L’Italia, con i suoi vini migliori, può competere alla pari con la Francia per qualità. Ma deve crederci, e costruirsi un “Ego” per valorizzarsi e un marketing più concreto ed efficace, soprattutto puntando sul suo patrimonio, unico al mondo, di vitigni autoctoni. A dirlo, in una esclusiva intervista a WineNews, la firma del vino più prestigiosa al mondo, Robert Parker, colui che, con “The Wine Advocate”, ha di fatto inventato la critica enologica mondiale ed il “100 point system” (e contribuito in maniera decisa al successo dei vini di Bordeaux in particolare) e che oggi, in uno scenario sempre più globalizzato anche per la produzione del vino, e non solo per il mercato, non è più un “one man show”, ma la guida morale di un team di professionisti che si focalizzano su diverse aree del mondo, come Monica Larner, corrispondente per la rivista dall’Italia. Italia che, per la prima volta è stata teatro (in Toscana) di una esclusiva masterclass di “The Wine Advocate”, condotta da Parker e Larner, e dedicata al meglio della produzione enoica del Belpaese. Incluso il Sassicaia 1985, “il vino che più mi è piaciuto in assoluto nei miei 37 anni di carriera, che ho riassaggiato in 25-30 occasioni, ed ogni volta è un grande onore”. Uno di quei vini che, secondo Parker (che, in questa sua “prima” in Italia, non ha visitato cantine), hanno portato l’Italia ai livelli della Francia.
“Italia e Francia che sono le due grandi patrie storiche e classiche del vino nel mondo - spiega Parker - e i prodotti di questi due Paesi sono e saranno il punto di riferimento per tutti coloro che vogliono fare vino, specialmente nel “nuovo mondo” produttivo, come California, Sudafrica e Sudamerica. Questo non cambierà mai. Ma l’Italia - aggiunge Parker - è il paese con più vitigni indigeni nell’Europa Occidentale, e questo è un punto di forza, che deve essere rispettato e preservato. Il lavoro che è stato fatto in Italia con i vitigni autoctoni, specialmente nel Meridione, ci offre la più grande diversità e varietà di vino al mondo. E penso che uno dei più grandi piaceri, una delle più grandi gioie che il vino possa dare sia proprio la scoperta della diversità, per questo dobbiamo proteggerla. Nei miei 37 anni di professione, una delle cose più belle che ho visto è stata la proliferazione di varietà di vitigni autoctoni, specialmente in Italia, che in questo senso è il Paese leader”.
Eppure, nonostante la crescita qualitativa complessiva della produzione tricolore, e questo patrimonio unico, sul mercato, almeno a livello di prestigio, ma spesso anche di valore, l’Italia è ancora seconda alla Francia. “La Francia primeggia nel marketing, nella creazione dei brand - dice Parker - che si parli di alta moda, di vino o di cucina. Credo che i francesi siano i più bravi a promuovere se stessi, e l’immagine che ci danno è quella che i loro prodotti siano i migliori. Ma sono convinto che i migliori vini italiani possano competere alla pari con i migliori vini francesi, lo stesso dicasi per la cucina, per le città d’arte, per i viaggi, per tutti quei motivi per i quali i turisti vengono qui. L’Italia dovrebbe credere di più in se stessa, dovrebbe fare una campagna promozionale che mostri tutto quello che di buono sa fare. Gli italiani stessi dovrebbero essere più coscienti della grande qualità dei propri prodotti, di quanto sono belli i loro paesi, di quanto siano speciali i terroir dai quali provengono i grandi vini italiani. Gli italiani dovrebbero insomma crearsi un “Ego”, dovrebbero mostrare al mondo, senza arroganza, ma con convinzione, che in Italia si producono prodotti di eccellenza”.
Cosa che, peraltro, secondo Parker succede ormai in tutta la Penisola. “Sicuramente le grandi regioni classiche del vino italiane sono la Toscana e il Piemonte, e anche il Veneto è noto per la qualità dei suoi vini. Ma quello che ho notato è la straordinaria qualità e diversità dei vini dell’Italia meridionale, da Roma in giù, della Campania, dell’Abruzzo, della Sicilia e così via. Penso che ci sia stato un enorme salto di qualità nei vini di fascia alta, e credo che in futuro questa crescita qualitativa sarà ancora più evidente. Gli amanti del vino sono in grado di capire quanto siano buoni i vini che provengono dalla Toscana, dal Piemonte e dal Veneto, ma alla stessa maniera penso che siano in grado di percepire la qualità crescente dei vini prodotti in luoghi come la Sicilia, per esempio”. Una crescita qualitativa diffusa nella produzione, che è uno dei motivi che ha spinto Parker a non seguire più da solo, e per poche settimane all’anno, lo scenario del vino tricolore.
