“La bellezza è un atto agricolo”. Nel titolo del webinar, organizzato dal Consorzio Vini di Valtellina, scelto da Giacomo Mojoli, tra i fondatori storici di Slow Food, “pensatore” e scrittore del cibo e del vino, oltre che moderatore del dibattito tra il re del cachemire Brunello Cucinelli, il patron di Eataly Oscar Farinetti ed il Professore Ordinario di Disegno Industriale al Politecnico di Milano Francesco Zurlo, c’è già tutto. È un concetto che abbraccia una serie quasi infinita di argomenti, e che merita di essere spiegato ed approfondito. L’atto agricolo ha cesellato in migliaia di anni quei territori che hanno reso l’Italia il Paese più bello del mondo. Allo stesso modo, il lavoro agricolo e le produzioni delle eccellenze agroalimentari - del vino, dell’olio e non solo - è quasi sempre legato ai borghi più belli. In una sorta di do ut des, in cui attorno alla bellezza ruota il buono della terra. È una storia di lungo respiro, ma che si rinnova continuamente, anche grazie alla crescita economica dei territori. Che, con nuove risorse, si prendono cura del paesaggio e della terra, imponendo un ordine che è, esso stesso, bellezza.
Come racconta il fondatore e patron di Eataly, Oscar Farinetti, l’agricoltura “è arrivata in Italia “8.000 anni fa, dove esplode per una combinazione di caratteristiche uniche. La biodiversità alimentare nasce lì. Ed è vero che la bellezza è un atto agricolo: siamo il Paese più bello del mondo, e non è un’opinione ma un fatto corroborato, dai tanti riconoscimenti Unesco come dal patrimonio artistico e culturale che vantiamo. La bellezza, quella che possiamo vedere e toccare, è di tre categorie: della natura immutata, come le Dolomiti, della natura mutata, ossia plasmata dall’agricoltura e dai contadini, pensiamo a Langhe e Roero, e la bellezza urbana, e quindi degli architetti. Dal punto di vista agricolo, siamo il Paese più bello al mondo. Ho visto luoghi fantastici, ma un Paese scalpellato dai contadini come l’Italia non esiste. La Regione più bella, però, è la Toscana: ordinata, ha conservato i boschi”, racconta Farinetti.
Per parlare di bellezza, e di quanto sia un concetto assolutamente pragmatico e tutt’altro che superficiale, Brunello Cucinelli, re del cachemire ma non solo, cita il “Costituto senese del 1309, secondo cui chi governa deve mettere al primo posto “massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini”. Andiamo verso un tempo nuovo, torneremo a vivere nei borghi, quelli vicino alle città, connessi. Ma dobbiamo curarli questi luoghi. Dobbiamo avere il coraggio di tornare ad essere custodi di luoghi che fanno parte della nostra cultura. Abbiamo sempre vissuto in armonia con il creato, ed è proprio questo equilibrio che dobbiamo ritrovare, dedicando all’anima e alla mente il giusto tempo”, sottolinea Cucinelli. “Nell’impresa, al centro c’è il prodotto, ma dobbiamo far sì che nasca in luoghi belli, perché la nostra anima è dove nasciamo. E allora dobbiamo chiederci cosa lasciamo in eredità a chi verrà dopo. La nostra più grande responsabilità è custodire l’esistente. Quando andiamo ad edificare, dobbiamo ritornare a mettere al centro il paesaggio, come facevano gli antichi. Vengo dalla cultura contadina, dove l’ordine fa tutta la differenza. Dove c’è ordine c’è prosperità. Dove c’è ordine c’è rispetto. Ma anche creatività, generata dalla responsabilità. Abbiamo bisogno di tornare a vivere rispettandoci. Dopo questa pandemia, non c’è spazio per l’arroganza. L’uomo addolorato, come diceva Sant’Agostino, è aperto a persone concilianti. E cambierà anche il rapporto con la povertà - continua l’imprenditore del cachemire - ci informeremo di più, non volteremo le spalle ai problemi. Ci chiederemo come sono fatti i prodotti che acquistiamo, se rispettano la terra e i diritti di chi lavora. È un grande tema, ed i rapporti umani fanno la differenza. Chi viene dalla campagna ha in sé l’operosità ed il rispetto per il territorio”.
