L’unica regola è il buon senso. Quando si parla di vino, quando lo si associa (sbagliando) all’alcol tout court, e ovviamente, quando lo si beve. Riflessione semplice, su un tema al contrario assai complesso, che emerge dai contributi di nutrizionisti, alcologi, medici e politici nella tavola rotonda “L’alcol tra ragione e sentimento”, oggi al ministero delle Politiche Agricole, promossa dall’Unione Italiana Vini. “Come produttori non vogliamo nasconderci dietro ai rischi che l’abuso di alcol, che è anche nel vino, comporta - ha detto Sandro Sartor, responsabile del tavolo “vino e salute” dell’Uiv - anzi vogliamo essere protagonisti di questa lotta, promuovendo momenti di riflessione come questo, spingendo per una corretta informazione ai consumatori, anche culturale, sul vino e così via. Ma non possiamo sentirci paragonati a produttori di sostanze nocive”.
“Anche perché questo vuol dire svilire e appiattire il lavoro di tanti produttori che tutelano un patrimonio storico, sociale ed economico dell’Italia, che la fa bella nel mondo e traina l’export di tanti altri prodotti dell’agroalimentare”, gli fa eco il presidente di Unione Italiana Vini, Domenico Zonin. Ma la domanda di fondo è sempre la stessa: il vino fa bene o male? La risposta più ovvia, sarebbe “dipende”. Ma in realtà è la prospettiva che è sbagliata, “perché il vino è un “alimento liquido” come olio e latte, ed è prima di tutto acqua e altri composti nutrienti, poi in parte è anche alcol, e così va approcciato”, provoca il celebre nutrizionista Giorgio Calabrese. “Solo due cose dobbiamo dire chiaramente: no a chi somministra l’alcol, sotto qualsiasi forma, agli under 17, perchè fino a quell’età non si hanno gli enzimi per metabolizzarlo, e mai bere senza mangiare”.
“Olio e vino sono i fondamenti della dieta mediterranea - aggiunge Laura Di Renzo, specialista di Scienza dell’alimentazione e docente dell’Università di Torvergata - e vanno considerati come alimenti “nutraceutici”. Tendendo conto che certo, nel vino, ci sono i rischi portati dall’alcol, e dell’etanolo in particolare, che chiaramente possono essere decisamente mitigati dal consumo moderato, ma che ci sono tanti componenti nutrienti positivi, dai classici polifenoli a tanti altri, che oggi possono essere studiati a fondo, anche capendo come interagiscono con il fisico di ognuno di noi, con gli studi sul cibo “taylor made””.
In ogni caso, che il vino (e l’alcol più in generale) non siano da considerare alla stregua di sostanze assolutamente nocive, lo dice anche il linguaggio medico, come spiega l’alcologo Marco Faccini: “le bevande alcoliche, in questo caso il vino, sono pericolose, ma consentono uno spazio di movimento ampio tra il danno alla salute e un consumo piacevole e relativamente sicuro per la salute. Il mondo medico non pronuncia parole in favore dell’alcool, ma si limita ad indicare dei livelli di rischio, legati alla quantità ingerita e ad altre variabili dell’individuo. Questa è già una diversità di approccio tra l’alcol rispetto alle altre sostanze psicoattive (compreso il tabacco). E tra l’altro, anche il contesto sociale e culturale, gli usi quotidiani, fanno si che in Italia la maggioranza delle persone conviva in modo accettabile e piacevole con il vino. Il bere in maniera moderata rientra nella tradizione italiana ed il contesto rende possibile, meglio che in altri paesi, un dialogo sull’alcol, tenendo conto dei problemi che crea ma cercando di limitarli anche con modalità pragmatiche e non proibizionistiche”.
Essenziale in questo senso, il ruolo giocato dalle famiglie, come spiega Michele Contel, Segretario Generale dell’Osservatorio Permanente Giovani e Alcol: “i giovani di solito iniziano a bere vino introno ai 17 anni, poi passano ad altro, come i superalcolici, spesso eccedendo, e poi intorno ai 25 anni tornano sul vino con un consumo che possiamo dire normale. E abbiamo notato che aiuta molto quello che si chiama “alcolizzazione precoce” in famiglia, cioè un contatto non solo con la bevanda vino, ma anche con i suoi valori, già in giovane età, ma in un ambiente controllato come quello familiare”.
E parlando da un punto di vista antropologico, anche l’eccesso, in qualche modo, può servire “a riaffermare il valore della norma, come avviene da sempre in ogni civiltà che ha adottato il consumo di vino, normandone sia il consumo moderato che l’esagerazione eccezionale, ma sempre in contesti che limitassero i rischi, come i Baccanali”, ha detto l’antropologo Ernesto di Renzo, sottolineando come il vino, per altro, sia l’unico prodotto contenente alcol “che ha assunto anche un significato metaforico, divino e mistico in tante tante culture”.
“Il vino fa parte della nostra cultura, e chi fa le leggi deve tenere conto della sua storia, delle sue implicazioni salutistiche e alimentari, ricordando che la misura è propria delle diete e dei popoli mediterranei. Certo i modelli di vita sono cambiati, ma sono cambiati anche i prodotti, e su questo dobbiamo riflettere”, ha aggiunto il viceministro delle Politiche Agricole Andrea Olivero.
Riflessione, in qualche modo, avvalorata dalle parole di Massimiliano Dona, Segretario dell’Unione Nazionale Consumatori: “non si combatta l’abuso di bevande alcoliche con il fisco, ma facendo cultura”.
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