosa deve avere la forza di rivendicare diritti collettivi che fanno economia e che realizzano una nuova frontiera dei diritti. Vedete, la Rivoluzione francese ci ha rafforzati tutti nella coscienza che avevamo dei diritti individuali; il tempo e la storia ci chiamano ai diritti collettivi. Diritto all’acqua, diritto all’aria pulita, diritto al fatto che le donne possano rimanere nei sistemi produttivi agricoli, diritto alla difesa della biodiversità, diritto alla pace, diritto alla pace. Io vorrei salutare le comunità dei Paesi qui presenti che in situazioni drammatiche di guerra sono riuscite a giungere a Torino. Vada nei loro villaggi, quando torneranno, il nostro sentimento di gratitudine per il lavoro che fanno, perché queste guerre in massima parte le hanno sempre pagate i contadini. Ma la rete si realizza anche con le alleanze ed è per questo che l’edizione di Terra Madre 2006 vede la presenza dei cuochi e la presenza dei docenti universitari. I cuochi perché con la cucina operando culturalmente trasformano i prodotti della natura. I contadini hanno bisogno dei cuochi e i cuochi hanno bisogno di contadini bravi, ma anche i docenti universitari.
È una cosa meravigliosa che in un’assise pubblica di contadini siano presenti 250 Università del pianeta, è una cosa meravigliosa perché noi dobbiamo salvaguardare i saperi tradizionali che come dice un grande, grandissimo intellettuale del nostro tempo, Claude Lévi-Strauss, rischiano nei prossimi trent’anni di scomparire: e per salvaguardare i saperi culturali, sapienzialità, tradizione del mondo contadino, noi dobbiamo fare un’alleanza con le Università e un’alleanza con la scienza ufficiale. Mai più incomprensioni tra scienza e saperi tradizionali, ma più dialogo e collaborazione, e vedrete che tanti problemi saranno risolti. Risolveremo anche il problema degli organismi geneticamente modificati, se la scienza parlerà con i contadini.
È il dialogo, è il dialogo la prospettiva a cui noi siamo chiamati, il dialogo con la scienza, con le istituzioni, con la politica, e io penso di interpretare i sentimenti di tutta questa assemblea nell’esprimere un profondo ringraziamento al presidente della Repubblica italiana. Presidente, la sua presenza in questa sede è per noi motivo di orgoglio, siamo felici di essere in un Paese in cui il presidente ascolta la voce degli umili, ascolta la voce di un pianeta che soffre, ascolta la voce della classe contadina. E mi permetta, signor presidente, di ringraziare la sua signora: molti di noi sanno che la signora Napolitano ha dato molta parte della sua professionalità, ma anche della sua passione, della sua generosità, per la difesa delle cause dei contadini della regione Campania. Signora Clio, noi le siamo grati! Si ritenga a casa sua, perché il mondo contadino parla un linguaggio unico in ogni parte del pianeta, e il mondo contadino è riconoscente nei confronti di chi ha speso con generosità e passione il suo tempo per difendere le giuste cause.
Per finire, cari delegate e delegati, voglio testimoniare tutto l’affetto di questa generosa terra piemontese, di questa bella città di Torino: questo affetto compensi le fatiche dei lunghi viaggi di questi giorni, di coloro che hanno lasciato gli armenti nelle lontane terre di Mongolia o dei Sami, di chi ha ormeggiato le proprie imbarcazione di pesca sul grande lago Vittoria, o sulle coste dell’Alaska o sul rio Amazonas, di chi ha disceso le montagne delle Ande e del Tibet, di chi ha lasciato i campi di riso in India e del Madagascar. Grazie! Grazie per il dono della vostra presenza. Se la terra è madre, la fraternità governerà questi giorni di lavoro. Non ci sono differenze di razze, di idiomi, di cultura, di confessioni, di religioni. La fraternità sa essere più forte. Lasciate che vi renda omaggio, delegati di tutto il mondo, parafrasando un grande poeta piemontese: se il mondo resiste, il mondo lo dovrà a gente come voi. Gente che accetta la nuova civiltà ma fino a un certo punto. Gente che non crede necessario progredendo rinunciare a tutto il passato, gente che non vede insanabili contraddizioni tra i costumi moderni e quelli antichi, gente che ha nelle sue mani l’avvenire della terra. Buona Terra Madre a tutti.”
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