“Sono venuto in Italia quasi ogni anno tra il 1978 e il 1989, poi il mondo del vino è cresciuto molto e mi sono reso conto che non avrei potuto seguire le regioni emergenti senza l’aiuto di altre persone. Quando ho venduto la maggioranza di “The Wine Advocate”, uno dei motivi è stato proprio questo: aumentare la nostra presenza e la copertura in italia. Oggi il Paese è seguito per noi da Monica Larner, americana la cui famiglia si occupa di vino in California. Vive a Roma da diverso tempo, parla italiano fluentemente, e grazie a lei e alla sua professionalità facciamo recensioni più complete e più spesso. Abbiamo grandi progetti. La copertura dell’Italia su “The Wine Advocate” prima dell’arrivo di Monica Larner era buona - dice Parker - ma non eccezionale. Ora abbiamo la persona che ci può dare la miglior copertura del mondo del vino italiano, indipendente ed autorevole. Io sono pronto a scommettere su di lei. L’Italia è dinamica, i cambiamenti avvengono in fretta e vogliamo una persona che stia costantemente sulla scena, 360 giorni all’anno, non due settimane all’anno, e lei è la persona giusta”.
Anche perché, spiega ancora Robert Parker, “l’Italia ti dà quello che nessun altro paese al mondo ti può dare. Il Nebbiolo in Piemonte, il Sangiovese in Toscana, i vitigni autoctoni nel Sud Italia, il Nero d’Avola, il Piedirosso, l’Aglianico. Nessun altro paese al mondo può darti tutto questo. Non può la Francia, non possono gli Stati Uniti e così via. Non possono produrre vini di qualità paragonabile con quei vitigni, ed una delle cose che l’Italia mi ha trasmesso è stata quella di imparare ad apprezzare questi vini, grandi vini. In più l’Italia è un Paese bellissimo - dice Parker - amo la vostra cultura, la vostra qualità della vita, il vostro gusto per le cose belle. Mi piace la vostra cucina, i vostri tartufi, che ho potuto apprezzare in questi giorni, visto che è già la loro stagione. Io faccio parte di quella generazione di americani chiamati “baby boomers”, siamo la prima che ha potuto viaggiare molto, e questa opportunità ha fatto di noi dei cittadini del mondo migliori, ci ha permesso di apprezzare le altre culture e di apprezzare la storia. Voi in Italia avete secoli e secoli di storia ed io, da americano, so apprezzarla”. Come sa apprezzare il vino, al punto da mettere un’etichetta italiana, tra le più celebri, al n. 1 assoluto dei sui vini preferiti.
“Quando ho raccontato quello che vi sto per dire, le persone sono rimaste stupite. Nei miei 37 anni di carriera, il vino che più di ogni altro mi è piaciuto è un vino italiano, un vino del 1985. Che è fatto qui, in Toscana, sulla costa: il Sassicaia. Ho avuto l’onore di assaggiare il Sassicaia 1985 e ne ho anche comprate alcune bottiglie. L’ho bevuto 25-30 volte nella mia vita e ogni volta è un grande onore. È un momento magico, i miei sensi mi trasmettono gioia e piacere, mi fanno vivere un momento quasi sublime. A quel punto capisci che è un momento che vuoi vivere altre volte nella vita. Certo, ci sono anche altri ottimi vini: anche un semplice Chianti con una bistecca può essere memorabile, mi piacciono anche il Barolo, o il Barbaresco, alcune annate di Bruno Giacosa, Angelo Gaia, Aldo Conterno, e potrei fare altri nomi ancora. Ma, come ho già detto, il Sassicaia 1985 è il vino migliore che io abbia mai assaggiato”.
Robert Parker, con il suo “The Wine Advocate” e con il celeberrimo (e discusso) “100 point system”, ha di fatto creato la critica enologica internazionale, dapprima in America, e dato il via a tutto il movimento di riviste, critica e guide varie che, nel passato, hanno spesso segnato il destino non solo di singoli produttori, ma anche di interi territori. E forse, per Parker, sarà così pure in futuro, anche se a contare sarà sempre di più il racconto del vino e delle sue origini, lo “story telling” oggi tanto di moda.