A proposito di dinamiche nuove, la pandemia, secondo Oscar Farinetti, rispondendo a WineNews, “ci ha dato il tempo di fermarci a riflettere. Eravamo certi di non vedere mai una guerra o una pandemia. La seconda invece è arrivata. Non so come e se ne usciremo diversi. Ma sono convinto che i migliori ne usciranno meglio ed i peggiori peggio. I migliori, però, che sono almeno la metà dell’umanità, sono un pubblico immenso, di 4 miliardi di persone, e sarà un mercato straordinario”. Tornando a parlare di bellezza, “siamo sicuri che basti e che ci salverà?”, si chiede Farinetti. “Per me no. Il mondo dobbiamo salvarlo noi. Anzi, a volte c’è una dicotomia tra bellezza ed impegno. Se è vero che la bellezza aiuta, in molti casi abbiamo visto un trend inverso: il mare più brutto, quello della Costiera Romagnola, fa più turisti di quello di Sardegna e Sicilia. La bellezza, allora, siamo noi. Siamo noi che dobbiamo cambiare. Dobbiamo passare dalla paura al coraggio, dal pensare in piccolo al pensare in grande, dall’egoismo all’altruismo, dal sovranismo all’inclusione. La bellezza ce l’abbiamo, ma siamo noi la bellezza. Il Paese più bello del mondo, a volte, mi pare che sia abitato da brutta gente. Dopo il Rinascimento, il Risorgimento e il miracolo economico, ci sentiamo appagati. Ma più che orgogliosi di essere italiani - sferza il patron di Eataly - dobbiamo essere riconoscenti, e farci perdonare la fortuna di nascere qui per cambiare i nostri sentimenti e dimostrare di meritare tanta bellezza”.
A proposito di pandemia, Brunello Cucinelli, che si schernisce, rispondendo sempre ad una domanda di WineNews, quando parla della sua avventura nel vino (“noi facciamo il vino per donarlo, non so come si possa rendere produttiva un’attività economica tanto incerta”), suggerisce di “imparare a conviverci, ogni giorno con meno timore e più attenzione. Come diceva Tommaso Moro: “aiutami ad accettare ciò che non posso cambiare”. Impariamo ad educare alla speranza, anche nelle scuole. Un essere umano educato è un essere umano aperto al mondo. Nei territori non dobbiamo fare nulla di eccezionale, curare i prodotti e ritrovare il garbo, perché è ciò di cui c’è più bisogno, di persone per bene, e poi di giovani e di creativi, questo sì. Dobbiamo produrre prodotti originali, forse ne risentiremo a livello occupazionale, almeno all’inizio, ma dobbiamo puntare a produrre cose belle, e ricostruire il rapporto umano, vero tema che fa la differenza: l’armonia, con il creato e tra gli esseri umani. Dico agli imprenditori: dobbiamo avere il prodotto. Noi abbiamo fatto olio e vino, non so come si faccia a fare economia agricola, ma credo che certe produzioni meritino di essere pagate. E poi, abbiamo bisogno che le nostre periferie vengano ripulite e riprogettate, dopo 50 anni di crescita indiscriminata. E per farlo, ci vogliono buonsenso, gusto e rispetto”, conclude Cucinelli.
Anche la chiosa di Farinetti, e non potrebbe essere altrimenti, è sul futuro, che definisce “meraviglioso, perché il più rimane da fare. Noi abbiamo preso l’attività umana e l’abbiamo divisa in cinque parti: amare, mangiare, studiare, lavorare e sognare. Vicino alla parola mangiare c’è la terra. Non possiamo più scindere il cibo dalla terra. La sostenibilità è superata, in francese neanche esiste una parola così. Meglio parlare di durabilità. Comprare una cosa che dura, quello è sostenibile. E poi dobbiamo tornare a riparare, che è alla base dell’amore. Le relazioni sociali prima di tutto. Chi non è capace di riparare non è capace di amare. Ma anche lavorare insieme: siamo i più bravi a lavorare testa a testa, ma dobbiamo imparare a lavorare in gruppo, insieme. Sognare, per me, vuol dire serendipity. L’importante è partire, darci un obiettivo, e poi restare aperti ad ogni possibilità. L’avvenire sarà fatto di serendipity, ma dobbiamo metterci in cammino, perché il cammino è più importante della meta”. Infine, i consigli per il futuro dell’agroalimentare. “Dobbiamo dichiarare tutta la nazione biologica - dice Farinetti - e possiamo farlo, bandendo concimi di sintesi e diserbanti. Rispondendo a Brunello Cucinelli, se è difficile fare soldi nel vino, nell’olio lo è ancora di più. Perché esiste questa strana dinamica per cui la gente spende 15 euro in una bottiglia di vino che consuma in un pranzo, ma fa fatica a spenderli per una bottiglia di olio che dura un mese. Sarebbe il prezzo giusto, quello che definiamo prezzo meritato per ciò che sappiamo fare meglio di tutti. Perché per il vino, c’è ancora chi è molto più bravo di noi...”.
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