“Il gusto si evolve in continuazione, come si evolvono in continuazione le tecniche di vinificazione. Abbiamo potuto assistere al passaggio da vini austeri a vini più fruttati - racconta Parker - le nuove generazioni apprezzano molto i vini locali e la cucina locale. Non posso dire di aver visto affermarsi vini legati al territorio, almeno in Usa, ma piuttosto vini pensati per i consumatori più giovani, vini che esprimono un buon potenziale, che gratificano il consumatore senza bisogno di invecchiamento. È un bene o un male? Non spetta a me dirlo. Ma la tendenza di mercato è quella di produrre vini che gratifichino il consumatore senza bisogno di un lungo invecchiamento. Sicuramente la mia generazione e quella dei miei genitori, 50 anni fa, apprezzavano vini capaci di invecchiare molto, ma oggi non tutti possono permettersi di comprare una bottiglia oggi e di berla tra 10 ,15 o 20 anni, anche se sappiamo quale sia il potenziale di invecchiamento di un Brunello di Montalcino, di un Barolo o di un Barbaresco, per esempio che possono evolvere per 30 anni e più. La storia di un vino è sempre importante, come la cultura che ci ruota attorno. Ma tenete bene a mente che il sistema di attribuzione dei punti ad un vino è simile ad una giuria olimpica. Si prende un gruppo di vini dello stesso genere, tutti Brunello, o tutti Barolo, o tutti Chianti Classico, e devi decidere, tra questi vini, quale è il più interessante, quello con il miglior sapore, quale ha più carattere, personalità. Quando nel 1978 ho cominciato ad usare il “100 point system”, l’ho fatto a livello personale, non avevo idea che lo avrebbero adottato quasi tutti nel mondo. L’avevo ideato io, aveva senso per me. Era un mio sistema personale per dare al lettore il mio punto di riferimento. Con il sistema a punti gli offro una nota di degustazione interessante e costruttiva. È importante parlare della storia, della tradizione e del terroir del vino, ma il sistema dei punti è come un palo piantato nel terreno che dice al lettore quanto vale per me quel vino. È un sistema democratico che ha assolto perfettamente allo scopo che mi ero prefisso. Detto questo, nei miei 37 anni di professione ho sempre sostenuto che il miglior degustatore, il miglior palato non sono io, ma sei “tu”. Ogni palato è diverso, come l’apprezzamento della bellezza e dell’arte è soggettivo, e da questo consegue un gusto personale per il vino. Al tempo stesso, però, mentre ammetto che c’è una soggettività nel giudizio, credo che ci sia una convergenza di consensi su cosa sia un buon vino, e lo stesso discorso per analogia si può fare con la grande musica. Siamo in Italia. Vivaldi e Verdi erano grandi compositori. Qualcuno può dire che non è vero, ma sono una piccola minoranza. Lo stesso vale per la cucina. Sappiamo cos’è la grande cucina, sappiamo cos’è la grande arte. E vale anche per i vini. Sappiamo quali sono i grandi vini, e su questo c’è grande consenso. Ma, naturalmente, il gusto personale può indirizzarci diversamente. Se prendiamo il Sassicaia del 1985 o un grande Brunello di Montalcino, la maggior parte delle persone converrà che sono ottimi vini. Qualcuno dirà, invece, che non lo sono, ma è perfettamente comprensibile”.
Riflessioni che faranno discutere, come sempre, quelle di Parker, come ha fatto scalpore la cessione della maggioranza del suo “The Wine Advocate” ad investitori asiatici, qualche anno fa. “Faccio questo lavoro da tanto tempo, e mi sono accorto che stavo rallentando, non mentalmente ma fisicamente - racconta Parker - ho avuto anche dei problemi alla schiena, e così ho pensato che fosse giunto il momento di mettere a disposizione di altri questa mia eredità. Ho avuto una serie di offerte negli Stati Uniti, ma l’offerta più interessante, non la più alta in valore, ma la più interessante, è arrivata da parte di tre giovani di Singapore. E ho pensato che piuttosto che lasciare questa eredità negli States o nell’Europa Occidentale, fosse giusto lasciarla in Asia, perché il futuro del vino è in Cina, in Corea, a Singapore o a Taiwan. I nuovi amanti del vino avranno queste nazionalità. Questa era la mia strategia già prima di cedere la maggioranza di “The Wine Advocate”, per educare questi nuovi consumatori, fargli fare grandi degustazioni, per aprire le loro menti alle diverse varietà di vino. C’è molto lavoro da fare”.
“Non avevo mai desiderato di ottenere il successo che ho avuto - confessa Parker, che come tutti i veri n. 1, si rivela uomo di una semplicità straordinaria - non ho mai desiderato di poter gustare tanti ottimi pasti e assaggiare tanti buoni vini. Il vero patrimonio che il mio lavoro mi ha consentito di accumulare e l’aver conosciuto tanti vignerons e produttori in Italia, in Francia e in altri Paesi. Non tutti, ma la maggioranza di loro ha una visione del vino a lungo termine. Si considerano guardiani, protettori di un’eredità, di un pezzo di questa terra molto, molto speciale. E vogliono che questo continui, per i loro figli e i loro nipoti, per centinaia di anni ancora. Non fanno tutto questo per un profitto immediato, hanno una visione a lungo termine che io rispetto molto”.
Un Parker che, a WineNews, confessa gli altri suoi “amori”, oltre a quello per il vino. “Mi piace molto la fotografia, e mi piace fare snorkeling e immersioni con le bombole, sport che non posso più praticare a causa dei miei problemi alla schiena. Ma la fotografia mi piace ancora molto, specialmente quella in bianco e nero. Per un motivo difficile da definire, credo che la fotografia in bianco e nero sia molto più espressiva di quella a colori, che sia un ritratto o un panorama. Il vino, però, è diverso. Si rinnova ogni anno con una nuova annata, e ogni volta io sono impaziente di assaggiare i nuovi grandi vini. Ed è un rinnovamento che tiene il tuo livello di energia costantemente alto e dinamico”. Parola di Robert Parker.
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